Libertà e dittatura, così invocate, così poco conosciute

Da alcuni giorni, forse da qualche settimana, chi scende in piazza contro il “green pass” lo fa inneggiando ritmicamente alla “libertà” e associando la condizione di frustrazione di chi...

Da alcuni giorni, forse da qualche settimana, chi scende in piazza contro il “green pass” lo fa inneggiando ritmicamente alla “libertà” e associando la condizione di frustrazione di chi non vuole vaccinarsi a quella degli ebrei durante il nazismo. E’ una forma anche questa di revisionismo storico, seppure velatamente fatta passare per richiamo proprio alla verità storica: si arriva a questa conclusione se si parte dal presupposto che la politica antisemita del Terzo Reich non ha nessun corrispettivo con quella di salute pubblica del governo italiano.

Per i “no pass” il ragionamento è abbastanza semplice: l’esecutivo deve avere il coraggio di imporre l’obbligo vaccinale. Solo così si giustificherebbe il certificato verde, il lasciapassare. Altrimenti, si innesta nella società una discriminazione tra chi, scegliendo di non vaccinarsi, deve subire le restrizioni dovute alla mancanza di rilascio del passaporto anti-Covid. Non fa una piega. Apparentemente…

Chi decide di non vaccinarsi può farlo, alla fine, per due ragioni: 1) una motivazione ideologica, ritenendo che il vaccino sia l’ultimo anello di una catena di comando del nuovo ordine mondiale che ci vuole imporre delle cure di un certo tipo per iniettarci microchip, aghi sottocutanei e altre amenità che dovrebbero condizionarci nei comportamenti, farci diventare dei lobotomizzati servitori del potere; 2) una motivazione più vicina alla razionalità, per il semplice fatto di fondarsi sul dubbio, sulla criticità: non mi vaccino perché temo che il breve periodo di sperimentazione non sia sufficiente a darmi garanzie per altri aspetti della mia salute.

Nel primo caso, il rifiuto nei confronti della vaccinazione è inaccettabile: si rispettano le idee, non le scempiaggini e le fantasie; si rispettano i concetti circostanziati e non le “fake news” che rimbalzano da social a social e fanno credere quello che non è. Nel secondo caso, si rientra nell’affermazione della necessità dell’obbligo vaccinale per non creare delle disparità di trattamento.

Ma è anche vero che ad una azione corrisponde una reazione, ad una causa sempre un effetto. Se decidi di non vaccinarti perché pensi che vi sia dietro tutto ciò, oltre al noto ed evidente interesse delle grandi case farmaceutiche (intrecciate con gli interessi politici dei singoli Stati), anche un complotto pedo-satanista alla QAnon, con tanto di “deep state“, allora più che del vaccino hai bisogno di un po’ di rilassamento, di staccare dalla frenesia quotidiana, di prendere un buon libro di letteratura ed iniziare a ricalibrare i pochi neuroni che sono rimasti ancora attivi nel tuo cerebro. In questo caso, il senso del “green pass” è assoluto, necessario e rimane come stigma se non altro di vergogna per esserti fatto distrarre dai veri problemi sociali e dal vero ruolo del capitale in questa società.

Ma se la decisione che ti porta a non vaccinarti riguarda per l’appunto una critica nei confronti della metodologia scientifica e della sua applicazione medica, allora il senso del certificato verde va rimodulato, compreso ed indagato meglio. Rimane però una scelta, una libera scelta cui, necessariamente, deve corrispondere una conseguenza. Chi si vaccina ha diritto di “convivere” pienamente col virus, sapendo che la sua carica virale non sarà così alta da poter divenire egli stesso un superdiffusore del Covid-19. Chi sceglie di non farsi fare la punturina, sa che non potrà avere quella stessa certezza di fermare la fase più infettante del coronavirus: per sé e per gli altri.

Per questo la libertà ha un prezzo. Un prezzo che non può essere pagato da chi sceglie liberamente di contribuire ad un processo di immunizzazione della popolazione da una malattia pandemica che ci vessa da quasi due anni. Un prezzo che non dovrebbe essere pagato da nessuno in termini di “condizionamento“, perché teoricamente ognuno dovrebbe sentirsi libero di scegliere senza subire conseguenze che conducano al restringimento di ambiti della propria quotidianità, di socialità, di relazioni interpersonali.

Tutto questo sarebbe più che giusto e costituzionalmente previsto (oltre che moralmente e civilmente) se tra Tizio e Caio non ci fosse di mezzo il Covid-19. Permettere ad alcuni cittadini di avere più diritti di altri (mantenendo inalterati i doveri) sarebbe una palese violazione della nostra Carta, un deperimento pericoloso della democrazia formale (sostanziale sarebbe quella sociale… molto lontana ancora nel tempo), uno scivolamento – in questo caso sì – verso una qualche specie di autoritarismo.

La pandemia, del resto, non deve giustificare alcun atto discriminatorio, ma la politica, anche di un governi iperliberista come quello di Draghi, deve distinguere caso da caso per evitare di creare macroscopiche sacche di diseguaglianze formali che si sommerebbero ad altre ben più pesanti e angusti angoli dove vengono relegate le ingiustizie sociali. Il paragone tra la politica discriminatoria e omicida del Terzo Reich con l’anche non condivisibile politica del governo Draghi è così fuorviante da rendere evanescente qualunque altro vero paragone. Laddove per vero si intende verificabile nel contesto attuale, nella oggettività dei fatti.

Invece, pare aver preso campo una tendenza a relativizzare qualunque cosa, ad estendere così tanto il dubbio da cancellare ogni margine di veridicità (se non proprio di verità). Così facendo, tutto diventa possibile e niente è più probabile, visto che ad ogni affermazione corrisponde esattamente un’altra uguale e contraria e non c’è confronto, ma solo scontro in campo aperto, radicalizzazione delle “opinioni” e verticalismo esponenziale dei concetti.

Bisogna avere rispetto per la Storia, che non può essere presa ad uso e consumo proprio, ridotta ad alibi delle fantasie di complotto.

Se oggi chiamiamo “dittatura” (o “dittatura sanitaria“) il governo Draghi (che pure ha nella sua maggioranza delle forze sovraniste e populiste che amano il binomio “law and order“) e la sua politica d’emergenza sanitaria, smarriamo l’aderenza tra significato e significante, tra idea e realtà. Il linguaggio deve essere preservato e usato adeguatamente, altrimenti, come tutti i mezzi usati male, può fare dei danni incalcolabili.

Dobbiamo contrastare il governo Draghi, essere idealmente e praticamente all’opposizione, difendendo proprio quelle libertà sociali e civili che sono minacciate da politiche che puntano al privilegio dei grandi patrimoni piuttosto che alla tutela dei salari. Ma tutto questo rientra nel contesto pandemico e, pertanto, non possiamo dimenticare che il Covid-19 ha peggiorato la condizione sociale di milioni di persone, di lavoratori, di precari che finiscono lo stipendio ben prima della quarta settimana del mese.

Vaccinarsi per uscire quanto prima dall’emergenza sanitaria, che è anche emergenza sociale, è più che necessario. E’ imprescindibile.

MARCO SFERINI

29 luglio 2021

foto: screenshot Youtube

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