La doppia sconfitta dell’umanità tra Occidente e Talebani

Poco oltre il muro di cinta dell’Aeroporto internazionale “Karzai” di Kabul c’è un rigagnolo, una specie di fiumiciattolo improvvisato più che altro dal ristagno di acque già putride, dense...

Poco oltre il muro di cinta dell’Aeroporto internazionale “Karzai” di Kabul c’è un rigagnolo, una specie di fiumiciattolo improvvisato più che altro dal ristagno di acque già putride, dense di fanghiglia.

Se avete visto le foto che pubblicano i giornali, le testate su Internet e che rimbalzano su ogni rete televisiva tuttanotizie, saprete che in quella striscia umida stazionano da giorni migliaia di afghani. Sembrano somigliare alle mondine, con le gambe perennemente nell’acqua leggermente sotto alle ginocchia, ma con la schiena alta, dritta, come le braccia che sventolano passaporti di varie nazionalità: americani, inglesi, francesi, tedeschi…

Carte che sono le chiavi di un passaggio per un occidente che ha fatto fallimento: materiale, morale, bellico. Non c’è appello per i vent’anni di occupazione di un Afghanistan ridotto a brandelli, proprio come i vestiti logori della gente che da giorni e giorni mangia polvere, urina nel fossato melmoso e guarda oltre il filo spinato. Sporge i bambini ai diplomatici rimasti, ai soldati, affinché almeno loro si salvino dalla furia talebana che sta per proclamare il secondo emirato e che prova a mostrare un volto dialogante, un volto umano che umano non è mai stato, accreditandosi – almeno per il momento – come forza di governo responsabile davanti al mondo.

Chi fugge, scappa da una vita futura fatta di burqa e di divieti morali, (in)civili, degradanti il corpo e l’animo. Chi fugge, spera in una esistenza quanto meno formalmente libera, ben sapendo che gli occidentali, che non sono stati in grado di dare all’Afghanistan le gambe per reggersi anche su una malferma democrazia, non possono garantire agli esseri umani una vera libertà: dal bisogno materiale e dai tanti pregiudizi che gli riserveranno i popoli del civilissimo mondo in cui viviamo.

Chi fugge sa, del resto, che sotto il governo del mullah Baradar e delle nuova generazione di talebani non troverà quelle possibilità di far valere le proprie qualità, le differenze come ricchezze e la criticità e il dubbio come valori imprescindibili di una piena espressione dell’individualità legata ad una collegialità fatta di solidarietà e mutuo soccorso.

L’Occidente europeo ed americano non lascia grandi speranze ai profughi, dando di sé in queste ore una immagine di divisione politica che mostra tutti i limiti di una fragile postura di politica internazionale innanzi alle certezze presuntuose e pretestuose di Russia e Cina. E soprattutto dimostrando a sé stesso, prima ancora che agli altri, di non avere più nessun piano per salvaguardare quel minimo di libertà che, formalmente, in Afghanistan vigeva prima del ritorno dei talebani guidati dal figlio del mullah Omar.

L’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America fanno appello in queste ore al dialogo e lo mettono in pratica con comunicazioni ufficiali ma mediaticamente ufficiose: si sa che il mullah Baradar, praticamente il nuovo capo del governo dell’emirato, ha incontrato il direttore generale della CIA. Si sa che hanno discusso di ponti aerei, di evacuazione tanto di civili collaboratori degli USA quanto di marines. Non sembra che il dialogo abbia portato a granché, visto che l’ultimatum dei talebani del 31 agosto, come data ultima per lo sloggiamento di ogni truppa di occupazione, rimane.

La diplomazia ha fallito sotto tutti i punti di vista in queste ore. Un fallimento che segue quello della politica di guerra, della politica di espansione imperialistica giustificata dalla lotta al terrore, dallo smantellamento della rete di Al Qaeda che tutt’ora esiste, che mantiene i suoi contatti con Kabul dove, del resto, anche le milizie dell’ISIS sono presenti e dalle quali si teme un attentato proprio all’aeroporto internazionale.

Gli occidentali non hanno altre carte da giocare se non quella dei soldi, dei finanziamenti, dello sblocco dei fondi esteri dei talebani o dei loro sostenitori. Ma questi studenti coranici e i loro capi sono seducibili con il denaro, con la logica capitalistica che trasforma tutto in merce di scambio e di trattativa? La storia recente del talebanismo e, più in generale, dell’estremismo totalitario dei frequentatori delle madrasse ci dice che anzitutto il sostentamento economico i combattenti per il Jiahd se lo sono sempre andato a cercare altrove: magari da amici degli americani, da altri tiranni vestiti all’occidentale, con quelle giacche e quei blu jeans che i capi del governo integralista esecrano e puniscono con le frustate.

Prima dagli stessi USA, poi dai nemici della Repubblica stellata, i talebani non hanno mai avuto bisogno di fare accordi per mantenere il potere. Almeno non con i loro inveterati nemici: più delle concessioni che il Fondo Monetario Internazionale o la Banca Mondiale potrebbero fare, valgono altri tipi di abboccamenti. Quelli con i signori della guerra locali, tanto che grazie a questa tregua tra le tribù e i movimenti islamici è stato possibile a Baradar e seguaci conquistare il potere con una velocità impressionante.

Questa è gente che non ne vuole sapere di una società costruita sul falso mito del benessere capitalista: possono governare quasi quaranta milioni di afghani mantenendoli in una povertà che permetta tuttavia di pagare le tasse al nuovo governo, di consentire una ristrutturazione antisociale e misogina della famiglia, seguendo quei parametri della Shari’a che diventa la legge dello Stato e che non contempla nessuna forma di rappresentanza popolare. Vale la legge religiosa sopra ogni altro aspetto della vita. La società dei talebani non è pauperista, ma finisce col diventarlo perché rifiuta una modernità diffusa, mentre è pronta ad acquisire tutte le tecnologie possibili per fronteggiare nemici esterni ed interni.

Per questo l’Occidente con la o maiuscola perde un’altra battaglia se pensa di poter trattare con i talebani tramite l’intermediazione del denaro. Non sarebbero potuti tornare al governo dell’Afghanistan se non avessero avuto già gli appoggi interni ed internazionali utili a questa impresa che svilisce ogni riferimento alla democrazia, umilia i diritti umani più elementari e non mostra niente altro se non terrore, disperazione e fine di ogni margine di libertà di pensiero, di parola e di critica.

Non è una vittoria popolare contro l’imperialismo, ma una vittoria di una oppressione contro un’altra: uno scontro tra due modelli di società che mostrano tutti i limiti che si trascinano dietro inevitabilmente. Il fanatismo religioso da un lato e la sua anti-etica dogmatica e totalizzante e, dall’altro, la pessima interpretazione dei valori liberal-democratici innestata sulle bandiere della difesa del peggiore sfruttamento dell’uomo sull’uomo, della prevalenza dei popoli “forti” economicamente, del primato dell’economia stessa su tutto quanto esista sul pianeta.

La religiosità teocratica talebana e quella liberista del mercato sono due facce di medaglie diverse ma che hanno libera circolazione in un mondo moderno costellato di tanti estremismi che sono la risposta più facile alle disperazioni dilaganti di interi popoli che hanno conosciuto solo guerre, fame, miserie, schiavitù e mercificazione dei corpi e delle menti.

Se una critica da sinistra si può fare al ritorno dei talebani, questa è inscindibile dalla critica alla speculare e contraria civiltà dell’Occidente. L’oppressione talebana somiglia così tanto a Guantanamo… E ne diventa la nemesi conseguente, epitaffio di una storia ultraventennale di omicidi da entrambe le parti che lasciano il mondo aperto ad un nuovo campo di battaglia per l’egemonia mondiale. Con il ritiro dell’ultimo soldato statunitense, burocrati e grandi affaristi cercheranno il modo di insediarsi nell’emirato afghano, ingraziandosi il governo, cercando la mediazione di Russia e Cina, utilizzando come base logistica di appoggio il vicino Pakistan.

Gli Stati Uniti e i loro alleati, Unione Europea compresa, hanno creato tutte le condizioni per una destabilizzazione geopolitica mondiale che farà riformulare i piani di spartizione del pianeta e modificherà le strategie economiche per la contesa mondiale, per il dominio capitalistico, nella concorrenza spietata tra i diversi poli espansionistici. Pechino, Mosca, Washington, Londra, Berlino e Parigi si batteranno nei prossimi anni per riconquistare l’Afghanistan sul piano economico, dimenticando le decine di migliaia di morti che hanno causato, col pretesto della lotta al terrore, per definire nei primi decenni del nuovo secolo la politica estera dei propri paesi.

Mentre gli aerei sorvolano le ex repubblica sovietiche e il Pakistan, evitando accuratamente l’Iran, e portano in salvo i collaboratori, mentre gli afghani marciscono nel pantano del fiumiciattolo fangoso davanti al “Karzai“, Joe Biden sciorina una serie di giustificazionismi in televisione e il suo ex presidente Barack Obama tace. Un silenzio assordante per un premio nobel per la pace.

Un po’ di coscienza e di rimorso, probabilmente, lo hanno anche loro. Forse.

MARCO SFERINI

26 agosto 2021

foto: screenshot

categorie
Marco Sferini

altri articoli