Il liberismo (dal volto liberale) e le conquiste sociali e civili

Mentre sulle ali dispiegate di un moderno liberismo, associato alla facciata di un liberalismo tutto attento agli equilibri sociali, la Presidente della Commissione Europea spiegava al Parlamento di Strasburgo...

Mentre sulle ali dispiegate di un moderno liberismo, associato alla facciata di un liberalismo tutto attento agli equilibri sociali, la Presidente della Commissione Europea spiegava al Parlamento di Strasburgo che la pandemia è una occasione da non lasciarsi sfuggire per investire in 5G, 6G, in una economia che guardi all’ecologia, dichiarando di voler superare il Trattato di Dublino, in Piemonte un assessore della giunta Cirio si lanciava in una crociata santa contro l’aborto.

La messa a confronto è utile per provare ad esaminare la naturale disomogeneità di crescita sociale e culturale in un contesto economico che dovrebbe essere quanto meno simile nei diversi Stati dell’Unione Europea. Del resto, se si chiama così vuol dire che deve far convergere i suoi membri su proposte condivise e puntare alla sempre minore differenza tra i diversi Paesi su temi dirimenti che riguardino la vita nel suo complesso di ogni singolo cittadino e di ogni singola attività produttiva.

Il mondo non ha mai conosciuto un movimento univoco in quello che chiamiamo “sviluppo” (se parliamo in termini economici) o “evoluzione” (se vi includiamo struttura e sovostrattura, in senso marxiano): proprio il “Manifesto del Partito comunista” rende emblematica una evidenza, qualcosa che era sotto gli occhi di tutti e che, proprio per questo, veniva così bene nascosta dal pensiero dominante, dalla morale borghese nonché dalle religioni che ne sostenevano i privilegi secolari.

Se Ursula Von der Leyen può dichiarare che le unioni omogenitoriali devono avere gli stessi diritti e lo stesso riconoscimento in tutto il territorio della UE e se, contemporaneamente, un assessore piemontese può scagliarsi contro i tempi per la somministrazione della pillola abortiva, ciò è anche frutto di culture politiche differenti (liberal-conservatrice versus neofascista o sovranista che dir si voglia), separate dal contesto in cui si vengono a formare e in cui trovano consenso; ma soprattutto è il chiaro sintomo di due forme di “sviluppo ineguale ideale” che si influenzano a vicenda ma la cui parola finale tocca sempre e soltanto al regime economico.

E’ il mercato a decidere chi può stabilire la migliore pace sociale possibile per consentire al capitale di potersi accumulare senza troppi impicci che gli trotterellano tra i piedi come cagnolini freneticamente rabbiosi. La differenza di valori tra centro e destra, tra centrosinistra e centrodestra, che pure esiste, è tale ma non vive di autonomia ideale: l’influenza economica condiziona le differenti interpretazioni della vita sociale e per questo è sempre aperto il dibattito sulla qualità del potere di incidenza delle idee nel merito della spietata concretezza dei numeri dei dividendi aziendali e, nel complesso, di un capitalismo tanto nazionale quanto continentale.

I valori illuministici che si manifestano nel liberalismo moderno sono stati implementati grazie a lotte che hanno avuto il sapore “eversivo” per tanti anni innanzi al capitalismo globalizzato dal dopoguerra ad oggi e alle istituzioni che lo hanno servito nei vari Paesi.

Se oggi la Presidente della Commissione Europea può scontrarsi con gli eurodeputati dell’estrema destra tedesca, allargare le braccia come se dirigesse un’orchestra e asserire che allo sviluppo economico da rinnovare vanno affiancati anche i diritti civili, quelli dei singoli e quelli di interi popoli, ciò lo si deve ad una vittoria – almeno sul piano morale – dei princìpi di uguaglianza tra gli esseri umani (per l’uguaglianza tra tutti gli esseri viventi si dovrebbe aprire un altro ampio discorso…) che non sono soltanto espressione del Novecento, ma che semmai vanno ricercati almeno fino ai piedi delle rovine della Bastiglia.

Dalla fine del ‘700 al nostro moderno 2020 (si fa per dire…), la lotta di classe per la giustizia sociale ha supportato queste lotte di emancipazione civile e ha unito socialità e civiltà in un insieme complicato di rivendicazioni che non sempre hanno viaggiato sullo stesso binario ma che nemmeno si sono divise poi così tanto da separarsi definitivamente.

I liberali come von Der Leyen oggi appaiono i campioni dei diritti sociali quando parlano di un salario minimo per tutti gli indigenti, per i disoccupati; quando fanno riferimento alle risorse del Recovery Fund mostrando la generosità delle classi dirigenti attraverso istituzioni transnazionali che restano il cane da guardia del capitalismo europeo; quando parlano di dimezzamento delle emissioni inquinanti nel Vecchio Continente entro il 2030.

Poi, passando ai temi dei diritti universali dell’uomo e del cittadino, entrando nel merito della questione delle migrazioni, è ancora una volta la disperazione universale, di portata così grande da non poter essere ignorata, a forzare la mano ai liberisti che vorrebbero potersi mostrare sempre come candidi liberali. Gli tocca mostrarsi tolleranti oltre la misura che vorrebbero mantenere, ma devono farlo, magari forzando le loro convinzioni, ma con la contropartita di un consenso quasi universale nell’unione trasversale tra liberalismo di centro e progressismo di sinistra.

Dalla CDU alla Linke in Germania, da Forza Italia a Rifondazione Comunista nel Bel Paese, nessuno obietterà mai nulla in merito all’abolizione del Trattato di Dublino e, probabilmente per quanto riguarda anche una fetta di centrodestra italiano, nemmeno sul superamento definitivo di quella vergogna (in)civile rappresentata dai “Decreti sicurezza” di Salvini.

Le conquiste civili dell’oggi non possono passare impunemente, senza nemmeno una lieve critica, come intuizioni di un mondo conservatore che si apre a nuovi scenari globali. Sono e rimangono conquiste degli sfruttati di almeno due secoli e mezzo e delle forze politiche e sindacali che li hanno sostenuti fino a quando il modello liberista ha prevalso, ha fatto piazza pulita della solidarietà di classe e ha imposto l’individualismo a elemento costitutivo della nuova era che oltrepassa persino il mito del “self made man” anglosassone (o per meglio dire… americano).

La sinistra moderata, quella che ha costanti aspirazioni di governo ed è riformista in quanto tale e non viceversa, ha permesso al liberismo di sostenere la recita di tanti atti di una commedia in cui l’accettabilità del sistema in cui viviamo sia la premessa per il suo cambiamento graduale. Una assurdità inconcepibile, ma è il paradosso dei tempi di uno sviluppo ineguale tanto dell’economia quanto delle idee.

Recuperare al movimento comunista e a quello del lavoro anche il terreno dei diritti civili, riunendolo nuovamente alla lotta per i diritti sociali, per la messa in discussione della proprietà privata dei mezzi di produzione, del profitto e dell’imperiturità del sistema delle merci, è compito di una nuova generazione di anticapitalisti che sappiano distinguere dalle belle parole di Ursula von Der Leyen il costrutto strutturale che sta dietro: nessuno metta in discussione il sistema.

Tutti possono proporre correzioni, ma nessuno può stravolgerlo o, peggio, ipotizzare il suo superamento.

MARCO SFERINI

17 settembre 2020

foto: screenshot

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