Il camaleontismo del presidente russo

«Putin il neozar» in un libro del 2008. Putin il neozar - porta a definirlo piuttosto un camaleonte, di cui Putin ha anche l’incedere ondulatorio e soprattutto l'espressione enigmatica, insieme a una grande capacità di mimetizzarsi

Vi è chi definisce Vladimir Putin un «grottesco tiranno». Definizione superficiale. Un’analisi del personaggio – che ho affrontato nel libro della ManifestoLibri 2008 Putin il neozar – porta a definirlo piuttosto un camaleonte, di cui Putin ha anche l’incedere ondulatorio e soprattutto l’espressione enigmatica, insieme a una grande capacità di mimetizzarsi.

Si tratta comunque di una definizione che non coglie tutta la complessità del personaggio che è stato capace di assumere la guida della Russia e starà al potere probabilmente fino al 2024, anno di scadenza del suo mandato presidenziale, se non oltre, salvo colpi di palazzo, sempre prevedibili per la Russia. Non intendo commentare l’intervento russo in Ucraina. Meglio concentrarsi su alcune questioni, di cui esso è una delle conseguenze.

Faccio ciò partendo dal 2015. Perché? Perché è da questo momento che Putin giunge alla conclusione che i problemi interni della Russia dipendono assai dalla situazione internazionale e da qui trae la necessità di concentrare la sua azione sulla elaborazione di una politica estera, capace di ridare al paese il ruolo internazionale decisivo pari se non maggiore a quello svolto dalla disciolta Unione sovietica nel 1991. Ne consegue, che la politica estera è per Putin una priorità quasi assoluta, legata strettamente alla questione della difesa del paese e anche della vendita dei combustibili russi. Un aspetto importante della politica estera è la questione della difesa del paese, anche a costo di guerre.

Sul piano teorico, ideologico la politica putiniana è ispirata dal filosofo russo Aleksandr Dugin che nel suo libro «Russkaya vojna» (La guerra russa) sostiene che è in atto da parte dell’Occidente una guerra contro la Russia, alla quale occorre rispondere offrendo al mondo intero una nuova direzione di massa.

In questo quadro diviene prioritaria la conquista dell’unità del «mondo russo» («russkij mir»), del quale l’Ucraina è parte integrante. Questo mondo comprende anche parte dell’Asia, di qui la teoria putiniana euroasiatica.

Tutto ciò costituì allora il punto di partenza per una revisione della politica estera russa, che portasse a superare due posizioni apparentemente in contraddizione tra loro. Da un lato, la posizione di chi, un Russia, va incontro alle aspirazione degli slavofili per i quali la Russia deve avere il comportamento di una «forza dolce», portatrice di idee umanitarie e di liberazione umana universale, contrariamente all’Occidente, che viene descritto come un’entità oppressiva dei popoli e delle nazioni, e che soprattutto è ostile alla Grande Russia o alla Russia dei popoli.

Nel contempo, c’è la posizione di chi vuole una politica estera che nelle forme, nel linguaggio e nella sostanza non tenda al compromesso e punti allo scontro, anche con l’Occidente, per affermare le ragioni della Russia verso il resto del mondo. Queste due posizione o tendenze coesistono nella politica estera russa e sono accomunate dall’obiettivo della difesa degli interessi fondamentali del paese. Un discorso che vale sia per gli avversari o nemici esterni della Russia che per gli oppositori interni.

Esso non sembra richiedere toni sommessi, spinge a una enorme semplificazione dell’analisi della situazione interna e internazionale e supporta il desiderio del regime di risolvere i problemi interni e esteri di impeto, con un solo colpo.
La tattica scelta da Putin e Co è quella delle spiegazioni e delle soluzioni semplici che, anche se non risolvono niente, incoraggino e eccitino gli animi.

Qual è il grado attuale di sostegno a una simile politica? Stando ai recenti sondaggi, il 70% dei russi condivide la politica verso l’Ucraina. Un commentatore politico russo arriva a scrivere che, secondo i sondaggi effettuati in 40 paesi, il 40% degli interpellati hanno definito destabilizzante non la politica estera russa bensì quella americana, mentre il 46% ritiene l’Unione Europea un fattore mondiale destabilizzante.

OSVALDO SANGUIGNI

da il manifesto.it

foto: screenshot

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Guerre e pace

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