Quantismo e spiritualismo: viaggio oltre i confini della materialità

La tangibilità dell’esistente è il limite, il confine fisico in cui andiamo a sbattere ogni volta che proviamo ad indagare materialmente ciò che siamo, ciò che ci circonda, ciò...

La tangibilità dell’esistente è il limite, il confine fisico in cui andiamo a sbattere ogni volta che proviamo ad indagare materialmente ciò che siamo, ciò che ci circonda, ciò che persino ci appare e che vogliamo verificare con la tattilità.

Quando tocchiamo qualcosa e la maneggiamo, facendola girare tra le nostre mani, come se in questo modo la potessimo meglio penetrare laddove è oggettivamente impenetrabile, in realtà cerchiamo di soddisfare una voglia di conoscenza quasi aprioristica, che sta dentro noi, in un inconscio che, così, ci comunica un desiderio recondito.

Quella voglia apparentemente inesprimibile, invece, è stata meglio indagata e consegnata al mondo dello studio scientifico dalle indagini che hanno aperto la strada alla meccanica quantistica, ad un completamente diverso rapporto tra la concezione che avevamo avuto fino ad allora della materia stessa e dei suoi comportamenti, tramite la fisica newtoniana, e quanto sarebbe invece stato scoperto a partire dagli ultimi anni del’800 e dall’inizio del Secolo breve.

Il rapporto con l’estremamente piccolo, l’infinitesimale, l’invisibile ad occhio nudo, è stato, a partire dalla scoperta dei microbi, dei virus e dei batteri che si potevano visionare solo al microscopio, un vero e proprio cambiamento culturale che ha costretto i popoli a fare i conti con qualcosa che andava ben oltre il visibile, l’oggettivo da primo impatto, il constatabile con i sensi umani dati come strumenti empirici infallibili.

Che si potesse salvare una mucca ammalata di carbonchio con una iniezione, con un vaccino (termine fino ad allora completamente sconosciuto), pareva più che altro un’arte magica che un metodo scientifico-medico. L’incredulità di quegli agricoltori è comprensibile e, oggi, certamente diverte se si pensa che, appena dopo quei trattamenti così innovativi, gli animali in breve tempo si risollevavano da terra e tornavano a pascolare come se quasi niente avessero avuto.

Qualcosa di molto piccolo era entrato in quei grandi corpi infettati dal Bacillus anthracis e per i quali non c’era nessuna speranza di guarigione; per evitare che le mandrie morissero come mosche, si metteva in pratica una rigorosa quarantena, così come un tempo si faceva con la peste nera e con tutte le altre malattie dall’alto indice di letalità. Poi la scienza ha fatto i suoi passi avanti e ha indagato entrando sempre più nel microcosmo delle particelle che compongono la materia di cui siamo fatti.

Da lì ha potuto osservare che ciò che i sensi ci dicono non è sempre l’unica verità possibile. C’è nel particolare una parte della vita dell’universale, ma c’è tanta dinamicità materiale nell’uno come nell’altro e non è possibile distinguere questi comportamenti fisici facendo una classifica di importanza.

Ogni fenomeno è di per sé una caratteristica dell’essere in quanto tale, il cui modo di agire e interagire ci interroga, ovviamente, anzitutto sul perché. Aristotele avrebbe parlato di un principio primo da cui tutto discende.

Platone ci avrebbe costruito sopra l’idea di quantum nell’iperuranio, mentre Socrate l’avrebbe forse vista come l’ulteriore conferma dell’impossibilità di sapere il sapere stesso, di arrivare quindi al limite della conoscenza in sé e per sé.

Più banalmente, ma non meno complessa, è la parziale spiegazione che abbiamo oggi: la fisica quantistica ci mostra e ci dimostra che tutta una vasta gamma di fenomeni materiali sono intrinseci nelle cose esistenti, nelle singole microparticelle che ci compongono e che, indipendentemente dalla nostra volontà, sviluppano dei moti, delle convergenze e delle divergenze.

Basterebbe prendere l’atomo come primo elemento di spiegazione: di solito lo immaginiamo come qualcosa di solido, ma se lo si potesse osservare da vicino, ci si renderebbe conto della caoticità armoniosa che lo compone.

Un vortice, una specie di turbine in cui si muovono velocemente i quark e i fotoni. Se si prova ad indagare il perché tutto questo avvenga, il perché queste particelle si comportino così, la domanda che alla fine non possiamo non porci è sempre e soltanto una: c’è una volontà nella materia, c’è una forza, un qualcosa che la induce in questo senso?

Il quesito ultimo è: perché l’atomo fa l’atomo? Perché il nocciolo di una pesca ha in nuce un pesco? Perché il sale si scioglie nell’acqua e le reazioni chimiche, come ogni altra mutazione, della materia si ripetono in eguale modo?

Più facile – si fa per dire… – è indagare il cosciente umano, le nostre azioni e dare una spiegazione del perché ci comportiamo in un determinato modo piuttosto che in un altro: per ragioni culturali, sociali, politiche, economiche.

Per stupidità, per rabbia, per amore, per desiderio, per mille motivi a cui possiamo dare un nome, una identità tale da stare nella “logica” delle umane relazioni e, quindi, dell’umanità nella sua unicità e particolarità come fenomeno del “possibile” e del “comprensibile” (sempre e soltanto autorferenzialmente).

Ma di un “incosciente” atomo, che esiste a prescindere dalla consapevolezza ontologica, dal sapere di essere e di esserci, cosa possiamo sapere in merito al movimento che lo caratterizza nel suo insieme e, salendo dal micro al macroscopico, nel rapporto con gli altri suoi simili?

In sostanza, per quanto assurdo possa sembrare, visto che spesso, specisticamente, neghiamo persino una coscienza agli esseri viventi che sono simili a noi, come gli animali non umani (dai vertebrati agli invertebrati, dagli ovini ai bovini, dai suini alla grande varietà ittica che sta nei poveri inquinati oceani e mari), il quesito sulla presenza della coscienza nella materia non è così peregrino come potrebbe sembrare.

Infatti ha dato adito, nel corso del progresso scientifico novecentesco, ad un dibattito molto interessante che ha superato i pregiudizi reciproci tra scienza e spiritualità.

Diverso il discorso se riferito alla contrapposizione tra scienza e fede. Qui si parla di spiritualità come di una dimensione “energetica” dell’individuo e della materia stessa, per cercare di indagare meglio se c’è in quello che si considera prettamente materialistico anche un elemento differente dalla durezza, mollezza o etereità della materia nelle sue mutevoli trasformazioni.

Non si tratta di trovare il “principio primo“, ossia una sorta di prova del pantesimo, della presenza di un “soffio divino” in ogni cosa; anzi, se proprio vogliamo dirla tutta, della coincidenza tra dio e il tutto.

Semmai qui è preferibile cercare di stabilire se, diversamente dal passato e da quanto fino ad oggi si è letto attraverso le lenti di vicendevoli pregiudizi, quell’energia psicosomatica che riscontriamo nei nostri riflessi spontanei, nelle emozioni, nei brividi di piacere come nelle scariche adrenaliniche in condizioni di timore, paura e difficoltà da superare, è qualcosa che sta nella materia o se, invece, è qualcosa che ne prescinde e che, tuttavia, visto che sta in noi, ha un rapporto di una qualche natura particolare con la materia stessa.

La particolarità dell’atomo è, senza dubbio, quella di essere privo, ad esempio, di una struttura fisica. E’ energia: protoni e neutroni ne sono il nucleo, gli elettroni le particelle subatomiche gravitano intorno alle cariche positive e neutre.

Parliamo di materia allo stato strutturale. John Dalton, riprendendo Democrito, nel XIX secolo elabora la teoria atomica moderna. Lo scopo era dare una spiegazione ai fenomeni chimici, ai cambiamenti che si potevano osservare e che, per lo più, venivano accettati senza farsi troppe domande, come evoluzione naturale. Ed indubbiamente era ed è così. Ma la semplice osservazione non poteva essere sufficiente per capire le ragioni di quei mutamenti.

Per capire, quindi, cosa e perché determinasse la vita e la morte di tanta parte della materia divenuta organica, quindi non inerte, ma caratterizzata da un percorso di evoluzione e, quindi, anche di fine della medesima con la morte, la fine di quel processo di esistenza. Vegetale, animale o umana (quindi animale pure questa), lo stadio vitale della materia è proprio questo.

La complessità ultima (per come noi possiamo attualmente intenderla) della materia sta nell’essere divenuti da polvere delle stelle ad esseri autocoscienti: consapevoli di noi stessi e del resto che ci circonda. O, quanto meno, pervasi da questa convinzione di essere degli osservatori capaci di darci una identità e di darla a tutte le manifestazioni che l’essere prende nelle sue infinite mutazioni: dall’universo fuori noi a quello dentro noi.

Il confronto fra scienza e spiritualità, quindi, nasce come confronto dialettico fecondo proprio con la scoperta della fisica quantistica, con l’indagine sull’infinitamente microscopico, del mondo invisibile dentro quello visibile.

Il dibattito si è, tra l’altro, soffermato sulla questione dell’energia presente nella materia e, pertanto, sul rapporto tra dimensione fisica delle cose e delle persone e dimensione energetica, ergo spirituale, se vogliamo psicologica, se vogliamo ancora capace di coesistere in una multidimensionalità che non contraddirebbe corpo e mente, tangibilità e intangibilità, oggettività e soggettività.

Una serie di riflessioni sul rapporto tra fisica quantistica e spiritualità induce, quasi spontaneamente, a prendere in considerazione l’interazione che c’è tra l’essenza dell’universo, intesa materialmente e, quindi, pure energeticamente, e il singolo atomo che è parte tanto del nostro corpo, quanto delle cose inanimate che ci stanno intorno.

Se il punto di osservazione è quello del quantismo, siccome è dimostrato al di là delle stesse capacità conoscitive degli scienziati medesimi (per loro stessa ammissione), è molto più facile cercare di stabilire, con costanza, un cammino comune tra scienza e spiritualità.

Magari anche tra scienza e fede, anche se, a differenza degli interrogativi che ci si può autocoscientemente porre sulla propria parte spirituale, il punto di fede è di per sé inspiegabile e dogmatico.

Per questo, le filosofie e i culti orientali, diversamente dalle religioni monoteiste classiche (Cristianesimo, Islam, Ebraismo), si rivelano più compatibili nell’incontro anche tra osservazione scientifica e rapporto con il metafisico: dall’interiorità intesa psicoanaliticamente a quella percepita come energia che sta nella materia e che non muore definitivamente con essa.

Non fosse altro perché la materia si trasforma di continuo e i nostri atomi, le particelle di cui siamo composti, il giorno in cui non saremo più vivi, continueranno ad esistere in altre forme, cambiando con l’incontro di altri pezzetti di materia e, quindi, di energia “cosmica“. Stimolante è la quantità di domande che permangono e che, non per forza, sono il destino cinico e baro assegnatoci da qualche divinità per farci agognare le risposte in un infernale tormento terrestre.

Questa corsa e rincorsa tra quesiti e soluzioni degli stessi è una parte della dialettica che ci caratterizza in quanto esseri coscienti ed autocoscienti: è energia essa stessa, ed è, quindi, dentro il nostro nucleo primordiale, dentro quell’inconscio che ci fa essere ciò che siamo ogni giorno, in un rapporto tutt’altro che semplice con le pretese dell’Io che lo vorrebbe addomesticare in ragione delle necessità esclusivamente riconducibili all’assolutismo razionalistico.

Almeno, nonostante paiano, se riportati alla mediocrità della quotidianità, discorsi oziosi e privi di concretezza, permettono un po’ di distrazione proprio dal torpore anestetizzante e uniformante dell’appiattimento mentale della globalizzazione moderna. Scienza e spiritualismo sono due straordinari compagni di viaggio per alimentare la passione per la vita: per ciò che siamo e che non siamo.

Per ciò che potremmo essere e che, eticamente più piccoli degli elementi strutturali atomici, non siamo e forse non saremo mai.

MARCO SFERINI

10 marzo 2024

foto: screenshot ed elaborazione propria

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Il portico delle idee

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