La Costituzione non ha bisogno di un altro colpo a tradimento

Referendum. L’amara verità è che la nostra povera Carta costituzionale è ostaggio di un impresentabile ceto politico, che, scaricando su di essa le proprie inadeguatezze, al tempo stesso ne prepara ed auspica la rottamazione
La Costituzione della Repubblica Italiana firmata dal Presidente dell'Assemblea Costituente Umberto Terracini, dal Presidente del Consiglio dei Ministri Alcide De Gasperi, dal Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola e controfirmata dal Guardasigilli Grassi (27 dicembre 1947)

Eccoci alle soglie di un altro suicidio collettivo della sinistra parlamentare, quello di domenica 20 settembre con il referendum. Noi che ci siamo formati politicamente sui testi di Gramsci ed ascoltando le parole di Ingrao e Berlinguer, che poi, per la medesima passione, abbiamo studiato la storia italiana

E abbiamo appreso del fiume di pensiero e di sangue che ci ha condotti dagli ideali risorgimentali alla guerra di popolo contro gli oppressori nazi-fascisti ed alla conquista della dignità collettiva in quella Costituzione che ipocritamente i rappresentanti di quella sinistra continuano a definire “la più bella del mondo”.

Noi continuiamo ad essere ben consapevoli che la sovranità del popolo, tanto a sproposito e ad ogni piè sospinto evocata dalle masnade populiste è, in primo luogo, nel parlamento che vive. Non a caso è sempre stato il parlamento, quell’aula “sorda e grigia”, il primo obiettivo dell’azione demolitrice di ogni totalitarismo in ogni luogo del mondo. Lo sconcio dei motivi addotti a sostegno di questo sfregio è poi tale che avrebbe meritato ben altra reazione di quella che s’è vista: risparmiare qualche lira.

Nel paese dei consiglieri regionali e dei parlamentari più pagati d’Europa non si dimezzano gli stipendi degli uni e degli altri – obiettivo raggiungibile in pochi mesi con legge ordinaria ed ben maggiori risparmi – no, si diminuiscono i rappresentanti del popolo.

Né ovviamente si toccano le ragioni per cui quei rappresentanti sono così poco rappresentativi – mancanza di un sistema proporzionale che darebbe voce alle minoranze, proibitive soglie di sbarramento, abolizione delle preferenze e conseguente Parlamento di nominati, anche questi obiettivi tutti raggiungibili con legge ordinaria – piuttosto si cerca il modo di disperderla definitivamente quella rappresentatività. E per trenta denari, verrebbe da dire.

I goffi tentativi del Ministro Di Maio non sono riusciti ad occultare la realtà: al netto di contributi e imposte, il risparmio netto (fonte insospettabile Carlo Cotarelli, il vate della spending-review) sarà di circa 25 milioni all’anno, il costo di un caffè per italiano in cambio di una bella picconata. Del resto al parlamento i 5 stelle non credono e questo poco stupisce, ché il grande Bobbio ci avvertì già una quarantina d’anni or sono: se uno dice “non sono né di destra né di sinistra”, allora è certamente di destra.

Ridicoli sono poi i paragoni con altri Stati per l’elementare ragione – che impari al primo anno di giurisprudenza o scienze politiche, come suol dirsi – che ogni sistema costituzionale è figlio della storia della propria comunità. Sono stati federali gli Stati Uniti e la Germania, i primi nati addirittura da una guerra civile fra quei 50 stati poi federatisi ed ognuno dei quali ha un proprio parlamento; la seconda con 16 Land, ciascuno dei quali nomina i propri rappresentanti in una delle due camere, il Bundesrat. In Gran Bretagna, poi, la camera dei Lord è espressione della “nobiltà di sangue” dei propri membri ed in Francia parliamo di un sistema semipresidenziale.

L’amara verità è che la nostra povera Costituzione è ostaggio di un impresentabile ceto politico, che, scaricando su di essa le proprie inadeguatezze, al tempo stesso ne prepara ed auspica la rottamazione. Come lucidamente ha compreso la destra, che giungerà così alla soglia del sempre auspicato presidenzialismo (il potere di un Capo) e come, dall’altra parte, hanno ben chiaro solo i più lucidi e cinici ed i potentati economici che li sostengono.

Hanno inferto due sfregi profondi di cui ancora paghiamo le conseguenze, con la riforma del titolo V ed il caos nei rapporti fra Stato e Regioni che ne è conseguito e con l’inserimento del principio del pareggio in bilancio e relativo strangolamento dello stato sociale, ma intendono rifarlo ancora ed ancora una volta il prezzo più alto lo pagheranno i più deboli: le minoranze politiche, i ceti sociali più bassi, il sud del paese. Giacché è evidente che, per noi elettori, noi cittadini, non potrà che essere più difficile avere più ospedali, più scuole, più strade e sistemi di collegamento, più sostegno nelle emergenze ambientali che devastano i territori, più presidi di legalità, una volta che avremo meno rappresentanti cui indirizzare le nostre istanze.

Quanto al Sud, anche questo è già noto. La media del taglio di parlamentari sarà, in percentuale, del 36,5%, ma, ad es. in Calabria sarà del 40%, in Basilicata del 57,1%. In Trentino Alto Adige per eleggere un senatore basteranno 171 mila abitanti, in Sardegna ce ne vorranno 328 mila, come dire che il voto di un sardo varrà la metà di quello di un altoatesino ed eccoci ricacciati agli albori dello stato unitario.

Altro che i complotti evocati da Zingaretti, piuttosto il risultato della mediocrità pagato al caro prezzo di consegnarci di nuovo alla peggior destra d’Europa. Ci hanno voluti ciechi ed inerti col trucco del taglio alle poltrone e con quello dell’abbinamento alle amministrative, ma in tanti adesso stanno aprendo gli occhi: diamogli una delusione, riprendiamoci la dignità, l’eguaglianza e la nostra Costituzione, andiamo a votare NO.

EMILIO SIRIANNI

da il manifesto.it

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Politica e società

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