Ilva, la dura replica della realtà

La vicenda “Arcelor Mittal/Ilva” appare paradigmatica della difficoltà per l’Italia di trovare una quadratura di governo nei tempi bui della “democrazia recitativa”. Una forma di esercizio della democrazia ormai...

La vicenda “Arcelor Mittal/Ilva” appare paradigmatica della difficoltà per l’Italia di trovare una quadratura di governo nei tempi bui della “democrazia recitativa”.

Una forma di esercizio della democrazia ormai portata al parossismo della comunicazione immediata collocata al posto della visione dei processi di fondo e della conseguente capacità progettuale (prima ancora che programmatoria).

Una storia che viene da lontano e che, va detto per onestà intellettuale, non può essere assegnata in carico ai governanti di oggi: nel caso specifico il riferimento è rivolto a scelte compiute fin dagli anni’80 (se non prima) del secolo scorso quando, per cause varie concomitanti e in gran parte dovute a scelte politiche sbagliate, si andò quasi all’azzeramento della presenza pubblica nei settori industriali strategici: quei settori che producevano cose che, come sostenevano gli operai dell’Ansaldo, l’indomani non si sarebbero comprate al supermercato (e, aggiungiamo, neppure negli autosaloni).

L’Italia, proprio nel momento in cui firmava il trattato di Maastricht e si apprestava (con governi che mettevano davvero “le mani nelle tasche dei cittadini) ” a entrare nell’euro accusava il colpo di un incolmabile deficit sul piano industriale non avendo affrontato i termini dell’innovazione in diversi settori presentando complessivamente un know-how insufficiente e un ritardo decisivo nello stabilire un rapporto tra presenza industriale e sostenibilità ambientale in grado di affrontare la grande contraddizione che presentava nella modernità l’intreccio appena citato.

Non si ricostruiscono qui tutti i passaggi avvenuti nel tempo e che hanno portato alla situazione attuale:passaggi attraverso i quali si è pervenuti a una sostanziale assenza di una minima capacità di governo posta appena al di fuori dalla banalità della propaganda.

Appaiono essere queste le principali ragioni per le quali ci stiamo trovando in questa condizione di totale incapacità della politica a fronteggiare situazioni complesse:

1) il distacco verificatosi nel tempo dell’intreccio tra cultura e politica e la subalternità dimostrata dalla classe dirigente verso la tecnocrazia imperante . Ai tecnocrati e ai lobbisti loro braccio armato conveniva assolutamente si smarrissero appunto le coordinate politiche. Una visione ideologica quella del primato della tecnica che ha prodotto egemonia eversiva contribuendo fortemente al fenomeno dello sfrangiamento sociale;

2) da una dichiarazione di Massimo D’Alema: ”Al tempo stesso, abbiamo sottovalutato che il capitalismo non regolato può avere effetti devastanti sull’equilibrio naturale. L’espandersi senza freni di un capitalismo globale ha portato all’accumularsi di diseguaglianze sempre meno contrastate sul piano politico.”

A complicare ulteriormente questo quadro già così complicato sono intervenuti altri fattori posti sul piano ideologico e mutuati, da un lato, dal “sovranismo” e dall’altro dalla “decrescita felice”.

Così ci si è rifugiati nell’idea dell’autosufficienza per parti ristrette del Paese nelle quali i modelli istituzionali appaiono essere quelli protezionistici – corporativi.

Egualmente, da un altro versante, si cercano di ignorare le ragioni di nuove possibilità di sviluppo e si tende a rifiutare ogni soluzioni che dovrebbero comportare un’esigenza di progettualità innovativa. Meglio dire di no sempre e comunque. Contemporaneamente si è aperta una fase di “neo-assistenzialismo”.

Lo smottamento di tutti i soggetti di intermediazione, partiti, sindacati, associazioni, non è stato dovuto soltanto a una volontà superiore che reclamava il “decisionismo” ma a un adeguamento voluto dal gruppo dirigente (largo) dell’Italia per arrivare ad affogare ogni capacità progettuale nel grande mare del personalismo.

Un personalismo in ascesa nel nostro sistema politico dopo la forte promozione ricevuta in una fase egemonizzata dal “conflitto d’interessi” e arrivato al punto della creazione di veri e propri “partiti personali”.

In parallelo alle profonde modificazioni subite dal sistema politico cui si è già accennato, nella società dello spettacolo crescevano le male piante del razzismo, dell’intolleranza, dell’insofferenza ai vincoli dettati dal rispetto della Costituzione . Cedevano il passo i partiti ridotti a mera sede di ospitalità per cordate con il potere unica meta (questo il significato vero della “vocazione maggioritaria”) e di “antipolitica” usata per scalare la più vecchia e trita delle “politiche”, quella della cosiddetta “bassa macelleria” con tanto di riuso del Manuale Cencelli.

Nella consapevolezza di aver trascurato in questa analisi i riflessi (fondamentali) di quanto avvenuto sul piano internazionale non resta che trarre alcune conclusioni:

1) il dramma dell’ILVA è il dramma dell’Italia ma le cause non stanno solo e semplicemente nelle pieghe del contratto stilato con Arcelor – Mittal. Le cause di questa difficoltà risalgono perlomeno a 40 anni fa attraverso l’adozione di scelte che francamente non possono essere giudicate altro che sbagliate o comunque insufficienti (liquidazione dell’IRI, Maastricht, gestione del dopo – muro, difficoltà a realizzare la realtà delle nuove contraddizioni post – materialiste);

2) l’attuale governo sta dimostrando un’assoluta debolezza nel tentare di fornire un indirizzo coerente allo stato di cose in atto. Una situazione derivante, anche, da una crisi strutturale del quadro dirigente del Paese, nel frattempo nel corso fase di passaggio dalla “Repubblica dei Partiti” in poi  tutto cresciuto all’ombra di quella che è stata definita “democrazia recitativa” in rapporto a una società corrosa dall’individualismo competitivo. Tutto questo fino al delirio di questi giorni sul piano del “revisionismo storico”. Un esempio del corrompimento morale che alberga nel Paese e che sta compromettendo la stessa visione politica;

3) è completamente assente, nell’insieme del quadro politico italiano, un’espressione di sinistra capace di rimettere in campo quella visione progettuale e quella effettiva direzione di marcia  posta in un quadro di “visione storica”che avevano rappresentato le caratteristiche della sinistra legata al movimento operaio.  Per progettare il futuro serve una valutazione sulla sinistra del passato  indipendentemente se la collocazione dei suoi due principali partiti (comunista e socialista) fosse all’opposizione oppure al governo. Una valutazione di ciò che è stata la sinistra italiana da sviluppare urgentemente avendo di fronte adesso una necessità di ricostruzione.

FRANCO ASTENGO

9 novembre 2019

foto: screenshot

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