Non si sa se ridere o piangere leggendo la risposta del ministro degli esteri Tajani all’interrogazione di Verdi-Sinistra sull’appalto per lo sfruttamento del gas offshore palestinese nelle acque di pertinenza della Striscia di Gaza.

Un appalto da parte di Israele a un consorzio di cui fa parte l’Eni, società a maggioranza governativa.

Il ministro Tajani si arrampica sugli specchi. Dice che non c’è sfruttamento delle risorse palestinesi. Lo sfruttamento dei giacimenti non c’è «ancora», semplicemente perché non è iniziato e deve terminare la fase esplorativa.

Siamo ai giochi di parole che non fanno certo onore a un governo che al vertice con l’Africa sul Piano Mattei si è vantato di non fare «capitalismo predatorio», Questo è peggio: è «capitalismo neocoloniale» per il solo fatto che Israele assegna le concessioni sul gas su parti di mare che non le appartengono. Qui si ruba e basta.

Ma c’è dell’altro – come abbiamo scritto sul manifesto domenica scorsa. La concessione è stata assegnata all’Eni in luglio, prima del massacro di Hamas del 7 ottobre e della terrificante ritorsione israeliana, ma il ministro dell’Energia di Tel Aviv ha dato l’annuncio della firma del contratto il 29 ottobre, quando la guerra era già esplosa.

In una situazione del genere l’Eni e il governo avrebbero dovuto comunicare una sospensiva del contratto. Invece abbiamo saputo di questo affare soltanto qualche giorno fa, dopo che alcuni gruppi palestinesi per i diritti umani hanno dato mandato allo studio legale Foley Hoag di Boston di comunicare all’Eni e alle altre società coinvolte una diffida dall’intraprendere attività in queste acque. Evocando il rischio di complicità in crimini di guerra.

Come se non bastasse Tajani aggrava la sua posizione. Afferma infatti ci sono «interessi confliggenti» e «che la via maestra è quella del dialogo».

Bene: non risulta che l’Eni abbia mai negoziato con i palestinesi ma solo con il governo israeliano. Allora informiamo il ministro che lo Stato di Palestina ha aderito alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare e dal 2019, in linea con la Convenzione, proietta la sua porzione di mare per 20 miglia dalla costa.

Forse a Tajani sfugge che nel 1999 l’Autorità Palestinese concesse una licenza alla British Gas che l’anno successivo scoprì un grosso giacimento al largo delle coste di Gaza, noto come Gaza Marine. Ma i palestinesi non possono estrarre il gas di Gaza Marine: Israele dal 2007 ha infatti dichiarato un blocco navale intorno alla Striscia.

Altro che «interessi confliggenti». Insomma Israele fa quello che vuole, violando come al solito le convezioni internazionali, e noi la seguiamo.

La prossima volta che il ministro e questo governo parleranno di soluzione diplomatica «tra due popoli e due stati» scoppieremo a ridere per il semplice motivo che sono i primi a sbeffeggiarla.

Lingue di legno. Ecco perché non si sa se ridere o piangere.

ALBERTO NEGRI

da il manifesto.it

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