«Alla scuola pubblica mancano finanziamenti che potrebbero arrivare dal privato. E al nord il costo della vita è più alto: vanno trovate soluzioni per il personale scolastico di quei territori – dove è forte la mancanza di docenti – con i sindacati e le regioni». Lo ha detto Il ministro dell’«istruzione e del merito» Giuseppe Valditara, prima di ritrattare.

Gabbie salariali? Ma quando mai. Fare entrare i privati nelle scuole? Mai detto. Bisogna abituarsi agli annunci del governo Meloni. È una tattica ed è quello che gli resta. Producono rumore mediatico, scandiscono le giornate all’inizio della settimana, durano il tempo del sottopancia in un talk show e non arrivano al week-end. Basta un «non l’ho mai detto così come dite voi» per ricominciare di nuovo, aprendo un altro file, la settimana successiva.

Valditara è uno specialista della materia. Sembra avere ricevuto la delega ai discorsi diffusi prematuramente, in maniera imprecisa o decontestualizzata, comunque ad arte attraverso discorsi improvvisati. O circolari ai docenti e agli studenti.

Ricordiamo la rimozione del nazi-fascismo e il revisionismo storico sul comunismo prima, la pedagogia dell’umiliazione poi. Un altro esempio è la differenziazione degli stipendi per i docenti e il personale scolastico in base al costo della vita più alto al Nord che al Sud, oltre che al rendimento e alla funzione svolta, oppure il finanziamento della scuola da parte dei privati. Gli ultimi due annunci sono stati fatti mercoledì scorso.

Tanto rumore per nulla? Non proprio. Per due ragioni. La prima: queste uscite servono a saggiare le reazioni dell’opinione pubblica. A cominciare dagli oppositori. E a modulare l’ispirazione ideologica che guida l’azione del governo a seconda degli obiettivi.

Nel caso di Valditara una solida impostazione conservatrice e reazionaria con il culto dell’impresa e del capitale. Elementi costitutivi delle nuove destre leghiste e post-fasciste, la sintesi di quello che è stato chiamato «neoliberalismo autoritario». Questa politica è marketing e la comunicazione veicola un posizionamento sul mercato elettorale.

Gli annunci di Valditara fanno parte di un progetto. Lui lo chiama «meritocrazia». Per ingraziarsi la divinità ha cambiato persino la dizione del suo ministero. Differenziare gli stipendi, in ciascuna scuola e non solo tra le regioni, significa valorizzare le «competenze», promuovere le «eccellenze», mettere in competizione gli «esperti» e i «non esperti». Pur di non aumentare i salari più bassi d’Europa si divide il mondo tra «meritevoli» e «non meritevoli».

Questa però non è una prerogativa solo del governo attuale. È l’uovo di colombo che rispunta da trent’anni. Prendiamo il contratto nazionale della scuola, peraltro non rifinanziato per il prossimo triennio. Valditara sostiene di non volerlo modificare. È sufficiente cambiarlo dall’interno, agevolando la politica attuale. Lo ha fatto Patrizio Bianchi, ex ministro del Pd nel governo Draghi.

Ricordiamo il suo maldestro tentativo di creare i «docenti esperti»: nozione inventata per differenziare gli stipendi, in base sia al «merito» che all’autonomia di ogni scuola. In questa scia si inserisce anche un’altra proposta di Valditara sul «docente tutor»: «Saranno formati e pagati di più». La tentazione che attraversa la destra e la sinistra neoliberale è nata dallo stesso ceppo: l’«autonomia» scolastica di vent’anni fa ha incubato il processo di trasformazione della scuola in un «quasi mercato». La scuola è un laboratorio. Ciò che viene sperimentato qui vale per tutto il pubblico impiego. E non solo, evidentemente.

In questa cornice si spiegano le velleità di Valditara sui «professionisti aziendali» in classe, sulle «sponsorizzazioni», sulle «sinergie con il sistema produttivo». Sempre che esista un interesse imprenditoriale a partecipare alla vita di un istituto con la «società civile».

Idee ricorrenti sin dai tempi di Luigi Berlinguer, smentite da anni. Cortine fumogene che nascondo l’elefante nella stanza. Invece di rifinanziare gli otto miliardi di euro tagliati da un governo Berlusconi nel 2008, in cui sono cresciuti i post-fascisti attuali, si cercano i soldi nelle imprese. Mentre i presidi dell’Anp chiedono di trasformare le scuole in fondazioni. Un altro modo per dividere le regioni, e gli istituti, «ricchi» da quelli «poveri».

Non occorre aspettare la realizzazione del progetto leghista dell’«autonomia differenziata». Basta assecondare il processo di disgregazione, a cominciare da quello in corso nella scuola. Il paese è già a pezzi. Basta dargli un’altra spinta. Ancora uno sforzo.

ROBERTO CICCARELLI

da il manifesto.it

Foto di Stanley Morales