Gli uomini che fecero l’Italia

I tempi, per fortuna (e per tanta lotta), sono davvero cambiati. Quando Giovanni Spadolini scrisse “Gli uomini che fecero l’Italia“, non pensò di considerare nel titolo anche le donne...

I tempi, per fortuna (e per tanta lotta), sono davvero cambiati. Quando Giovanni Spadolini scrisse “Gli uomini che fecero l’Italia“, non pensò di considerare nel titolo anche le donne che aiutarono lo sforzo risorgimentale nell’unificazione politica e sociale della Penisola. A dire il vero, la storia ottocentesca che portò all’eliminazione degli staterelli pre-napoleonici è per la stragrande maggioranza costellata da busti, ritratti e figure maschili.

Ruoli militari e di governo, con in mezzo avventurieri e sognatori di ogni tipo, venivano tutti quanti da una società patriarcale e maschilista, nonostante molti dei protagonisti avessero in merito all’emancipazione femminile idee moderne che, per così dire, veleggiavano tra il liberalismo e il socialismo più acceso e vigoroso.

Nei due tomi che Spadolini diede alle stampe ormai più di trent’anni fa, le donne ci sono ma, per l’appunto sono poche. Si potrebbe affermare che non è poi così tanto il numero che conta, quanto semmai lo spessore di coloro che presero parte all’epopea dei moti, del 1948-49, delle insurrezioni disseminate da nord a sud della futura Italia, fino alla Spedizione dei Mille, alla Terza Guerra di Indipendenza e alla presa di Roma.

Eppure la quantità separata dalla qualità perde ovviamente una virtù. E, naturalmente, viceversa. Così, aprendo questo datato libro di uno dei repubblicani più famosi, di uno degli uomini che, calato completamente nel suo tempo, ha contribuito a dare un volto alla Repubblica italiana per cui Mazzini si era tanto battuto, si fa un viaggio quasi fantastico lungo due secoli, introdotto da Norberto Bobbio, arricchito anche da un dizionarietto che riassume le biografie di chi è tratteggiato in un determinato momento della sua vita.

Spadolini alterna la prosa del racconto storico, meticoloso ma altrettanto comprensibile ad un vastissimo pubblico di lettrici e lettori, a citazioni virgolettate che ne fanno un romanzo in cui i protagonisti non si conoscono attraverso le pagine del libro, ma proprio e soltanto tramite l’epoca da cui vengono richiamati per fare da memoria quasi palpabilmente presente, in carne ed ossa, davanti a noi.

Chiunque abbia studiato un po’ di storia del Risorgimento italiano, sa che in un volume di questa natura non possono certo mancare i patrioti che hanno materialmente speso le loro vite per l’unità del Paese, per una coscienza nazionale, per una precisa connotazione sociale di una Italia più giusta e libera. Ma Spadolini ci sorprende, perché il suo libro tutto è tranne una carrellata di ritratti incorniciati da una melensa tentazione apologetica; e nemmeno ha voluto che fosse, nel suo insieme, solo una antologia di brevi cenni della vita di donne e uomini per cui quel secolo di riscatto fu davvero, invece, molto, molto lungo.

Ritorna con Spadolini quel “Risorgimento senza eroi” gobettiano, quell’introdursi tra le pieghe della Storia rispettandone tutte le particolarità, le evidenti contraddizioni, rifuggendo la voglia di leggere racconti lineari e, per questo, surreali di una straordinaria odissea che coinvolse i più diversi ceti sociali, i caratteri e gli umori, l’impronta culturale, civile e morale di personaggi che, se l’Italia fosse già stata unita, probabilmente non si sarebbero nemmeno mai incrociati di striscio.

Siccome la galleria delle donne e degli uomini che fecero l’Italia è anti-apologetica, Spadolini va ben oltre la fase risorgimentale dell’Italia nascente. Si spinge indietro nel tempo, aggiunge nuovi capitoli al suo libro che, nel mentre, riscuote un successo tale da esaurire le prime sei ristampe in pochissimi mesi. E’ un testo utile agli studenti, agli insegnanti e a tutti quelli che vogliono fare un ripasso e, perché no, conoscere per la prima volta chi nell’estrema sintesi dei sussidiari e dei libri di scuola non è mai stato citato.

Da Alfieri, Foscolo e Leopardi fino a Gramsci, Sturzo, Einaudi. La parabola della conformazione dell’italianità dell’Italia è tradotta in una linea del tempo che non conosce soluzione di continuità: soprattutto nell’essere terribilmente contraddittoria e svelando, con l’arrivo del ‘900, l’accelerazione impressa dalle scienze che oltrepassano una morale incespicante, frenata dall’avvento del fascismo, riconvertita in un moderno conservatorismo che trova nella saldatura tra borghesia e autoritarismo il fulcro di un equilibrio antisociale, illiberale e ipocritamente nazionalista.

I valori del Risorgimento, negati dal regime di Mussolini, sono gli unici che Spadolini riconosce per l’ingresso nel Pantheon di coloro che fecero l’Italia. Non c’è posto tra i costruttori del Paese per i fascisti. Il repubblicanesimo è naturalmente antifascista, perché il sogno di Mazzini, ma pure di Garibaldi (e in un certo senso che di Cavour), era la nascita di un popolo che trovasse nella reciproca convivenza la pietra angolare per la fondazione tanto del nuovo Stato italiano quanto della nuova comunità nazionale.

Le cose andarono diversamente. Lo sappiamo. Crispi giustificò, tra i primi, quel trasformismo italico che sarebbe divenuto una caratteristica endemica di una cattiva e mala politica che, di pari passo con l’espansione capitalistica, divenne sempre più rivolta alla tutela degli interessi privati rispetto a quelli pubblici.

Il viaggio che Spadolini ci invita a fare con la sua galleria di personaggi, costringe a fare i conti con un Risorgimento che va demitizzato senza essere riscritto daccapo. Il passaggio dal clima ottocentesco a quello del nuovo secolo è dirimente per comprendere, allo stesso tempo, la particolarità del “caso italiano” dopo il Congresso di Vienna e l’ingresso nella grande contesa europea dei nazionalismi in espansione, con la conseguente rovina degli stati multietnici, federati e, al tempo stesso, centralizzatori sul piano burocratico.

L’Italia di Spadolini è quella idealizzata, preconizzata e sognata da Mazzini che, proprio con la fine della tragedia bellica novecentesca, approda alla Costituente repubblicana, ad una scrittura di un patto comune tra gli italiani molto simile a quello approvato mentre i francesi entravano nella Roma del 1849 soffocando uno dei momenti più alti della nostra coscienza nazionale, popolare, laica ed egualitaria.

Non è un caso che il capitolo III del secondo volume, allora edito da Longanesi, sia intitolato “La leggenda nazionale“: il clima che si respira in quel biennio rivoluzionario, nel 1848 apertosi con Pio IX che reclamava la benedizione divina sull’Italia e con l’avanzata di Carlo Alberto verso Venezia, è veramente degno del canto degli antichi aedi, dell’epica omerica. Per potenza espressiva, per passione e per l’emergere di un connubio tra rivoluzione italiana e rivoluzione sociale.

Carlo Pisacane, Garibaldi stesso, e tanti altri giovani che si uniranno alle camicie rosse, lotteranno per la liberazione del Paese e la sua fondazione unitamente ad una proiezione in un futuro socialista, libero dal “governo dei preti” da un lato e da quello della borghesia dall’altro.

I contrasti e le diatribe pre-unitarie sulla forma dal dare al nuovo Stato lasceranno il passo alla contesa di classe, alla lotta fra un proletariato molto diverso da nord a sud e una borghesia che cercherà di gareggiare con le potenze europee, spingendo l’Italia a nuove guerre, al colonialismo, ad una fase imperialista che culminerà nella guerra di aggressione fascista, nell’alleanza suicida e omicida con il Terzo Reich hitleriano.

Nelle ultime pagine dell’opera di Spadolini, mentre si leggono le drammatiche vicende del primo fascismo declinate nelle vite di Gobetti, Gramsci e Sturzo, una vena malinconica riecheggia un processo risorgimentale incompiuto e che, solo dopo la grande ferita del ventennio mussoliniano e la tragedia del disastro bellico, troverà la sua naturale e giusta conclusione con la scrittura della Costituzione, dopo la proclamazione della Repubblica.

Forse non si è trattato di una fine di un lungo cammino durato quasi un secolo e mezzo. Forse si è trattato di un inizio. Di un nuovo inizio. E allora toccherà a qualcun altro scrivere il seguito della storia messa nero su bianco da Giovanni Spadolini, magari con un titolo diverso e uguale al tempo stesso, che potrebbe essere…: “Le donne e gli uomini che ricostruirono l’Italia“.

GLI UOMINI CHE FECERO L’ITALIA
GIOVANNI SPADOLINI
LONGANESI & C.
Prezzo variabile a seconda dell’edizione nuova o usata reperibile su Internet

MARCO SFERINI

9 febbraio 2022

foto: particolare della copertina del libro

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