Nella Giornata Internazionale della Donna, parliamo di uomini. Potrà sembrare un controsenso, ma non lo è. Questa giornata (che, ricordiamolo, non è una festa) è l’occasione per rimarcare ancora una volta i pregiudizi che colpiscono le donne ancora in tutto il mondo: secondo l’ultimo Global Gender Gap Report del World Economic Forum, non c’è neppure un paese nel quale siano state superate tutte le discriminazioni di genere.

Ma l’Otto marzo è anche un momento di rivendicazione: ogni anno, Non Una Di Meno indice lo sciopero della cura e del lavoro retribuito per dimostrare che il paese, senza tutti i lavori delle donne, si fermerebbe. Non è un tema solo italiano ovviamente. Secondo Oxfam, il valore del lavoro di cura fornito gratuitamente dalle donne a livello mondiale (occuparsi dei figli e delle figlie, della casa, dei genitori propri e altrui, solo per fare qualche esempio), se venisse monetizzato, ammonterebbe circa a 12mila miliardi di dollari all’anno.

E invece rimane invisibile. Perché il lavoro delle donne viene dato per scontato, a causa di una divisione di genere del lavoro retribuito e di quello non retribuito che si basa solidamente sugli stereotipi. Ma forse, l’otto marzo può anche essere un momento per costruire un ponte. Nel corso degli ultimi anni, il supporto degli uomini alla causa della parità di opportunità si sta facendo sempre più ampio e visibile.

E da qui forse possiamo e dobbiamo partire per costruire una nuova alleanza. Anche evidenziando un dato incontrovertibile: il patriarcato fa malissimo alle donne, letteralmente le uccide, ma anche agli uomini non è che faccia un granché bene.

Sono sempre più numerose le ricerche, nazionali e internazionali, che dimostrano per esempio che il mito della virilità, che vuole l’uomo sempre forte e monolitico, esercita impatti sulla salute degli uomini che da individuali si fanno collettivi. Sul Journal of Public Health, per esempio, è stato pubblicato l’esito di una ricerca scientifica che sottolinea la maggiore consapevolezza delle donne rispetto alla prevenzione e a tutti quei comportamenti che tendono a proteggere, per quanto possibile, dal rischio di ammalarsi.

Mentre gli uomini, che sono chiamati ad aderire a uno stereotipo che li vuole mai fragili, ricorrono con minore frequenza alle cure dei medici e alla prevenzione in generale. Dati confermati anche dal Report realizzato dall’istituto guidato da Nando Pagnoncelli per la Fondazione Pro e intitolato «La salute maschile: stile di vita e abitudini di prevenzione degli uomini italiani»: per ogni singolo uomo che effettua controlli periodici, le donne che fanno lo stesso sono circa 30.

Il tema si fa ancora più delicato, poi, quando si parla di salute mentale. Un’educazione patriarcale tende ad allontanare l’uomo dall’esplorazione delle proprie emozioni, come dimostrano Daniele Coen e Valeria Raparelli, autori di Quella voce che nessuno ascolta. Molti uomini non chiedono aiuto, le loro depressioni sono spesso sotto diagnosticate e sotto trattate.

È un cambio di prospettiva, certo, quello che qui stiamo proponendo. Vista così, la situazione che deriva da una società patriarcale è sconsolante anche per gli uomini. Non fa bene a nessuno nemmeno sotto il profilo meramente economico. Il fatto di controllare di meno il proprio stato di salute è solo una delle facce della medaglia complessa dei comportamenti legati a una concezione esasperata di virilità.

Lo dimostra Ginevra Bersani Franceschetti, nel suo bel libro Il costo della virilità: solo in Italia, gli uomini sono il 92% degli imputati per omicidio, il 99% degli autori di stupri, l’83% dei responsabili di incidenti stradali mortali, l’87% dei colpevoli di abusi su minori, il 96% della popolazione mafiosa, il 92% degli evasori fiscali, il 93% degli spacciatori. Bersani Franceschetti stima a quasi 99 miliardi di euro all’anno il costo dei comportamenti virili antisociali sull’economia italiana per il 2019. Parliamo del 5% del Prodotto Interno Lordo italiano. O 1.700 euro a persona, ogni anno.

Ripartiamo da qui. Ripartiamo da un ribaltamento degli stereotipi patriarcali. Non solo di quelli che vogliono le donne fragili e vulnerabili. Ma anche di quelli che vogliono gli uomini forti e invincibili. Secondo una recente ricerca della California State Univerisity di Long Beach, i padri più presenti nella cura dei figli e delle figlie godono di salute migliore: hanno meno possibilità di soffrire di depressione e rivelano livelli di felicità più elevati rispetto a quelli che non lo fanno. E allora, ripartiamo dalla cura, dalla condivisione.

Costruiamo un sistema nuovo insieme, che faccia il bene di tutte e di tutti.

AZZURRA RINALDI

da il manifesto.it

foto: screenshot You Tube