«Nessun timore: lavoriamo serenamente in collaborazione con la Commissione», assicura il ministro Raffaele Fitto, responsabile per l’attuazione del Pnrr. Al governo deve essere arrivata un’intera partita di Valium perché si dicono «sereni», uno dopo l’altro, anche i ministri Urso, Calderone, Pichetto. Proprio sereno per la verità Fitto non è sembrato nella riunione della cabina di regia di martedì sera, quando ha chiesto a tutti i ministri di potargli il prima possibile un rapporto sui progetti la cui realizzazione entro giugno 2026 è, parola dello stesso Fitto, «matematicamente, scientificamente impossibile».

Quella che il pilota del Pnrr definisce «una risonanza magnetica del Piano» deve essere pronta nel giro di un mese, entro il 30 aprile. È il giorno in cui dovrebbe essere sbloccata la terza rata del Recovery Fund, 19 miliardi che sarebbero dovuti entrare in cassa il 28 febbraio e che sono sospesi grazie a due proroghe consecutive e non è escluso che la Commissione ne chieda una terza. Ma è anche il giorno in cui i fondi del Pnrr e quelli di RePowerEu dovrebbero essere integrati.

Quest’ultimo è per l’Italia un passaggio importante perché l’àncora di salvezza alla quale Fitto spera di appigliarsi è proprio l’integrazione tra diversi fondi, che permetterebbe lo slittamento dell’inarrivabile data di scadenza del 30 giugno 2026. Il ministro vagheggia «un coordinamento unico per il Pnrr, la Coesione che scade nel 2029 e il Fondo di sviluppo e coesione che essendo nazionale non ha scadenza. Credo che sia la soluzione più logica».

Sarebbe in effetti un colpo di bacchetta magica perché i progetti del Piano irrealizzabili nei tempi dovuti scivolerebbero nella Coesione ottenendo così altri tre anni. Resta da vedere se la Commissione sarà d’accordo. Come dire che tutto dipende da chi prevarrà a Bruxelles, se i falchi del nord capitanati dall’immancabile vicepresidente Dombrovskis, che ha già dato per spacciato il progetto di Fitto con un laconico «è molto difficile», oppure il partito della flessibilità, ora prevalente e guidato dalla presidente von der Leyen.

Si dice Italia, s’intende Europa. Dalla partita sul Pnrr italiano dipende infatti il corso che prenderà l’Unione. Il fallimento dell’Italia assegnerebbe una vittoria risolutiva a chi vuole tornare al rigore, chiudere la parentesi del Next Generation Eu e rinviare la messa in comune del debito a millennio da destinarsi.

Proprio perché in ballo c’è molto più che non la sola sorte del Pnrr, capitolo già fondamentale, la trattativa è destinata ad articolarsi su tutti i fronti, in particolare su quello ancora aperto della possibilità di ricorrere ai biocarburanti dopo il 2035 e su quello della ratifica italiana del Mes. Ma è evidente che per intavolare con buone possibilità di successo quella trattativa l’Italia deve presentarsi il 30 aprile con un quadro credibile e definitivo dei progetti che non possono essere realizzati in tempo e con la soluzione del contenzioso sulla terza rata.

La strada maestra e più semplice sarebbe eliminare dal Piano i due progetti sui quali la Ue storce la bocca, lo Stadio di Firenze e il Bosco dello Sport di Venezia. La Commissione, si sa, ritiene che con l’obiettivo della riqualificazione urbana abbiano poco a che vedere. Ma i sindaci Nardella e Brugnaro non mollano e puntano i piedi.

Nella disfida fiorentina si è infilato anche Renzi con un tweet indirizzato al sindaco suo ex fedelissimo e alla premier: «Togliete lo stadio dal Pnrr. Ha ragione l’Europa a non voler spendere così i soldi del contribuente». È improbabile che l’appello «istituzionale e bipartisan» riesca a convincere Nardella. Meloni invece, con Fitto, sta considerando molto seriamente la retromarcia, se la Ue non si convincerà a dare un per ora improbabile semaforo verde.

Il Pnrr è, con l’immigrazione, il tavolo sul quale il governo si gioca tutto. È dunque ovvio che faccia premio su tutto, anche sulla decisione di eliminare quasi per intero i sostegni contro il caro energia, perché questo è in soldoni il dl varato martedì sera. La polemica è già incandescente. Il Pd vuole che Fitto riferisca in aula. Alla Camera il dl Pnrr dovrebbe arrivare il 17 aprile, al Senato non è escluso lo slittamento.

Il sindaco di Milano Beppe Sala chiede a Fitto, «invece di arrendersi, di affidare la gestione dei fondi del Piano a chi sa spenderli», cioè agli amministratori. Il governatore ligure Giovanni Toti concorda, quello pugliese Michele Emiliano pure ma sono chiacchiere: la partita si gioca tra palazzo Chigi e Bruxelles.

ANDREA COLOMBO

da il manifesto.it

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