Linea dura sul lavoro, si entra soltanto con il certificato verde

A pass di carica. Dal 15 ottobre l’obbligo del Green Pass sarà esteso a tutti i dipendenti pubblici e privati. Decreto approvato all’unanimità

«È un provvedimento unico in Europa»: Brunetta, Gelmini, Orlando e Speranza, i quattro ministri che, assente il premier, illustrano il provvedimento drastico che coinvolge 23mln di lavoratori non mascherano la portata della scelta fatta. E’ un giro di vite molto stretto. A tutti i lavoratori del pubblico e privato, inclusi autonomi e partite IVA, colf e badanti, senza graziare parlamentari e rappresentanti istituzionali, viene estesa la normativa in vigore per la scuola.

A partire dal 15 ottobre senza Green Pass non si entrerà nei posti di lavoro: cinque giorni di assenza ingiustificata, dopo i quali scatterà la sospensione dal lavoro e delle stipendio. In caso di trasgressione multe salate, più per i dipendenti (da 600 a 1500 euro) che per i datori di lavoro (da 400 a mille euro). Non sarà però l’anticamera del licenziamento. Orlando lo ripete fino a sgolarsi: il posto di lavoro e la retribuzione saranno restituiti «a fine emergenza». Data da destinarsi. Per ora il dl sarà in vigore sino al 31 dicembre, scadenza, sempre per ora, dello stato di emergenza. Poi si vedrà. Su questo fronte i sindacati hanno ottenuto quello che chiedevano. Qualcosa la pressione delle confederazioni e della Lega ha strappato anche sul fronte dei tamponi. Gratuiti per chi non può vaccinarsi, molto tagliati per i minori, 8 euro, calmierati per tutti gli altri, 15 euro. In sede di cdm Giorgetti aveva insistito per prolungare la validità del tampone da 48 a 72 ore. Proposta accolta per i molecolari, con emendamento al dl bis in discussione dal 20 settembre alla Camera, non per gli antigienici. Il costo per evitare la vaccinazione è dunque fissato: 120 euro a testa.

A occuparsi dei controlli dovranno essere le aziende stesse, sulla base di linea guida che sono stati incaricati di stendere Brunetta e Speranza. Coppia affiatata: si coprono a vicenda di complimenti, senza perdere una sola occasione per elogiare il premier assente. Sfoggiano un’intesa da famiglia felice e compatta. I partiti possono perdere tempo a litigare, ma la squadra è un’altra cosa. Almeno per ora è un partito a sé, compatto intorno al faro di palazzo Chigi.

La riunione del Cdm era stata preceduta dall’incontro con i presidenti di Regione, presenti oltre alla ministra competente Gelmini, anche Speranza e Orlando, e dalla cabina di regia. La sola tensione si registra nella riunione finale del governo. Franceschini insiste perché, dato l’obbligo di certificato verde, cinema e teatri tornino alla piena capienza. Il ministro della Salute si oppone. Speranza, si sa, è l’incarnazione della prudenza e la prudenza consiglia di verificare l’andamento della curva di contagio. Perché se in conferenza stampa tutti si sbracciano per esaltare gli ottimi risultati ottenuti con i controlli nelle scuole, l’impatto della riapertura, combinato con l’autunno che prima o poi arriverà, è ancora un punto interrogativo. Se ne riparlerà, dati e curva alla mano, il 30 settembre e tutti fanno il tifo per Franceschini. Draghi, rivolto ai ministri, è stato chiaro: «Questo decreto è per continuare ad aprire».

Più precisamente, lo scopo del decreto è forzare la mano al limite dell’obbligo a chi rifiuta il vaccino, nella convinzione, o nella speranza, che una volta arrivati intorno all’85% di popolazione vaccinata i rischi grossi, quello di saturazione delle intensive ma anche, se non soprattutto, quello di dover richiudere, saranno ridotti all’osso.

Sulle motivazioni economiche della scelta i 4 ministri non sono reticenti. L’economia galoppa, il rimbalzo è arrivato al 6%, ma Orlando avverte che «l’economia resta fragile, molti dei nuovi posti di lavoro sono a tempo determinato». Nuove chiusure l’Italia non se le può permettere. Nel tema rientra anche lo smart working ma di quello si parlerà a parte. Vincolarlo alla situazione sanitaria non sarebbe corretto, spiega Orlando e dargli torto è impossibile.

La scelta di far passare un mese prima dell’entrata in vigore del decreto non serve solo a dare a tutti il tempo di prenotare almeno la prima dose di vaccino. L’auspicio è che si ripeta il miracolo di luglio, quando bastò annunciare il primo Green Pass per produrre file chilometriche nei centri di vaccinazione. «Forse sono ottimista, ma penso che potremmo arrivare al 15 ottobre con buona parte del risultato già raggiunto», vagheggia Brunetta.

Resta da capire perché in occasione di una scelta così importante Draghi abbia scelto di non comparire. Probabilmente per mettere in scena il quadro non di un premier-padrone ma di una squadra molto più collettiva e coesa di quanto le divisioni tra i partiti non facciano vedere. La Lega però non era rappresentata. «Nessun problema», taglia corto Gelmini. I governatori avevano approvato al mattino. I ministri nel pomeriggio. La Lega che conta è quella.

ANDREA COLOMBO

da il manifesto.it

foto: screenshot

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