Le tante libere mutevoli forme del desiderio

Non sono una donna e, chissà, magari mi sarebbe potuto piacere esserlo se lo fossi stata. Questioni ontologiche affidate a speculazioni pseudo filosofico-sociologico-psicologiche che a poco servono, perché nel...

Non sono una donna e, chissà, magari mi sarebbe potuto piacere esserlo se lo fossi stata. Questioni ontologiche affidate a speculazioni pseudo filosofico-sociologico-psicologiche che a poco servono, perché nel regno delle ipotesi tutto è possibile e niente è concretizzabile e verificabile.

Del resto, sono un uomo a cui piacciono gli uomini e che non ha mai dato per scontato che gli possano piacere anche le donne. Non per chissà quale sospetto di incertezza sul proprio “essere” (torna e ritorna incessantemente l’oppressione heideggeriana dell’ontologia…), ma perché l’imprevedibilità nella vita di ognuno di noi è una fonte di sopravvivenza.

L’imprevisto è figlio del mistero, dell’impenetrabile, dell’inconoscibile. Dunque, cosa c’è di più affascinante di ciò che non solo non sappiamo ma che, di più ancora, non possiamo proprio sapere? Chiunque cerchi di affievolire lo spessore del muro dell’inconoscibile, del futuro, del buio oltre la mente, non mi è per niente simpatico.

Non rimprovero chi cerca conforto nelle previsioni di questo o quel mago, di qualunque cosiddetto “operatore dell’occulto“. Del resto, se si chiama “occulto“, una ragione ci sarà. E se davvero è tale, non è possibile renderlo manifesto, esplicito, conoscibile. A meno di non attribuirsi poteri paragnostici che sono tanto inavvicinabili alla razionalità concreta delle cose tanto quanto, al momento, la materia oscura dell’universo.

Ma, se per la materia oscura c’è la probabilità di arrivare ad un disvelamento scientifico nei prossimi decenni, per la magia e per ogni sorta di fenomeno trascendente l’empirismo, i dati di fatto, l’osservazione oggettiva del nostro limitrofo, si deve sempre e comunque ricorrere a quello che vale per le credenze religiose: la fede.

L’imprevedibile, l’inconoscibile fa dunque parte della nostra esistenza e la rende misteriosa, molto affascinante e, alla fine, sopportabile nel non riuscire a trovarne un senso compiuto. La psicoanalisi non è avversaria dell’imprevedibilità, anche se studia comportamenti che sono simili in tanti milioni di esseri umani e trae da ciò analisi che servono ad impostare percorsi curativi delle moltissime nevrosi che ci attanagliano e di cui siamo più o meno consapevoli.

Per questo credo sia fin troppo semplice e meccanicistico affermare quanto segue: «Se una donna esce di casa – sostiene Raffaele Morelli – e gli uomini non le mettono gli occhi addosso, deve preoccuparsi, perché vuol dire che il suo femminile in qualche modo non è presente in primo piano. Puoi fare l’avvocato, il magistrato, puoi ottenere tutti i successi che vuoi ma il femminile in una donna è una base su cui si siede il processo».

Cerco di andare a fondo nel pensiero di Morelli: quel “mettere gli occhi addosso“, convertito nel suo uguale e contrario vuol dire che una donna deve per forza esprimere “femminilità“, quindi sensualità, desiderio, attrazione. Caratteristiche che qualunque essere umano può sviluppare: uomo o donna che sia.

Se io per strada vedo passare un bell’uomo con un viso dai lineamenti dolci ed al contempo mascolini, due rotonde natiche e magari anche con due belle spalle… beh… suscita in me quel comportamento di “mettere gli occhi addosso” che non è certamente lesivo dell’integrità morale e fisica dell’altra persona, ma che non deve nemmeno diventare così intenso da cambiare natura e diventare una forma di ossessione, seppure momentanea.

Seguire con lo sguardo una bella persona è come rallentare con la moto quando si vede tramontare il sole dietro alle colline o quando si ammira il mare che si increspa e i gabbiani vi volano sopra, si tuffano, fanno la loro pesca e vanno a cibarsene appollaiati sopra qualche palo della luce che col paesaggio naturale non c’entra niente, ma che la natura in qualche modo utilizza e di cui si appropria.

Ma il punto che ha generato contrarietà ampia nel popolo dei “social” circa la frase detta dal famoso psichiatra, riguarda la preoccupazione che la donna dovrebbe avere se gli uomini – ripetiamolo – “non le mettono gli occhi addosso“. Può anche essere un riflesso condizionato, istintivo quello maschile del far saltare le pupille diritte sulle curve femminili. Ma, mi domando: perché questo non può o non deve avvenire – a seconda delle interpretazioni – anche per il campo maschile? Si da per scontato che un uomo guardi sempre una donna? Non si può anche dare per scontato che sia una donna a mettere gli occhi su una donna?

Perché allora non si usa il linguaggio neutro, pur nella infelicità della frase pronunciata, e si afferma “…se non le si mettono gli occhi addosso…“? Il desiderio conosce forse dei confini? Forse quelli della morale, del rispetto dell’innocenza e della fragilità dettata la non consapevolezza dei sentimenti che devono essere propri dell’età adulta. Ma, per il resto, gli esseri umani cresciuti e pienamente uomini e donne possono, devono potersi guardare reciprocamente senza dare per scontato nulla: né che gli uomini debbano guardare per forza le donne, né che le donne debbano guardare per forza sempre e soltanto degli uomini.

Voi perdonerete questa declinazione critica della frase contestata in queste ore sul web tutta piegata alle ragioni dell’ammissibilità generale tanto dell’eterosessualità quanto dell’omosessualità nei campi del desiderio tanto edonistico quanto successivamente erotico (quindi amoroso nel vero e proprio senso del termine), ma è frutto di rivendicazioni di una vita in merito…

L’altra stortura che emerge dalla frase del professor Morelli riguarda invece il campo esclusivamente femminile (e socialmente e politicamente femminista): perché ci si deve preoccupare se non si viene osservati con desiderio dagli uomini? Cosa mancherebbe ad una donna in questo frangente? Che parte della sua personalità le verrebbe a mancare? Forse la mancanza di avvenenza rischia di dover far preoccupare una donna? Forse deve generare in lei qualche motivo di riflessione sul come rendersi desiderata e desiderabile?

Se si va per questi sentieri tortuosi si rischia di incappare in tanti stereotipi e pregiudizi che dovrebbero essere ormai consegnati all’archivio dei tempi. Mi viene in mente quella pubblicità di collant, in cui la modella passeggia per strada e tutti si voltano a guardarla e a qualcuno cadono persino gli occhiali sulla punta estrema del naso.

Ma sono scene da “Drive In”, quando le belle e procaci vallette passavano nelle sigle del programma cult di Italia 1 e facevano, in tutti i sensi, girare la testa ai maschietti che erano lì pronti a recitare la loro parte. Ecco: credo che tutto sia lecito, guardare, non guardare, sentirsi osservati o ignorati con tutte le conseguenze psicologiche che ne derivano; ma non deve essere lecito etichettare il desiderio come qualcosa di esclusivamente legato all’estetica e non invece a quella che oggi viene definita “sapiosessualità“.

Sì, ci si può innamorare anche di una persona, od esserne semplicemente attratti, partendo dalla sua mente, da ciò che pensa, dice, esprime e da come lo fa. A me è capitato più volte. Non essendo io un fotomodello, molto spesso mi sono appiccicato addosso da solo la patente di “non-piacente” quasi per antonomasia. Ho scoperto nel corso degli anni che alcune persone erano attratte da me prima che dall’aspetto fisico, dalle mie parole, magari dalle mie battute, dal modo di esprimermi, pur incespicando a volte in qualche parola.

L’imperfezione non è sempre escludente il desiderio: esistono tanti motivi per voltarsi e gettare gli occhi addosso ad una persona. Se si tratta solo del senso della vista, allora è chiaro che gli occhi seguono i tratti somatici di un viso, quelli di una bella muscolatura, di pettorali scolpiti, di seni tanto piccoli e gentili, quanto grandi e opulenti, di fianchi e gambe filiformi o giunonici.

Il desiderio non può avere alcun confine, non deve obbedire ad alcuno stereotipo, nemmeno alla più antica delle “radici femminili” della donna o alla consuetudine che vuole che le bambine giochino con le bambole e i maschietti con lo “strummolo” eduardiano, i soldatini o al pallone.

Date una bambola ad un bambino e smettetela di avere paura che cresca “disturbato“, che giocando con la Barbie diventi da grande gay, mentre la bambina che gioca con Ken… che dovrebbe divenare? Lesbica per forza? E anche fosse? Che male vi sarebbe in ciò? Ognuno diviene ciò che non sa di poter divenire. Cresce giorno per giorno nel mistero di quel “seme” primordiale che proprio Morelli ci ha insegnato è alla base del continuo, incessante sviluppo quotidiano che ci fa essere differenti non solo giorno per giorno, ma ora per ora. Per cui dalla mattina alla sera siamo sempre uomini e donne differenti: alterniamo i sentimenti con una rapidità impressionante e naturale.

Come non si può sempre essere tristi, così neppure si può essere sempre allegri. La natura ci ha creato per vivere molteplicemente tanti aspetti della vita. Nemmeno i nostri comportamenti materiali possono essere sempre uguali in ogni momento della giornata: non si può continuamente stare seduti e nemmeno in piedi. Anche qui si devono alternare le posizioni. Altrimenti si iniziano ad accusare fastidiosi dolori che sono il campanello d’allarme che ci comunica che stiamo sbagliando qualcosa e che lo stiamo facendo proprio contro noi stessi.

Lasciamo che il desiderio sia di primo, secondo, terzo piano. Che sia immediato o che sia invece a lento rilascio, frutto di una conoscenza profonda nella reciprocità delle relazioni umane. Lasciamo che il desiderio sia completamente libero, che lo siano gli sguardi e se non ci guarda nessuno quando usciamo non preoccupiamoci di nulla. Femminile e maschile di ognuno di noi emergono a prescindere dall’aspetto fisico o dal profumo che emaniamo o dalla quantità di eros che brilla dal nostro sguardo o dal nostro essere nel suo esprimersi completamente.

Possiamo essere desiderati anche a priori, soltanto passando per strada e sapendo di essere ammirate o ammirati per la cura del nostro corpo e della nostra interiorità che fuoriesce ed emana desiderabilità negli altri nostri simili. Ma, del tutto sinceramente, io preferisco essere desiderato non soltanto esteriormente ma soprattutto per quel che, bene o male che sia, è dentro me e che non può immediatamente apparire come in una vetrina fanno bella mostra gioie e preziosi di mille colori diversi.

MARCO SFERINI

25 giugno 2020

Foto di Efes Kitap da Pixabay 

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