La scelta vegetariana, parte della lotta anticapitalista

Gli scienziati sono soliti affermare che, come da tanti indizi si arriva alla formulazione di una prova, seppure per via indiretta, così da tante evidenze simili tra loro si...

Gli scienziati sono soliti affermare che, come da tanti indizi si arriva alla formulazione di una prova, seppure per via indiretta, così da tante evidenze simili tra loro si può arrivare ad una evidenza scientifica: quindi ad una prova che, in questo caso, l’ars medica può conferirci dopo aver osservato lo svilupparsi di un medesimo fenomeno in ambienti differenti ma in eguali contesti.

Si tratta, nello specifico, della nascita, della crescita e della diffusione del Covid-19: l’ipotesi del virus creato in laboratorio per guerre batteriologiche tra grandi potenze è consegnata alla fantasia dei tanti complottisti che ritengono piatta la Terra o di essere tutte e tutti noi frutto dell’ingegneria genetica degli Elohim.

Dal mercato di Wuhan, dove venivano venduti animali di ogni tipo, macellati e ancora grondanti sangue sulle bancarelle, fino all’ultimissimo nuovo focolaio scoppiato in Germania a Gütersloh, dove i casi di Coronavirus sono quasi 700, tutti riferibili ad un mattatoio locale, passando per le centinaia di nuovi casi riscontrati a Pechino sempre in mercati di carni in varie zone della capitale cinese, sembra potersi ormai stabilire un nesso tra macellazione delle carni degli animali (di tutti: pesci, manzi, maiali, ovini, nonché – prima del divieto del governo – della vendita delle carcasse dei cani) e il salto di qualità che il Covid-19 fa dalla specie non-umana a quella umana.

Il caso di Gütersloh in Germania, del resto, non è nemmeno l’unico: sono molti i mattatoi dove si sono registrate riprese dei contagi e dove il governo è stato costretto ad intervenire per evitare che la situazione sfuggisse di mano.

Alla questione etica, che concerne il rapporto che gli esseri viventi dovrebbero avere fra loro, almeno quelli che hanno libertà di scelta tramite una coscienza che consente loro di discernere se sia giusto o meno cibarsi di cadaveri di altri esseri viventi (seppure considerati dalla specie umana “inferiori“, alla mercé della propria volontà dominatrice sull’intera natura che, infatti, sovente si ribella e non fa distinzioni di sorta nel colpire chi l’aggredisce), si aggiunge oggi il tema di uno sviluppo sociale fondato sulla riduzione sempre maggiore dei rischi di pandemie come quella in cui stiamo vivendo.

Sempre la scienza, questa volta quella alimentare, è in grado di stabilire che il consumo delle “carni rosse” (soprattutto di quelle lavorate: insaccati in primis) aumenta la possibilità di sviluppare tumori in relazione al quantitativo e alla frequenza dei consumi (fonte: AIRC). Sono i “grassi saturi” il maggior pericolo per la salute ed anche tutta una serie di tossine che vengono rilasciate negli organismi animali al momento del loro ammazzamento nei mattatoi.

All’origine di tutto ciò vi è soprattutto lo stress psicosomatico dell’animale: della mucca che riceve un proiettile di ferro nel cervello, del maiale che viene brutalmente ucciso con scosse elettriche, della pecore che vengono sgozzate e lasciate per ore a spurgare sangue, dei conigli, delle oche letteralmente stuprate in gola per l’estrazione del loro “fegato grasso” che delizia i più ricchi palati, delle galline costrette notte e giorno a fare uova, eccetera, eccetera…

Gli animali vengono rinchiusi in piccoli spazi, dove sviluppano malattie esattamente come gli esseri umani relegati nei lager a decine di migliaia; stipati in ambienti troppo angusti per consentire una sopravvivenza quanto meno scevra da quei contatti che non possono non generare patologie legate alla sporcizia, alla mancanza di quell’ossigeno che è per l’appunto vita.

Ma l’ossigeno pare pure un lusso se si osservano le tante crudeltà che si propinano a questi esseri viventi sui quali non abbiamo alcun diritto di dominio, ma che ci attribuiamo per il piacere culinario, per il piacere dei profitti di grandi catene psuedo-alimentari, per il profitto, sostanzialmente.

La mutilazione degli arti per evitare che le carni maleodorino è una delle pratiche più aberranti: la crudele filiera di produzione delle carni e dei salumi non si ferma davanti a nulla: sono frequenti i maltrattamenti subiti anche da piccoli animali come i pulcini (letteralmente scaraventati a terra nei grandi allevamenti, resi così, per la maggior parte, incapaci di vivere sulle proprie zampe, di nutrirsi adeguatamente, di scorrazzare per un’aia…) la cui sorte è quella di essere celermente ingrassati, violando qualunque regola naturale, qualunque tempo biologicamente stabilito, per poter accelerare sempre più la soddisfazione della domanda.

Per quanto riguarda noi “umani“, chiamiamo quegli spazi angusti “lager” e sappiamo bene dove andarli a reperire nel corso del Novecento. Per quanto riguarda gli animali, li chiamiamo “grandi allevamenti“, dimenticando che tutto sono tranne questo: sono veri e propri luoghi dove ogni diritto dell’essere-vivente-animale decresce tanto progressivamente tanto quanto aumenta la richiesta sul mercato di prodotti alimentari frutto della macellazione o della lenta agonia cui vanno incontro le bestiole lasciate prive di cure che inciderebbero sui costi della produzione.

E’ soprattutto il sovraffollamento in capannoni, con il conseguente aumento di malattie la prima causa di aumento delle probabilità di sviluppo di infezioni, malattie e trasmissioni di virus dall’animale all’essere umano. L’impiego massivo di antibiotici non fa che aumentare i rischi di gravità da infezioni anche lievi, soprattutto per l’ultimo anello della catena di questa filiera assassina: il consumatore. Le carni, “protette” con la somministrazione di elementi chimici atti a preservarli da malattie che intaccherebbero gli equilibri di mercato delle aziende produttrici, diventano veicolo di indebolimento del nostro sistema immunitario che resiste sempre di più all’azione anche di una semplice aspirina.

Questa complessa macchina è, ovviamente, figliastra di un cinismo a sua volta frutto della caratteristica a-moralità del sistema economico capitalistico che, per sua natura, rende tutto merce: anche chi non si accorge di esserlo e macella gli animali pensando di svolgere un lavoro, mentre compie soltanto uno sfregio all’umanità, alla vita, all’equilibrio persino ecologico che viene sconvolto proprio dalla produzione delle carni che abbisogna di enormi quantitativi di acqua, sottratta alla terra, alle popolazioni del pianeta e ad un sistema naturale che perde un elemento essenziale per il mantenimento di ogni vita.

Il mare è uno ambiente non meno depredato rispetto alla terra: miliardi di pesci, fluttuanti in oceani inquinati, pieni di plastiche e di materiali chimici e rifiuti di grandi navi che trasportano merci e, soprattutto l'”oro nero“, ogni anno finiscono proprio in quei mercati dove poi si riscontra l’epicentro di un contagio diffuso, il principio epidemico. La mancanza di acqua potabile, l’impoverimento forestale e le cattive condizioni di allevamento degli animali sono condizioni in cui una qualunque epidemia può svilupparsi, diffondersi e assumere tutte le caratteristiche della pandemia che in questo momento ci vede “conviventi” con il virus.

Per l’appunto la “convivenza” dovrebbe essere messa al centro di un nuovo modello di sviluppo che veda diminuire sempre maggiormente il consumo di carni (quindi anche di pesci, crostacei, ecc.) per consentire al pianeta un riequilibrio già ampiamente compromesso dall’inquinamento non certo prodotto dagli orsi o dalle balene, ma da noi esseri umani, dal nostro modo di intendere il rapporto con la natura che viene posta al servizio esclusivo dalla nostra specie e sottomessa dunque ad ogni esigenza o capriccio alimentato dalle mascelle divoratrici del mercato.

Non si tratta di assolutizzare i concetti, di colpevolizzare tutte e tutti coloro che sono onnivori come a volte una parte di coloro che fanno la giusta scelta vegetariana, ma di ragionare insieme: di porsi delle domande, iniziando dall’assunto secondo cui nulla è immutabile e tutto può essere oggetto di cambiamento. Sento spesso dire: “Ma siamo stati abituati da sempre a mangiare carne“.

Osservazione corretta: l’abitudine è una specificità umana tra le più estendibili ad ogni ambito della vita. Si potrebbe persino parlare di abitudine all’abitudine stessa. L’obiezione, però, ad affermazioni come quella precedente sono abbastanza semplici: siamo stati abituati per millenni a vivere la schiavitù come fenomeno “normale“, quindi prettamente “etico“, rientrante nelle disposizioni addirittura cristiane di interi popoli, nonostante Gesù non abbia mai parlato di liceità della schiavitù. Anzi… Ma non per questo si è universalmente accettata la schiavitù come diritto di un essere umano di sottomettere un altro essere umano alla propria totale, inappellabile volontà, al proprio completo dominio.

L’evoluzione della specie non può essere soltanto un fattore biologico ma anche culturale ed etico, supportato da una scienza che è coscienza umana delle potenzialità enormi che abbiamo e che dovremmo mettere al servizio di tutto il pianeta che ci ospita in quanto ci include: dovrebbe essere una simbiosi riconosciuta vicendevolmente. Da Gaia e da noi. Invece l’economia che abbiamo sviluppato ci ha resi alieni a qualunque forma di empatia biologica col resto dell’esistente.

La lotta contro il Covid-19 può insegnarci non solo la convivenza con quello che – in parte a torto ma anche con qualche ragione legata all’istinto di sopravvivenza – consideriamo un “nemico“, ma l’apertura di una riflessione globale proprio sulla globalizzazione stessa: sugli effetti nocivi che abbiamo noi esseri umani nei confronti degli altri esseri viventi, siano essi animali o vegetali. L’antispecismo deve poter essere una frontiera dell’anticapitalismo: unitamente ad esso. Non possiamo pensare di creare una società dove solo gli esseri umani siano liberi dallo sfruttamento (peraltro di sé stessi e su sé stessi…), perché si tratterebbe di un mondo dove esistono sempre dei dominatori e dei dominati.

Non deve esistere lotta di classe senza lotta alla prevalenza di specie. Una superiorità cosciente e convintamente perseguita come “valore aggiunto” soltanto di una specie: la nostra. Così come l’antirazzismo è entrato a far parte della grande famiglia dei diritti civili che marciano unitamente a quelli sociali, così l’antispecismo deve poter essere incluso come rivendicazione dei diritti di chi non può reclamarli perché debole, indifeso. Proprio come gli schiavi di un tempo. Proprio come i bambini soldato o quelli relegati a far palloni da calcio o tappeti nelle lontane regioni orientali.

“Restare un essere umano, cioè gettare, se necessario, gioiosamente tutta la propria vita “sulla grande bilancia del destino”, ma allo stesso tempo rallegrarsi per ogni giornata di sole, per ogni bella nuvola.
Ahimè! Non conosco la ricetta che permetterebbe di comportarsi come un essere umano; so solo come lo si è e tu lo sapevi, anche tu, ogni volta che andavamo per qualche ora a passeggiare nella campagna di Südende, mentre i raggi del tramonto illuminavano i campi di grano.
Il mondo è così bello malgrado tutti gli orrori e sarebbe ancora più bello se non vi fossero sulla terra dei vigliacchi e dei codardi.
” (Rosa Luxemburg, “Lettere di lotta e disperato amore“, Feltrinelli).

Se il comunismo libertario non comprende le parole di Rosa Luxemburg, non le fa proprie quando esprime tutta la sensibilità umana per la meraviglia della natura che ci circonda ma che non ci appartiene, allora commette un grande errore. Il superamento del capitalismo esige il superamento della considerazione dell’essere umano come essere superiore rispetto a tutti gli altri esseri viventi.

Anche così si potranno sconfiggere meglio le pandemie nei secoli che verranno. Magari pensando e ripensando alle parole di George Bernard Shaw: “Gli animali sono miei amici… e io non mangio i miei amici“.

MARCO SFERINI

18 giugno 2020

foto: da Wikipedia

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