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Politica e società

La saggia prudenza di Mattarella

Forse non sapremo mai con certezza se Tria – che lo nega – ha minacciato le dimissioni, e se il Quirinale ha telefonato nelle ore convulse della trattativa sul deficit.

Ma una chiave di lettura viene dai protagonisti di oggi e di domani. Le prime reazioni in sede Ue al pellegrinaggio del ministro Tria sono negative, ma relativamente caute e di attesa. Probabilmente, con il voto europeo che si avvicina e le turbolenze politiche già emerse, non si vuole un lanciafiamme puntato sugli gnomi di Bruxelles, complici di speculatori e affamatori di popoli. Le parole sprezzanti di Salvini, e Di Maio che censura il terrorismo sui mercati di matrice Ue, sono un avviso eloquente.

Gli oppositori della manovra gialloverde attaccano essenzialmente su due versanti: evitare lo scontro in sede Ue, rispettare la Costituzione. Sullo scontro si vedrà. Ma il secondo punto è comunque debole. Ci si appella alla Costituzione chiedendo in sostanza il ritorno a politiche che hanno contribuito a generare poveri, precari, giovani senza futuro e speranza, e ad accrescere diseguaglianze e divaricazioni territoriali.

Qui veniamo al monito di Mattarella sui conti pubblici. Perché citare l’articolo 97 della Costituzione, e non l’articolo 81, che più specificamente si riferisce al bilancio, e cioè all’oggetto del contendere? Di sicuro, non una dimenticanza.

L’articolo 97 richiama un generico obiettivo di buon governo, riferito all’equilibrio dei bilanci e alla sostenibilità del debito, in coerenza con l’ordinamento europeo.

È affermazione di principio dai contorni piuttosto indefiniti, che non mette in gioco una specifica funzione del capo dello stato. Un riferimento all’articolo 81 avrebbe invece avvicinato il presidente al circuito decisionale della legge di stabilità, che gli spetta di autorizzare per la presentazione e promulgare dopo l’approvazione. Una mossa suscettibile di essere letta come anticipo dell’intento di mettersi di traverso.

Il capo dello stato sarebbe finito su un terreno scivoloso. Un «equilibrio» di bilancio di per sé non esclude il deficit per la copertura delle spese, come chiarisce lo stesso articolo 81 in ragione del ciclo economico. È squilibrato un bilancio con deficit al 2.4%, e invece equilibrato quello con deficit all’1.9 o 2%? Chi lo decide e come? Assumendo quale scenario di probabilità? Con quale destinazione della spesa? L’art. 81 vigente, modificato con legge costituzionale 1/2012, è ottimo esempio di pessima riforma.

La misura del deficit è una scelta politica fondata su variabili molteplici, in buona parte incerte o solo previsionali. Non è parametro appropriato per l’esercizio dei poteri formali del capo dello stato. Soprattutto a fronte di una manovra che comunque punta ad attuare la carta fondamentale almeno nella parte che difende gli ultimi e contrasta la povertà, pur insuscettibile della abrogazione ex lege che vorrebbe Di Maio. Si lascia questa bandiera al governo, per attuare un catenaccio preventivo sul fantomatico piano B? Ricordiamo lo spread ai massimi su Savona e Cottarelli. Un remake non è nell’interesse del Colle.

Riferirsi al solo articolo 97 può dunque essere scelta voluta e prudente, orientata verso esortazioni che non anticipano l’esercizio di poteri formali. Una scelta saggia quando nell’opinione pubblica il gradimento è ai massimi per il presidente ma anche per il governo, mentre su spread e borsa le tensioni – che pure ci sono – non giungono alla tempesta perfetta da molti profetizzata.

Notte fonda, invece, per il Pd, che grida al disastro in gialloverde. Ma è credibile chi ha contribuito alla povertà e precarietà di milioni, ha cancellato i diritti dei lavoratori, ha sacrificato storia e identità al totem dell’iperliberismo di mercato? L’unità del partito, se pure richiesta a gran voce da una piazza di militanti, può rappattumare un gruppo dirigente frantumato, ma non basta a riguadagnare la centralità distrutta dagli errori politici. Il Pd deve anzitutto ritrovare l’anima, e fin qui non è chiaro se voglia o possa farlo.

Il pericolo di oggi, più che l’aumento di qualche frazione di percento del deficit, è l‘orizzonte dato dalle europee e dalla possibilità di un ritorno alle urne in Italia. Se la svolta a destra già avviata si consolidasse, né Mattarella né la Costituzione potrebbero porre argini insuperabili. Di questo dovrebbe occuparsi la sinistra, se ancora esistesse.

MASSIMO VILLONE

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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