Gli USA e il mito della violenza come soluzione di ogni problema

Il combinato dei fattori scatenanti è abbastanza intuitivo: un ragazzo con una famiglia piena di problemi, lui stesso afflitto dal bullismo dei coetanei o dei più grandi che lo...

Il combinato dei fattori scatenanti è abbastanza intuitivo: un ragazzo con una famiglia piena di problemi, lui stesso afflitto dal bullismo dei coetanei o dei più grandi che lo ridicolizzano a scuola per i suoi capelli radi, per la sua balbuzie, liti con la madre tossicodipendente, padre completamente assente e i nonni a cui è stato affidato e con cui non va per niente d’accordo.

La seconda parte del combinato, che ha prodotto la strage di bambini e maestre nella Uvalde High School, è da ricercarsi nella disinvoltura con cui il secondo emendamento della Costituzione della Repubblica stellata è stato tramandato nei secoli del dopo conquista “coast to coast“, adattato ai tempi e fatto cardine della nazione americana: ogni cittadino ha diritto alla legittima difesa personale.

Ma, come è evidente un po’ da sempre e non solo per quanto concerne il diritto statunitense, la norma risponde ad un criterio generale che viene molto spesso sovvertito e capovolto nelle interpretazioni singolari, sfruttando tutti i cavilli e le vacatio legis possibili per dare una parvenza di legalità a ciò che invece è apertamente illegale o, quanto meno, immorale e incivile.

Il Texas, poi, è il sancta santorum degli armamenti privati e della lobby che li sostiene: da Donald Trump a Ted Crux, dai suprematisti bianchi fino ai trafficanti di droga a basso, medio ed alto livello.

La riunione annuale della celeberrima National Rifle Association si tiene proprio nello Stato più reazionario degli USA: fondata nel 1871 sotto la presidenza di Ulysses Grant,  è la principale organizzazione di assemblaggio di tutti i fanatici con fucile in spalla. Spacciata come “associazione per i diritti civili“, in realtà è il braccio politico dell’industria che produce fucili, pistole e tutto quello che riguarda le armi usate per fare strage di animali nei boschi e, ogni tanto, di ragazze e ragazzi nelle scuole.

Il diciottenne Salvador Ramos torna nella sua scuola d’infanzia per compiere la strage e, questa volta, il movente razziale non c’entra proprio nulla: Uvalde è una città per metà ispanica, vicina al confine col Messico e lui, il giovane che diventa stragista nel giro di pochi minuti, è uno che si scaglia contro la sua stessa gente. Ha comperato su Internet e al supermercato due fucili AR-15. Pare siano quelli più gettonati da chi decide di mettere fine alla vita degli studenti nelle scuole americane: sono fucili leggeri, un tempo adoperati dall’esercito, oggi utilizzati per sparare ai cervi.

Ramos fa la cronaca della sua strage su Internet: annuncia che sparerà alla nonna. E lo fa. Dopo preannuncia che andrà in una scuola e ripeterà quel gesto su vasta scala. E lo fa.

Se le istituzioni e la polizia non possono fare nulla nel giro di così breve tempo, è evidente che avrebbero potuto fare molto di più per prevenire tutte le stragi che si sono susseguite nel corso degli ultimi decenni. La legislazione americana è più complessa rispetto alla nostra: la struttura confederale della Repubblica stellata non permette una linearità di principi applicati praticamente mediante norme uniche su tutto il territorio degli Stati Uniti.

Non sono solo le grandi norme a differenziare i comportamenti dei cittadini nei singoli Stati (si pensi alla pena di morte, all’aborto, ai diritti civili ed anche a quelli del lavoro): anche quelle leggi ritenute minori, che regolano la quotidianità dei rapporti di oltre 250 milioni di persone, si ispirano magari ad un’etica comune, ad una fonte del diritto stabilita dalla Corte Suprema (le cui decisioni, queste sì, hanno valore su tutto il territorio federale), ma per la maggiore sfuggono all’importanza di un indirizzo nazionale, di un comune sentire che poggi sul consolidamento di norme valide per tutte e tutti.

La storia americana, quella della conquista del West, ci ha abituato a considerare, già dalle prime colonizzazioni dei territori indiani e di quelli ex messicani, le armi come abbigliamento consueto del mandriano, dell’avventuriero, del cercatore d’oro, del fuorilegge (ovviamente) e degli sceriffi (altrettanto ovviamente). Difficile pensare ad una scena di un qualunque film che ritragga quei tempi dove in una città tutti girassero privi di pistola o di fucile attaccato alla sella del cavallo.

La tradizione, dunque, è questa, perché gli Stati Uniti sono un paese fondato sulla guerra, ingranditosi da oceano ad oceano non con l’acquisizione solamente pacifica dei territori comperati o scambiati con le potenze coloniali europee, ma mediante massacri che si sono succeduti costantemente nel tempo, considerando legittimo l’insediamento dei discendenti di George Washington, superiori per intelligenza, cultura e provenienza rispetto agli autoctoni reputati solamente dei “selvaggi“.

Tuttavia, se si osserva la storia di un qualunque paese, non si troverà mai un periodo in cui le guerre e i conflitti siano rimasti per molto tempo assenti: in particolare proprio nei momenti apicali, quelli in cui la fondazione di un nuovo popolo su un nuovo territorio, entro confini ben determinati, ha comportato la sostituzione violenta di questo col precedente insediamento. Nel migliore dei casi ciò è avvenuto con una convivenza forzata, con la riduzione in schiavitù dei vinti; nella peggiore evenienza, invece, ci si trova innanzi a veri e propri genocidi.

Il processo qui, però, non può essere fatto alla storia americana e nemmeno al popolo americano: semmai va fatto alle organizzazioni politiche finanziate dai produttori di armi e a questi stessi che occupano una fetta di mercato enorme nella produzione della ricchezza nazionale americana. Dal 2018 al 2020 gli Stati Uniti hanno aumentato la loro spesa in armamenti militari dal 3,32% al 3,74% del totale del Prodotto Interno Lordo. Una percentuale di incremento piccola, si dirà… Invece corrisponde a ben 778 miliardi di dollari, perché stiamo parlando del bilancio della più grande potenza mondiale e, quindi, di una economia che lo è altrettanto.

Accanto a questa titanica cifra sta tutto il commercio delle armi utilizzate dai civili che mettono in pratica il secondo emendamento costituzionale, scegliendo di portarsi appresso una pistola, ad esempio proprio in Texas, visto che è consentito dall’attuale governatore repubblicano Greg Abbott per chiunque non abbia turbe psichiche o non sia un pregiudicato.

Difficile poi stabilire a priori che abbia dei problemi mentali: lo si scopre quasi sempre a posteriori, quando la strage è avvenuta, quando il vicino di casa ha ammazzato l’intera famiglia che gli dava noia, quando un mix di nevrosi, frustrazioni, fanatismo neonazista e complottismi vari produce delle vere bombe antisociali pronte ad esplodere.

La prevenzione di comportamenti stragisti e, prima ancora, della violenza gratuita sorretta da un odio inarrestabile, va anche affidata ad una nuova politica sulla vendita delle armi e sul loro commercio negli Stati Uniti, ma non può non essere incasellata in una rivoluzione sociale di vasta portata che l’impianto riformatore dei democratici non può promuovere se si limita ad un ridimensionamento dei danni provocati dagli eccessi di un liberismo che Biden e Harris sostengono apertamente, riconoscendone appunto alcune storture ma non intendendo minimamente mettere in discussione i cardini fondanti.

Peggio ci si sente a scrutare il Grand Old Party: forse in alcuni Stati dell’Unione avrà tratti meno conservatori e meno intolleranti su alcune tematiche concernenti i diritti sociali (non di certo quelli civili…), ma dentro le sue fila accoglie il peggio del conservatorismo di destra, non recidendo completamente mai i legami con settori sociali eversivi ed essendo sempre, tramite Trump et similia, il punto di incontro e di contatto della variegata galassia suprematista bianca.

Salvador Ramos è l’ultimo anello di una catena di ingiustizie e di dimenticanze dei tanti problemi individuali e sociali che la società capitalistico-liberista americana ha prodotto nel corso degli ultimi anni, rafforzando il mito della violenza come catarsi personale, lavacro purificatore per sé stessi e per la realtà in cui si sopravvive tra burocrazie elefantiache e mancanza dei bisogni e dei diritti più elementari per la tutela tanto della mente quanto del corpo.

Scuola, salute, lavoro, pensioni, tutto è affidato al privato e lo Stato altro non è se non l’esecutore della volontà dei grandi gruppi di affari, dei tecnocrati che gestiscono la maggior parte della ricchezza nazionale (e mondiale).

Non c’è altrimenti nessuna (s)ragione per il compimento di una strage di innocenti. A dire il vero, non c’è ragione alcuna che sostenga una qualunque strage. Ma quella che distrugge la vita di giovanissime vite lì, nel luogo dove dovevano sentirsi più al sicuro, nella loro scuola, è ancora più raccapricciante ed odiosa perché stride insopportabilmente l’orrore dei bambini crivellati di colpi, protetti dalle maestre che non hanno potuto salvarli, con la presunta tranquillità della meravigliosa, moderna, civile, democratica vita americana.

Il combinato tra le storture caratteriali dell’assassino, l’unicità di un inviluppo dei suoi sentimenti personali e di una asocialità crescente, e il contesto antisociale in cui non trova un motivo per essere minimamente felice, sono il detonatore che fa esplodere una rabbia incontrollabile, un odio insopprimibile. Verso il suo stesso passato di ragazzo e di alunno di quella scuola? Non lo sapremo mai, ma possiamo ipotizzarlo.

Quel che rimane sono le macerie morali di una grande nazione che ha scritto una costituzione innovativa alla fine del ‘700 e che ha abbandonato molto tardi tutta una serie di pregiudizi e di marcatori differenziali che hanno segnato l’esistenza di intere generazioni. La guerra, ancora oggi, è vista come igiene democratica da esportare nel mondo o, per meglio dire, questa è la dicitura pretestuosa con cui si espande il dominio imperiale americano pure in questo nuovo millennio.

La guerra e le armi: dalla secessione del Sud ribelle all’espansione statunitense nel pacifico. Il Novecento della Repubblica stellata è una ambivalenza tra partecipazioni a conflitti di liberazione da totalitarismi manifestamente tali e interventi militari che hanno completamente sconvolto le vite di interi popoli, nel nome del mercato, del controllo geopolitico di intere aree del pianeta.

La politica interna americana e la politica estera coincidono in larga parte, si compenetrano e si ispirano reciprocamente. Le uniche un po’ evidenti differenze tra repubblicani e democratici, nell’enormità dei rapporti istituzionali ed economici statunitensi, si trovano proprio sul piano dei diritti civili e, quindi, anche nelle relazioni tra i cittadini. La difesa personale e il possesso delle armi erano un tempo una di queste differenze marcatamente tali.

Dalla risposta di Biden in merito sapremo forse se è ancora così. Il tutto mentre vengono spesi centinaia di milioni di dollari negli armamenti da inviare all’Ucraina che fa gli interessi dello Zio Sam in Europa e contro i contendenti mondiali degli USA, e mentre si minaccia la Cina di intervenire militarmente nel caso Pechino invada Taiwan. I presupposti per evitare che altri diciottenni imbraccino dei fucili e ammazzino persone a caso, quindi, non sono davvero per niente buoni. Ma le lacrime per eventuali altre stragi sono già pronte. Qualcosa fa pensare che il copione, purtroppo, anche questa volta non cambierà.

MARCO SFERINI

26 maggio 2022

foto: screenshot tv

categorie
Marco Sferini

altri articoli