Cerchi geometrici, distanze mancate e Frecce tricolori

Nelle fasi di sviluppo (perché ancora in questo frangente ci troviamo a vivere) del Covid-19 si distinguono differenti tipologie di comportamento che trovano però una loro omogeneità quando devono...

Nelle fasi di sviluppo (perché ancora in questo frangente ci troviamo a vivere) del Covid-19 si distinguono differenti tipologie di comportamento che trovano però una loro omogeneità quando devono affrontare la cruda realtà dei fatti. Così accade che, se siamo in presenza di tanti singoli drammi che si rifanno tanto alla malattia in senso stretto quanto ai condizionamenti che essa produce nella familiarità degli affetti a noi vicini e nel più vasto raggio sociale, siamo anche in presenza di tante, troppe attitudini alla trascuratezza del senso civico quando pensiamo di trovarci fuori dal cerchio che include il pericolo.

Al di fuori della presunta “zona d’allarme” che ognuno di noi formula, costruisce e decreta come unica e incontestabile, tutto diventa “ripartenza“, possibilità di dire, di fare, di scavalcare qualunque principio universale, magari proprio scientificamente provato come tale, che dimostra che la zona d’allarme, il cerchio del pericolo è a geometria variabile e non ha un raggio determinato dalle misure del cosiddetto “distanziamento sociale“.

Non misura sempre due metri la distanza di sicurezza nelle future aule scolastiche nel momento della ricreazione, perché non esiste, per l’appunto, geometria fissa ma continuamente resa mobile dagli spostamenti nostri che sono imprevedibili perché, in quanto sociali, sono frutto dell’interazione con altre persone e quindi occorrerebbe bardarsi di larghi cerchi come quelli che stavano nascosti dalle sottane delle nobildonne del Settecento e dell’Ottocento per mantenere, da piede e a piede, la distanza giusta.

Sinceramente posso anche indossare un sottanone alla Rossella O’Hara per mantenere le opportune distanze che evitino la diffusione del Covid-19, ma troverei più consono alle circostanze e, quindi, utile che si evitassero i cosiddetti “assembramenti” a monte del problema e non colpevolizzando il singolo cittadino pescando nel mucchio molto selvaggio delle trasgressioni che vanno distinte caso per caso.

Un conto è chi si lascia scivolare la mascherina al di sotto del naso e viene redarguito dai vigili urbani; altro paio di maniche sono invece tutti gli assiepati nasi all’insù per assistere al passaggio delle Frecce tricolori nei cieli delle città italiane o le movide giovanili erette a status symbol della manifestazione prima del connubio tra libertà e divertimenti, quindi libertà tangibile, espressione fondamentale dell’essere sociale moderno al di fuori della schiavitù del tempo di lavoro, comunque del “tempo non libero“.

Non si sa bene quanto costi un’esibizione delle Frecce tricolori mentre lasciano la loro scia patriottica nei cieli: quel che è certo è che consumano sicuramente di più della mia piccola Fiat Panda o anche solamente di uno spettacolo pirotecnico organizzato da un comune nel periodo estivo o a San Silvestro. Da poche migliaia di euro per i fuochi artificiali (poche si fa per dire, visti i magri bilanci di centinaia e centinaia di comuni della Repubblica…) si passa a decine di migliaia di euro per mantenere in buono stato gli aerei, rifornirli di carburante e di tutto ciò che necessitano per le loro acrobazie e per lo spettacolo finale della coloritura del cielo.

Tralasciamo pure i costi: fossero anche oggi quei 4.800 euro calcolati al tempo di Napolitano, costo di un’ora di volo a singolo aereo, quindi per un totale di nove “Pony” (così si chiamano i veivoli della pattuglia acrobatica), un passaggio delle Frecce tricolori ci costerebbe oggi sui 50.000 euro. Per distrarre la popolazione forse saranno anche ben spesi (ci permettiamo di dubitarne fortemente), ma per omaggiare i medici e le vittime delle città maggiormente colpite del Coronavirus sarebbe stato meglio devolvere quei soldi alla sanità pubblica per organizzare qualche letto di terapia intensiva in più…

Ma, dicevamo, tralasciamo i costi. Si biasimano i giovani che creano assembramenti inconcepibili durante i fine settimana nelle vie e nelle piazze d’Italia per raggiungere il massimo della libertà nel sorseggiarsi il simbolo alcolico che la incarna: lo Spritz. Si biasimo giustamente queste ragazze e questi ragazzi perché sottovalutano il pericolo di una diffusione del virus, patogeno che continua a circolare e per il quale continua a non esistere né una cura certa e tanto meno un vaccino preventivo.

Ma provate ad osservare le immagini di tutti coloro che si sono addensati come il montare di una crema, tutti stipati sui gradini di chiese e vicini-vicini nelle piazze per vedere il passaggio delle Frecce tricolori. Oggettivamente impressionano molto di più, in quanto ad assembramenti, le migliaia di telefonini alzati con le videocamere al cielo per riprendere lo spettacolo aeronautico rispetto alle movide sui navigli o nelle darsene dei porti delle riviere italiane.

Il cerchio della sicurezza, allora, dove sta? Chi lo garantisce? E’ compito solo dello Stato farlo, oppure anche del cittadino singolo? Se fosse compito comune, vicendevole e quindi unanime sarebbe una ottima espressione di un civismo che viene meno nel momento in cui si creano i presupposti affinché la geometria variabile del diametro di sicurezza per ciascuno di noi – e quindi per tutte e per tutti – viene a prevalere costantemente visto che è impossibile organizzare il cosiddetto popolo che del tutto spontaneamente si fa folla mentre con il naso all’insù guarda passare i Pony dell’Aeronautica militare.

Invece di avere tanti cerchi tangenti (esternamente) che garantiscono un minimo indispensabile di socialità, ci troviamo a vivere nella fase dei cerchi secanti o, peggio ancora, in quella dei cerchi coincidenti. Il punto è che tipo di insegnamento dà lo Stato, danno le istituzioni ai cittadini ai quali chiedono il massimo rispetto delle regole sanitarie.

In tutto questo caos geometrico-sociale, non aiuta affatto la bislacca idea di assoldare 60.000 “assistenti civici” privi di alcuna autorità, mandati allo sbaraglio in mezzo alla rabbia comprensibile dei cittadini. Un furore che non deriva soltanto dai divieti sul distanziamento sociale o sulla quarantena, ma dall’accrescersi della crisi economica e dell’avanzare di un pauperismo frutto di un sommarsi di anni di politiche scellerate sul pubblico, a tutto vantaggio sempre del privato, e che oggi presentano il conto.

Anche per questo, l’esibizione delle Frecce tricolore poteva esserci risparmiata. In tutti i sensi: civile, sociale, politico, economico. La Repubblica non ha bisogno di dimostrazioni plateali di patriottismo tramite mezzi militari, ma tramite la solidarietà popolare, dal basso: quella che è frutto di uno spontaneismo che alimenta il mutuo soccorso, la vicendevolezza, il sostegno reciproco, la riscoperta dell’uguaglianza davanti a noi stessi prima che davanti ad una Legge che sovente è sinonimo di mera repressione.

Il Tricolore più bello è quello del volontariato e del lavoro ben pagato. E’ quello del ritorno al pubblico per i settori strategici nella riconversione sociale di tante parti private che hanno speculato sui reali bisogni della povera gente. E’ quello della pace e della solidarietà fra i popoli. E’ quello della Costituzione che oggi alcuni intellettuali vorrebbero cambiare radicalmente per uniformarla ai tempi. Proprio quelli del Coronavirus, dove tutto è divenuto veloce e immediato e dove la comunicazione e l’interazione tra i differenti livelli delle Istituzioni deve trovare spazio tra una rimodulazione degli articoli della carta del 1948. Un ennesimo tentativo di subordinare i princìpi alla disperazione creata dal sistema economico dominante.

Attenti ai tranelli e ai trabocchetti del potere economico che passano per bocca dei cosiddetti “moderni sapienti“… Bisogna fare come Rosina, nel “Barbiere di Siviglia” (qui interpretata da una sublime Maria Callas), che nella famosa aria canta…

Io sono docile, son rispettosa,
sono obbediente, dolce, amorosa;
mi lascio reggere, mi fo guidar.
Ma se mi toccano dov’e’ il mio debole
saro’ una vipera e cento trappole
prima di cedere faro’ giocar.

Prepariamo le cento (e più) trappole. Per tempo. E intanto teniamo la distanza di almeno un metro tra noi. Con buona pace del povero Euclide…

MARCO SFERINI

26 maggio 2020

foto: screenshot tv

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