Atei o credenti?

Non di solo pane vive l’uomo, non di sola religione il religioso, non di solo agnosticismo l’agnostico e così via… Nessuno è mai soltanto quello che crede di essere...

Non di solo pane vive l’uomo, non di sola religione il religioso, non di solo agnosticismo l’agnostico e così via… Nessuno è mai soltanto quello che crede di essere attraverso una piena consapevolezza di sé stesso o di quello che maggiormente lo fa sentire realizzato nel corso della giornata e della vita intera. Ciò che più di tutto ci permette di conoscerci è non il rivolgere su noi stessi l’indagine, ma sugli altri e su ciò che ci circonda.

Il confronto è l’unico processo dialettico che può aiutarci a sollevare orpelli ideologici, mistiche verità, dogmatismi trascendentali o del positivismo più concretamente realistico. Noi non siamo se non nell’inconoscenza, nel proclamare il deficitarismo cui siamo soggetti e che, spesso, rifuggiamo perché mina quell’identità che altri hanno voluto attribuirci nel corso dell’esistenza e senza la quale ci percepiamo come impalpabili, inadeguati, spropositamente inaderenti a questa società.

Ma se ci proiettiamo oltre, se il nostro sguardo va nell’universo, al di là della ionosfera, oltre le radiazioni solari e oltre il Sole stesso, nell’oscurità del cosmo c’è lo spazio infinito per mettere in discussione ogni categoria umana, ogni misurazione dell’esistente, ogni certezza del microcosmo terrestre, ogni indubitabile pragmatismo e ogni odiosa ricerca del “senso della vita“.

Il confronto di cui si faceva cenno poche righe sopra non è solamente un metodo dialettico, una espressione compiuta di una comportamentalità che definisce le regole minime per arrivare vicinissimi ad una sorta di sintesi degli opposti o ad una minore distanza possibile tra gli stessi. E’ qualcosa che va ben oltre il suo scopo primo e riguarda, comprende ed esige altri termini di paragone, altre categorie da mettere in correlazione.

L’ateismo, l’agnosticismo e la fede possono essere alcune di queste categorie. Così come quelle che descrivono il pensiero filosofico nel corso dei secoli. E così pure quelle che descrivono le forme del vivere cosiddetto “civile“: le repubbliche, le monarchie, le oligarchie, gli Stati liberali o autoritari, quelli monopartici o quelli invece socialisti.

Indagare l’assoluto, il (dis)senso dell’esistenza, l’incorporeità di elucubrazioni tanto astratte quanto filosoficamente pregnanti, seducenti e affascinanti per un presuntuoso “libero pensatore“, vuol dire utilizzare il metodo del confronto dialettico tra le grandi branche del sapere che abbiamo ereditato e che, in un turbinio di giravolte continue, finisce col dimostrare un bel niente e con il lasciarci stagnare nei nostri dubbi, nelle nostre angosce e nei nostri desideri di tendenza alla conoscenza continua.

Filosofia, politica, etica e scienza si mescolano nel dialogo a tre che “Atei o credenti?” (Fazi editore, 2007) esprime in un gentile battibeccare tra Paolo Flores d’Arcais, Michel Onfray e Gianni Vattimo.

Qui spifferi e correnti di pensiero si compenetrano fino a sfinirsi in una elegante gara in punta di un fioretto del confronto che esige una capacità intuitiva e controbattente tipica dei filosofi e, a dire il vero, anche degli scienziati; ma per questi ultimi di certo si fa riferimento a quelli più moderni, ai divulgatori che permettono anche ai non addetti ai lavori di capire qualcosa di indagine sperimentale, da laboratorio e di osservazione della natura e dell’universo.

Già, l’Universo, con la “u” maiuscola. Il creato o il cosmo? O entrambe le definizioni? Il libro non risponde ad alcuna domanda millenaria: chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. Non ha nemmeno lo scopo di allargare gli orizzonti di un convincimento piuttosto che di una fede (in questo frangente quella cristiana e cattolica di Vattimo).

Tutt’al più si prefigge di offrire al lettore un pluralismo interpretativo di concetti già studiati e ristudiati, elaborati a lungo ma che, proprio per l’enormità delle domande che ispirano all’animale umano, non possono paradossalmente trovare soluzione dall’essere umano stesso, dalla sua categorizzazione dell’esistente, dal suo rapporto con il limitrofo inevitabile al trascendente immaginabile eppure così condizionante.

Storia, filosofia, antropologia e sociologia istruiscono un dibattito a tre in cui l’originalità sta nelle incolmabili distanze tra i tre pensatori: da tanta antitesi non origina una discriminazione senza fine alcuno. Le convergenze, anzi, sono spesso rintracciabili nel fluire del discorso e sono quello che maggiormente sorprende e, in un certo senso, entusiasma.

La capacità elastica del pensiero di essere accogliente o escludente, criticamente aperto alla condiscendenza e alla condivisione, altrettanto dogmaticamente chiuso, attraverso le serrature della preconcettualità, alla duttilità, alla riformulazione dei postulati, alla rivisitazione di ciò che si è (quasi) sempre ritenuto giusto, vero per sé stessi e a cui quindi si è aderito formando la propria identità culturale, sociale, politica e civile.

“Atei o credenti?” è, dunque, un libro che scruta anche il mistero irrisolvibile dell’esistenza di un essere originatore del tutto, con o senza quelle caratteristiche esattamente opposte che sono tipicamente umane: parzialità versus assolutezza, limitazione versus onnipotenza, finitudine versus infinitudine, conoscenza versus onniscenza, immanenza versus trascendenza. Ma, più ancora, è un confronto che traduce ateismo, agnosticismo e fede nella quotidianità di ognuno.

Dall’ateo alla realtà, dalla realtà all’ateo: come si comporta un non credente in ciò che gli esseri umani dicono di dio. E come la realtà, in un certo senso, gli risponde e lo tratta. Quando lo comprende, quando lo respinge. Quando lo ascolta e quando lo ridicolizza o, peggio ancora, lo ignora.

Diverso il caso del credente: vive in un mondo in cui l’eccezione non è la fede ma la critica alla stessa, quindi parte in vantaggio nell’assumere anche un atteggiamento tendenzialmente distaccato da un cieco devozionismo che rasenta la superstizione. Comunque sia, l’interesse di Flores d’Arcais, Onfray e Vattimo è trattare tutto questo mediante quel confronto costante che permette un arricchimento tanto personale quanto collettivo.

L’indagine esegetica sulle parole, sui testi sacri del Cristianesimo, delle altre religioni rivelate e di culti più lontani anche geograficamente da noi, è la premessa di un lavoro di autoanalisi. Qualunque sia la presunzione della verità, atea, agnostica o affidata alla fede, a salvarci dal presumere, dall’ipotizzare e dall’uscire dal perimetro della relatività generale del costrutto mentale (filosoficamente e teologicamente parlando) è l’inconoscibile, l’inarrivabile, l’imperscrutabile.

A questo scopo, invece che perdersi nel raffronto tra Dio con la maiuscola e il Big Bang, provando a farli coincidere pur sapendo di non poterlo fare se non mediante una approssimazione davvero incalcolabile, è molto più utile stare nella striscia del tempo che ci è dato vivere, in quello che Flores d’Arcais definisce come «l’intervallo tra un nulla e un altro nulla», studiando l’approccio che empiricamente possiamo constatare tra la disposizione ateo/agnostica e la realtà, così come tra la fede e quest’ultima.

Se le democrazie hanno un valore etico superiore rispetto ai regimi che non rispettano l’uguaglianza formale e sostanziale dei cittadini, ebbene questo (plus)valore può anche trovare spazio e dinamismo al di fuori del semplice calcolo politico, del diritto di ognuno a vedere il proprio voto come mera espressione di delega ad altri per la definizione delle norme, delle leggi, del diritto che regola le esistenze singole e della collettività.

L’unicità di ognuno di noi è complemento di una uguaglianza sostanziale che, quindi, deve laicamente rispettare tutte le credenze, tutte le fedi, tutte le critiche alle stesse, tutti gli ateismi e tutti gli agnosticismi. Ammesso che se ne possano trovare altrettanti quante sono le idee di dio che gli esseri umani hanno tracciato nella loro mente e hanno messo per iscritto nei millenni passati.

L’eterno dibattito tra chi crede e chi non crede in dio si riduce, alla fine, ad un più interessante confronto dialettico tra interpretazioni molto diverse sull’origine dell’esistente e dell’esistenza, ma la parte che la scienza ha fatto da due secoli fino ad oggi, è risultata rilevante proprio nell’accertamento di fatti e non nella dimostrazione di verità.

La scienza non dice il vero, perché non cerca la verità per antonomasia. Procede per tentativi e, quando le è possibile, afferma quello che è oggettivo e inconfutabile, perché replicabile da chiunque attraverso la pratica empirica.

Forse sarà anche vero che la ragione è un sostegno della fede, agostinianamente parlando; ma è altrettanto oggettivo che nessuno è in grado di dimostrare l’esistenza di ciò che non si mostra fenomenicamente, di ciò che è invisibile nell’insensibile. Il vento, l’aria non si vedono mai eppure noi sappiamo che ci sono: li percepiamo sul nostro corpo, quando muovono i rami e le foglie degli alberi, quando sferzano i mari e i laghi, cambiano le direzioni del volo degli uccelli, scompigliano i capelli, spazzano via le foglie morte in autunno.

Dio invece è invisibile per due motivi: perché semplicemente non esiste e, quindi, qualcosa o qualcuno che non c’è non può neanche mostrarsi a chi esiste e c’è; oppure perché, se esiste, decide di non mostrarsi almeno nell’interpretazione categoriale umana di questo concetto: palesarsi, farsi vedere.

Teologi di ogni sorta potrebbero dire a questo punto che dio si mostra proprio non mostrandosi: attraverso il mondo stesso, l’amore dell’umanità, ed anche tutte le contraddizioni che a noi, animali umani, paiono essere solo delle storture da correggere.

La meraviglia costante delle tante argomentazioni che si possono mettere nero su bianco o proferire a parole riguardo ragione, fede, esistenza o non esistenza di dio e della vita eterna, è la quinta essenza di un fascino filosofico e teologico che può continuare a domandarsi quello che non avrà mai risposta. Una coazione a ripetere? Un masochismo intellettuale molto poco intelligente? Tutt’altro. E’ una prerogativa dell’angoscia umana, dell’ansia di conoscenza, della risolvibilità delle vita.

Che non ha soluzione, che non ha senso se non ridotta al nostro micromondo sotto la ionosfera, al di qua dell’universo, grande, infinito, caotico, silenzioso mistero dei misteri.

ATEI O CREDENTI?
FILOSOFIA, POLITICA, ETICA, SCIENZA
PAOLO FLORES D’ARCAIS, MICHEL ONFRAY, GIANNI VATTIMO
FAZI EDITORE
€ 15,00

MARCO SFERINI

17 maggio 2023

foto: particolare della copertina del libro

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