Le premesse materiali, sociali e ideologiche del genocidio nazista

Un saggio di Ernest Mandel sulla Shoah che ricostruisce le cause materiali, sociali ed ideologiche del genocidio nazista
Ernest Mandel

Un saggio di Ernest Mandel sulla Shoah che ricostruisce le cause materiali, sociali ed ideologiche del genocidio nazista.

Una lettura formativa che giudichiamo importante. Il testo è stato pubblicato in italiano in appendice al Libro “Il significato della seconda guerra mondiale” di Ernest Mandel edito dalla Associazione Punto Critico


Ernest Mandel (Francoforte 1923-Bruxelles 1995) è stato un politologo, economista e uno dei più importanti teorici della Quarta Internazionale in cui era entrato nel 1939.

Nato da genitori polacchi di origini ebraiche, fu rinchiuso nel lager nazista di Mittelbau-Dora. Questo testo è il contributo di Mandel a un incontro sul genocidio nazista tenutosi a Bruxelles nel 1988 ed è stato pubblicato la prima volta in francese in: Yannis Thanassekos e Heinz Wismann (a cura di), Révision de l’Histoire. Totalitarisme crimes et génocides nazis, Editions du Cerf, Paris, 1990.

È stato inserito nell’edizione tedesca de Il significato della Seconda guerra mondiale, pubblicata nel 1991 e lo riportiamo anche in quella italiana (chi volesse acquistarlo può contattare il circolo di Roma di Sinistra Anticapitalista) perché pensiamo che chiarisca bene il pensiero dell’autore su un aspetto fondamentale che nell’opera è affrontato solo per sommi capi.

1. Ciò che ha reso possibile l’Olocausto – fino a oggi avvenimento unico nella storia – è in primo luogo l’ideologia iperrazzista nella sua variante biologica (forma estrema del darwinismo sociale). Secondo questa dottrina ci sarebbero delle “razze sub umane” (Untermenschen), il cui sterminio sarebbe giustificato o addirittura indispensabile. Per i fautori di questa ideologia, gli ebrei sono “parassiti da sterminare”, i neri delle “scimmie”, “gli unici indiani buoni sono gli indiani morti” ecc.

Questo estremo razzismo biologico non cade dal cielo, ma ha la sua base materiale in pratiche socioeconomiche e politiche che trattano determinati gruppi umani in modo così disumano che il bisogno di una giustificazione ideologica – l’ideologia della disumanizzazione – e di una “neutralizzazione” della cattiva coscienza e del senso di colpa individuale (cfr. il discorso di Himmler del 6 ottobre 1943) nasce in modo quasi imperativo.

2. La disumanizzazione sistematica degli ebrei agli occhi dei nazisti non è un fenomeno isolato nella storia. Fenomeni analoghi si sono verificati nei confronti degli schiavi nell’antichità, delle levatrici (“streghe”) nei secoli XIV e XVII, degli indiani d’America, dei neri sottoposti alla tratta degli schiavi ecc. e le vittime si contano a milioni, comprese donne e bambini.

Se il carattere sistematico e integrale dei massacri in nessuno di questi casi raggiunge quello dell’Olocausto non è perché questi assassini erano più “umani” o più indulgenti dei nazisti, ma perché i loro mezzi ed i loro disegni socioeconomici e politici erano più limitati.

3. Non è vero che i progetti di sterminio dei nazisti erano riservati esclusivamente agli ebrei. Gli zingari hanno conosciuto uno sterminio percentualmente paragonabile a quello degli ebrei. Sul lungo termine i nazisti volevano sterminare cento milioni di persone, soprattutto slavi, nell’Europa centrale e orientale.

Se lo sterminio è iniziato dagli ebrei, ciò è dovuto in parte alla credenza folle di Hitler e di alcuni dei suoi collaboratori nella “cospirazione mondiale degli ebrei”, ma in parte anche a una ragione più pratica. Prima dello sterminio bisognava che gli schiavi lavorassero (cfr. il ministro della “Giustizia” Thierack: «Tod durch Arbeit»). Ora, i nazisti credevano, a torto o a ragione, che gli ebrei sarebbero stati meno docili e meno facilmente riducibili a schiavi analfabeti completamente rassegnati, rispetto alle altre “razze inferiori”.

Di qui la necessità ai loro occhi di avviarli alla morte (anche attraverso il lavoro) all’interno dei campi e non in villaggi e città ancora parzialmente “aperti” (destino previsto per russi, polacchi, ruteni, ucraini ecc., da sterminare successivamente).

4. Tra gli antisemiti contemporanei più fanatici la dottrina dell’inferiorità razziale degli ebrei (la “disumanità”) è legata al mito della “cospirazione dell’ebraismo internazionale” per impadronirsi del potere mondiale e “succhiare il sangue” di tutti i popoli. Gli strumenti di questa cospirazione sarebbero il grande capitale speculativo (bancario); il socialismo marxista (più tardi il bolscevismo); la massoneria o. i gesuiti.

Questo mito non è di origine tedesca, ma russa (i famosi Protocolli dei Saggi di Sion, fabbricati dall’Okhrana zarista), i cui echi, alla fine del XIX secolo, erano molto forti in Francia, Gran Bretagna, Austria, Ungheria, Polonia e Germania. Il dirigente ucraino Petlioura, responsabile di pogrom che in poco tempo uccisero più di 100.000 ebrei, era un fanatico di questo mito e, a nostro avviso, non c’è dubbio che sarebbe stato capace di concepire e praticare l’Olocausto, se ne avesse avuto i mezzi materiali e tecnici.

5. La dottrina del razzismo biologico si colloca nel quadro più ampio dell’ascesa di dottrine antiumanistiche, antiprogressiste, antiegualitarie, antiemancipatrici, che esaltano apertamente la violenza più estrema e sistematica nei confronti di importanti gruppi umani (“il nemico”) e che si diffondono verso la fine del XIX secolo.

È incontestabile che lo scoppio (e, in misura minore, la preparazione) della Prima guerra mondiale abbiano costituito in proposito la svolta decisiva. Senza la Prima guerra mondiale Hitler e il nazismo come fenomeno di massa sarebbero stati inconcepibili e senza lo scoppio della Seconda guerra mondiale Auschwitz sarebbe stata impossibile.

Ma la crisi dell’umanesimo e della civiltà determinata dalla Prima guerra mondiale difficilmente può essere staccata dal fenomeno della crisi dell’imperialismo, i cui prodromi nel colonialismo sono proprio legati alla nascita di dottrine razziali biologiche in parte dei colonizzatori (cfr. i cartelli: “Vietato ai cani e agli indigeni”).

6. L’Olocausto non ebbe solo radici ideologiche, ma sarebbe stato impossibile senza un insieme di mezzi materiali e tecnici. Fu un’impresa di sterminio industriale e non artigianale e questa era la differenza coi pogrom tradizionali.

Un’impresa che richiedeva la produzione in massa del gas Zyklon B, delle camere a gas, delle tubazioni, dei forni crematori, delle baracche, dell’intervento massiccio delle ferrovie, su una scala tale da essere irrealizzabile nel XVIII secolo e nella maggior parte del XIX secolo, per non parlare di epoche precedenti (e non di periodi della durata di qualche decennio, bensì di parecchi secoli).

In questo senso l’Olocausto è anche (non solo, ma anche) un prodotto dell’industria moderna che sfugge sempre più al controllo della ragione umana e umanistica, cioè dell’industria capitalistica moderna spinta da una concorrenza esacerbata e divenuta incontrollabile. È l’esempio più estremo finora conosciuto di una combinazione tipica di razionalità parziale perfezionata e di irrazionalità globale, spinta fino in fondo, combinazione che caratterizza la società borghese.

7. Accanto alle precondizioni ideologiche e materiali/tecniche dell’Olocausto occorre mettere in evidenza le sue precondizioni sociopolitiche. La realizzazione dell’Olocausto richiese la partecipazione, con diversi gradi di complicità attiva o passiva, di vari milioni di persone: in primo luogo, senza dubbio, carnefici, organizzatori e guardiani dei campi; ma anche uomini di Stato, banchieri, industriali, alti funzionari, alti ufficiali, diplomatici, giuristi, professori, medici, così come alla base: piccoli funzionari, poliziotti, guardiani di “normali prigioni”, ferrovieri ecc.

Se si esamina attentamente questa massa di diversi milioni di complici ripartendola per nazionalità, si vedrà che probabilmente i tedeschi veri e propri non costituivano più del 50-60% del totale. Se la si suddivide anche secondo il grado di irrazionalità, si vedrà che gli psicopatici e i fanatici rappresentavano una minoranza, certo sostanziale.

Ma la maggioranza agiva per obbedienza, routine o calcolo (il silenzio delle gerarchie ecclesiastiche entra in quest’ultima categoria), se non per codardia (i rischi individuali della disobbedienza erano considerati superiori ai rischi di essere complici di atti inumani).

Una delle ragioni che hanno permesso l’Olocausto è dunque di ordine etico o, se vogliamo, di motivazione comportamentale. Sul piano della mentalità l’Olocausto è anche il risultato – oltre che dell’esaltazione, dell’accettazione o anche del culto della violenza di massa – dell’accettazione della dottrina secondo cui lo Stato ha il diritto di imporre agli individui azioni che questi dovrebbero ricusare e in fondo a loro stessi respingono, dal punto di vista delle regole fondamentali dell’etica.

Secondo questa dottrina sarebbe meglio sottomettersi in ogni caso a questo potere dello Stato piuttosto che “minarne l’autorità politica”. Le estreme conseguenze di questa dottrina hanno dimostrato l’assurdità della tesi classica dei conservatori (compresi Aristotele e Goethe) secondo la quale il “disordine” provocato dalla rivolta contro l’ingiustizia porterebbe a un’ingiustizia ancora maggiore.

Non ci può essere più ingiustizia che ad Auschwitz. Di fronte all’ingiustizia di massa, la resistenza e la rivolta, anche individuali, ma soprattutto collettive, sono non solo un diritto, ma anche un dovere; devono prevalere su ogni ragione di Stato. Questa è la lezione principale dell’Olocausto.

8. Minoranze fanatiche, estremiste e disumane, ovvero minoranze e individui patologici, sono esistite ed esistono in quasi tutti i paesi nel XIX e XX secolo, per non parlare dei secoli precedenti, ma costituiscono un fenomeno marginale, con un peso politico minimo, come in Germania, nel periodo 1848-1914.

Per far sì esse possano avere un’eco tra milioni di persone occorre una profonda crisi sociale (come marxisti diremmo: una profonda crisi socioeconomica, una profonda crisi del modo di produzione e una profonda crisi delle strutture di potere).

Perché tali individui possano essere candidati immediatamente al potere, o addirittura prendere il potere, occorre che vi sia un concorso di forze sociali che lo permetta: indebolimento del movimento operaio (e, in misura minore, del liberalismo borghese) tradizionale; rafforzamento degli strati più aggressivi delle classi possidenti; disperazione delle classi medie; aumento considerevole del numero dei declassati ecc.

La crisi della repubblica di Weimar e la crisi economica del 1929-34 crearono queste condizioni nella Germania del 1932-33.

9. Particolarità della storia tedesca sono state: la natura specifica del “blocco di potere” successivo all’unificazione tedesca del 1871; il peso particolare degli Junker prussiani e della loro tradizione militarista all’interno di questo blocco; la relativa debolezza della tradizione liberale umanista rispetto ad altri paesi (debolezza dovuta alla sconfitta della rivoluzione del 1848); la palese sproporzione tra lo sviluppo dell’industria e del capitale finanziario tedesco, da un lato, e il suo ruolo nella ripartizione delle sfere d’influenza su scala mondiale. Nel periodo 1890-1945 tutto questo rese l’imperialismo tedesco più aggressivo dei suoi principali rivali.

La lotta per il dominio mondiale passava allora, agli occhi di buona parte delle “élite” tedesche, attraverso la guerra e il militarismo. L’impero da conquistare – l’equivalente dell’impero delle Indie – era situato nell’Europa centrale e orientale (prima di estendersi, a partire da questa base, al Medio Oriente, all’Africa, all’America del Sud ecc.).

Questo spiega perché molti nella classe dominante tedesca erano disposti ad accettare Hitler, senza vedere assolutamente dove li avrebbe condotti (ma già dal 30 giugno 1934 era chiaro, per chi non era cieco, che quest’uomo era pronto a trasgredire le regole più elementari dello Stato di diritto e della morale e che era un assassino senza alcun ritegno).

Le due tendenze, umanista liberale e militarista conservatrice, sono presenti in tutte le classi borghesi d’Europa, degli Stati Uniti e del Giappone, dopo il 1885-1890. La differenza è che la seconda è rimasta minoritaria in Francia e in Gran Bretagna e che è diventata maggioritaria in Germania e in Giappone, mentre negli Stati Uniti rimangono in equilibrio dal 1940. Una differenza non dovuta a motivi etnici, ma a peculiarità storiche.

10. Se si considera l’Olocausto come espressione finora ultima delle spinte distruttive presenti nella società borghese, spinte le cui radici affondano nel colonialismo e nell’imperialismo, si possono riscontrare oggi tendenze che vanno nella stessa direzione, in particolare e soprattutto nell’evoluzione della corsa agli armamenti (guerra nucleare, biologica e chimica, armi cosiddette convenzionali più potenti delle bombe lanciate su Hiroshima e Nagasaki, ecc.).

Una guerra nucleare, o una guerra “convenzionale” mondiale senza soppressione preventiva delle centrali nucleari, sarebbe peggiore dell’Olocausto.

L’irrazionalità globale dei preparativi in questa direzione si esprime già sul piano del linguaggio: quando si dice “ridurre i costi” della guerra nucleare, ciò equivale a cercare di suicidarsi e a distruggere tutto il genere umano “a minor costo”. Che cosa hanno a che vedere i “costi” con il suicidio?

11. Quest’interpretazione dell’Olocausto non ha affatto la funzione di relativizzare i crimini nazisti contro l’umanità, che sono i peggiori crimini della storia, pertanto così ricchi di orrori, ma ha un valore scientifico proprio. Se la si respinge, bisogna dimostrare che essa è sbagliata dal punto di vista dei fatti, della loro correlazione, del loro concatenamento. È un dibattito tra storici, sociologi, economisti, politologi, moralisti. Si può confutare una tesi (ipotesi) scientifica solo con argomenti scientifici, e non con argomenti extrascientifici.

Ma, lungi dall’essere, in qualsiasi modo, una concessione ai nazisti o ai militaristi tedeschi, per non dire alle “élite” tedesche, questa interpretazione dell’Olocausto ha anche una funzione soggettiva perché è utile e necessaria dal punto di vista degli interessi del genere umano, permettendo di sfuggire ai rischi, intellettuali e morali, inerenti alla tesi opposta, secondo la quale l’Olocausto sfuggirebbe a qualsiasi spiegazione razionale e sarebbe incomprensibile. Questa tesi oscurantista costituisce, in larga misura, un trionfo postumo della dottrina nazista.

Perché se davvero una parte della storia è irrazionale e totalmente incomprensibile, anche l’umanità sarebbe irrazionale e incomprensibile e l’impero del male sarebbe “in tutti noi”. È un modo appena indiretto, per non dire ipocrita, di sostenere che la responsabilità non è né di Hitler, né dei nazisti, né di coloro che hanno permesso loro di conquistare e di esercitare il potere, ma che sarebbe di tutti, cioè di nessuno in particolare.

Da parte nostra, noi preferiamo constatare ciò che corrisponde alla verità storica: lungi dall’essere “tutti colpevoli”, gli uomini e le donne si sono schierati ovunque, anche in Germania, in due campi. I criminali e i loro complici si sono comportati diversamente dai resistenti.

Gli operai di Amsterdam, che sono scesi in sciopero per protestare contro i primi decreti contro gli ebrei, non sono uguali alle SS. La resistenza danese, che ha salvato praticamente tutti gli ebrei di questo paese, non è uguale ai Quisling.

La maggioranza del popolo italiano (una “banda di bugiardi disonesti”, come diceva Eichmann, con un cinismo che rasenta il grottesco), che ha permesso di salvare la grande massa degli ebrei italiani, non è uguale agli Ustascia. I soldati dell’Armata Rossa, che hanno liberato Auschwitz, non sono simili a quelli che hanno creato le camere a gas.

Tra queste due parti c’erano, certo, situazioni e comportamenti intermedi, ma l’esistenza dei due schieramenti è empiricamente verificabile. Spiegando le cause dell’Olocausto in modo razionale si spiega allo stesso tempo la differenza tra questi comportamenti.

12. La nostra interpretazione dell’Olocausto ha anche una funzione politica pratica. Permette di sfuggire all’inadeguatezza pratica e al senso di impotenza di fronte ai rischi di ripetizione del fenomeno. Abbiamo detto a chiare lettere che l’Olocausto è finora il culmine dei crimini contro l’umanità.

Ma non vi è alcuna garanzia che questo vertice non sia eguagliato, o addirittura superato, in futuro. Negarlo a priori ci sembra irrazionale e politicamente irresponsabile. Come diceva Bertolt Brecht: «Il ventre che ha partorito questo mostro è sempre fecondo.»

Oggi, per combattere meglio il neofascismo e il razzismo biologico, dobbiamo comprendere la natura del fascismo di ieri. La conoscenza scientifica è anche un’arma di combattimento e di sopravvivenza dell’umanità, non un esercizio puramente accademico. Rifiutare di utilizzare quest’arma significa facilitare l’avvento di nuovi candidati assassini di massa, significa contribuire a che commettano nuovi crimini.

Spiegare le cause del fascismo e dell’Olocausto significa invece rafforzare il potenziale di rigetto, di indignazione, di ostilità, di opposizione totale e irriducibile, di resistenza e di rivolta, contro la rimonta sempre possibile del fascismo e di altre dottrine e pratiche di disumanizzazione. È un’opera di sanità politica e morale elementare e indispensabile.

ERNEST MANDEL

da anticapitalista.org

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