Un golpe sconfitto da Nato, Usa e Merkel

Dodici ore che hanno sconvolto la vita della Turchia e che ne segneranno per molto tempo il cammino politico e sociale. Si inizia così, con le notizie di prima...

Dodici ore che hanno sconvolto la vita della Turchia e che ne segneranno per molto tempo il cammino politico e sociale. Si inizia così, con le notizie di prima mano che arrivano da Ankara e Istanbul su un tentativo di colpo di stato messo in essere dall’esercito contro Erdogan, il presidente di destra; colui che non disdegna l’acquisto di petrolio dallo Stato islamico; colui che impegna proprio le forze armate in un logoro combattimento nel sud-est del paese e che ha più volte mortificato il morale dell’esercito sostituendone quei capi di stato maggiore che non gli sembravano troppo amici, magari legati alla tradizione laica della repubblica fondata da Mustafà Kemal “Ataturk”.
Comincia così un colpo di stato che sembra prendere facilmente il potere. Occupazione della televisione di stato, assedio al parlamento, blocco delle comunicazioni su Internet, chiusura delle comunicazioni via terra tra le due parti di Istanbul, blocco totale dei voli dall’aeroporto intitolato al padre della patria, per finire, bombardamento delle caserme centrali della polizia pretoriana di Erdogan e dei servizi segreti a lui fedeli.
Per qualche ora tutto sembra filare liscio e, vedendo le immagini dei circuiti internazionali, sembra che addirittura la popolazione scenda in piazza per dare man forte ai militari.
Ma poi, nel cuore della notte, appena spegni la tv, tutto cambia. I giornali del mattino arrivano tardi nelle edicole per l’aggiornamento repentino delle notizie. Ma se accendi lo smartphone e vai su Internet, ti accorgi che quei titoli sono già ampiamente superati e che ormai quelle pagine sono cronaca e non attualità inedita.
Tra le aperture dei quotidiani e i titoli dell’Ansa e di altre agenzie c’è un abisso: poche ore per scoprire che il golpe è fallito, che oltre 1.500 militari sono stati arrestati, che Erdogan ha peregrinato un po’ sui cieli turchi per poi, dopo aver avuto la garanzia del fallimento delle volontà dei colonnelli ribelli, ha deciso di atterrare ad Istanbul e mostrarsi alla folla.
L’appello che aveva lanciato alla popolazione per una resistenza ai militari ribelli, sembra essere stato recepito: decine di migliaia di turchi scendono in piazza e costringono i militari ad indietreggiare.
Ma forse un giorno scopriremo che un ruolo determinante nella ritirata e nel fallimento del colpo di stato lo hanno avuto tre fattori: la Nato, gli Stati Uniti d’America e la Germania.
Una delle prime domande che mi sono fatto è stata questa: non è mai accaduto, dai tempi della Guerra fredda, che in un paese affiliato all’Alleanza Atlantica si sviluppasse un colpo di stato. Come mai in Turchia ciò avviene e avviene senza che, per ben due ore e mezza, il dipartimento di Stato americano non proferisca parola?
Il silenzio americano fa il paio con la primissima dichiarazione dei golpisti: “Manterremo tutte le relazioni con i paesi esteri”. Un segno di rassicurazione e un messaggio chiaro: cambia il macchinista, ma il treno andrà nella stessa direzione per quanto riguarda la politica estera.
Ma forse questo non basta. La Turchia è un paese così terribilmente strategico nello scacchiere europeo, mediorientale e asiatico persino, da non consentire concessioni di sorta a chi vuole fare un’eccezione, determinare un cambiamento radicale in questo modo: è accettabile per la Nato, gli Usa e l’Unione Europea il principio secondo cui un governo “democraticamente” eletto (vi prego di porre attenzione alle virgolette) venga sostituito da un altro tramite l’azione dei militari?
Si creerebbe un pericolosissimo precedente e poi non si sa che politiche vogliano intraprendere i militari con la vicina minaccia dello Stato islamico, con la questione curda.
Per un attimo sembra che la parte che si è sollevata contro il governo del “sultano” sia una fazione laica, vicina ai princìpi laici di Ataturk, lontana dall’islamismo politico instaurato da Erdogan. Ma le voci sono sempre più confuse: si parla di Fethullah Gulen come ispiratore del colpo di stato, quindi di una ispirazione proveniente da un esiliato negli Usa che rappresenta comunque per i turchi un punto di riferimento morale, religioso e culturale, oltre che politico.
Gulen è una specie di predicatore che ha abbandonato Erdogan dopo una serie di scandali ormai archiviati. E’ un filosofo ricchissimo, capo di un impero economico e finanziario. E’ lui ad accusare il governo di essere corrotto e a spingere la magistratura ad indagare mezzo esecutivo. Erdogan traballa ma regge e Gulen parte l’esilio.
Ieri notte, il presidente che aveva quasi perso il potere, viene accusato direttamente di essere l’ispiratore di questa sollevazione. Forse non lo sapremo mai chi veramente abbia ispirato politicamente questa rivolta, ma di sicuro sappiamo che, solo dopo il sostegno di Obama, diretto e senza mezzi termini, ad Erdogan e quello più timidamente velato della Merkel, i militari iniziano a tentennare. Probabilmente quelli che stavano per essere convinti ad unirsi alla ribellione si ritirano. La folla incalza, la polizia pretoriana del sultano fa lo stesso. E’ ben militarizzata, ha anche dei blindati che il presidente le aveva concesso proprio per il timore che l’esercito tramasse qualcosa alle sue spalle.
Nel giro di pochissime ore, dunque, avviene al contrario quello che non è avvenuto ad esempio in Cile nel lontano 1973.
Del resto, un golpe che vuole abbattere un amico della Nato, degli Stati Uniti d’America, dell’imperialismo e della Merkel, può riuscire se non ha l’appoggio proprio dei soggetti appena citati?
Allende, fatte le dovute differenze tra luogo, tempo e situazioni, avrebbe avuto questi tre attori internazionali contro. Uno l’aveva e ha anche promosso il colpo di Stato fascista sostenuto apertamente dalla Cia.
Erdogan si salva non per la folla che fa paura ai militari, ma per il cerchio garrotante dell’Alleanza Atlantica, di Obama e della Merkel (la Mogherini è in Mongolia e, a dire la verità, conta meno della cancelliera tedesca che rappresenta lei, da sola, il ministero degli esteri europeo) che si stringe attorno ai colonnelli e ai soldati che hanno pensato di farla finita con un tiranno parafascista che sta trasformando la Turchia in un paese sempre meno laico, sempre più autoritario.
La repressione sarà durissima. L’hanno promesso sia il capo del governo che lo stesso presidente.
Dormite sonni tranquilli, le borse per oggi sono salve e la Turchia è precipitata, intanto, sul baratro di una vera e propria guerra civile…

MARCO SFERINI

16 luglio 2016

foto tratta da Pixabay

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