Quella disperazione che porta il capo del governo ad insultarci

Qualunque sia il livello dello scontro in una competizione elettorale, sia politica che locale, sia amministrativa che referendaria, non si può eccedere oltre una certa asticella di misura, oltre...

Qualunque sia il livello dello scontro in una competizione elettorale, sia politica che locale, sia amministrativa che referendaria, non si può eccedere oltre una certa asticella di misura, oltre un limite che è quello del rispetto complessivo di milioni e milioni di persone che hanno deciso di votare ed esprimersi secondo una linea di pensiero diametralmente opposta a quella di altri.
E’ quello che ha fatto e continua a fare, completamente indisturbato e sempre ben accolto in tutti i mezzi di comunicazione di massa da mane a sera, il presidente del consiglio della Repubblica Italiana, alternativamente anche segretario nazionale del Partito democratico.
Proprio ieri, Matteo Renzi ha definito tutti coloro che sostengono le ragioni del NO al referendum costituzionale del 4 dicembre prossimo come una “accozzaglia di tutti contro una sola persona”. Questa “sola persona” – è ovvio, scontato, palesemente pleonastico – è lui medesimo: lui, l’uomo solo al comando, il “capo” (così definibile dalla descrizione del leader di una coalizione nella legge Italicum).
Accerchiato come dentro Forte Apache, come un battaglione tedesco in Normandia (rubo questa metafora ad un caro amico). Dunque il vittimismo come primo elemento di piagnisteo quotidiano, di lamento funebre su una pira che diventa sempre più alta e che le sensazioni stradali di chi vive giorno per giorno la politica tra la gente, vi parla senza essere il capo del governo italiano alimentano: stando alle dichiarazioni di chi si ferma ai banchetti del Comitato per il NO, di chi interagisce con i volantinatori, vi è ampia consapevolezza su molte parti del quesito referendario e vi è, soprattutto, rabbia, odio e disapprovazione per il governo Renzi.
Per un governo intero, non esclusivamente per l'”uomo solo al comando”, per il suo “capo”. La parola “voucher” è parte della controriforma costituzionale perché i cittadini la percepiscono come elemento di costruzione di una narrazione politica che interpreta lo stato di malessere di larghe fasce impoverite della popolazione.
E la interpreta dal punto di vista delle grandi banche, dei padroni, dei ricchi che hanno nel governo il migliore amico, alleato e spalleggiatore per ulteriori defiscalizzazioni e decontribuzioni in favore di nuove presunte assunzioni.
Un governo di sinistra farebbe esattamente il contrario: proverebbe a stabilizzare e ad aumentare l’occupazione con incentivi sull’economia, non togliendo semplicemente le tasse che i padroni devono pagare allo Stato.
Troppo facile eliminare il “rischio di impresa” con sovvenzioni e aiuti sempre provenienti dalle casse pubbliche. Più difficile abituare il capitalismo italiano a rendersi concorrenzialmente autosufficiente e in grado di gareggiare con le imponenti locomotive europee e transoceaniche.
Ma ritorniamo all’accerchiamento che il presidente del consiglio avverte tutto intorno alla sua persona: ha definito “accozzaglia”, dunque, tutti coloro che sono schierati per il NO, motivando tutto questo livore della disperazione con la ragione secondo cui non vi sarebbe prospettiva di alternativa al suo governo, alla sua maggioranza nel caso vincesse il NO.
E’ un argomento che non può essere proposto come “politico”, ma come mera demagogia: infatti non stiamo per andare a votare su una scheda con dei simboli di partito, ma con due opzioni: “Sì” o “No”. Anche un bambino, privo quindi di qualunque nozione di scienze politiche, comprenderebbe che se deve scegliere tra due opzioni, dovrà fare quella scelta. Se vuole farla. Può anche astenersi e votare scheda bianca. Oppure può annullare la scheda.
Ma le opzioni valide solo soltanto due. Pertanto, la popolazione dei votanti dovrà schierarsi e lo farà prescindendo dal colore politico, ma assumendo come bussola di comportamento la propria opinione in merito all’argomento trattato.
Non si vota, infatti, su schemi ideologici, su appartenenze politiche, ma sul favore o sulla contrarietà che si vuole esprimere ad una controriforma di un governo che l’ha proposta e che non può esimersi dal separarla da sé stesso e che, pertanto, deve assumersi l’onere della prova anche in merito ad un riflesso condizionato sulla fiducia che gli italiani hanno nei suoi confronti.
Votare “SI'” significa esprimere un voto di fiducia al governo Renzi che, è palese, è ovvio, condivide appieno lo stravolgimento della Costituzione in quanto ne è il proponente.
Votare “NO”, invece, significa bocciare la controriforma e bocciare l’idea di Stato, di rapporti istituzional-sociali che questo governo ha per il Paese: una subordinazione del Parlamento all’esecutivo e una semplificazione nella formazione delle leggi tale e quale richiesta dalle grandi banche che vedono nelle Costituzioni del sud Europa ancora elementi farraginosi di complicazione di semplici processi di approvazione di norme che aiutino i profitti ad essere sempre più reperibili nel mondo crescente della disperazione sociale.
Matteo Renzi non si può permettere di insultare una buona metà e oltre dell’elettorato, dei cittadini e delle cittadine. Non può accarezzarne il capo fino al momento della indecisione e poi insultarli definendoli “accozzaglia”, spregiativamente, quando decidono di scegliere una delle due opzioni previste dal referendum.
Lo può fare, se ritiene di adottare questo “stile”, come segretario del PD e consegnare al PD il marchio di partito che accetta un linguaggio di tale fatta. Ma non lo può fare da presidente del consiglio dei ministri, da capo del governo italiano.
C’è stato soltanto un altro presidente del consiglio che ha usato termini simili, anche peggiori, nei confronti degli italiani che non votavano per lui o che si esprimevano contro le sue politiche: si chiamava Silvio Berlusconi.
Ed anche in questo caso una linea, nemmeno tanto sottile, di continuità si vede sempre più venire fuori dal sottobosco delle buone intenzioni e delle belle parole di prammatica nel forsennato giro d’Italia che Renzi sta facendo per provare a mitigare la disperazione di un consenso calante. Drammaticamente vicino al disastro politico di un’esperienza che può finire tra quindici, brevi giorni.

MARCO SFERINI

20 novembre 2016

foto tratta da Pixabay

categorie
Marco Sferini

altri articoli