Ognuno di noi ora faccia il “giuramento di Ippocrate”

La protezione dei propri corpi, la barriera che dobbiamo creare tra noi e il Coronavirus per fare in modo che questa stessa possa diventare una barriera comune per la...

La protezione dei propri corpi, la barriera che dobbiamo creare tra noi e il Coronavirus per fare in modo che questa stessa possa diventare una barriera comune per la stragrande maggioranza della popolazione. La sfida individuale, sociale, psicologica e morale oggi è questa: una sfida all’adattamento a condizioni di vita completamente nuove.

Questo 10 marzo 2020 segna nella nostra esistenza, qui in Italia, un punto preciso dal prima e il dopo: perché dopo nulla sarà più come prima anche nei rapporti interpersonali, nella visione complessiva della società che molte persone avevano e persino nella voglia di rivoluzionarlo questo mondo, nel comprenderne le dinamiche espansive e implosive.

Che un piccolo virus potesse sconvolgere il sistema planetario dominato dal potente mercato capitalistico, trascinare nella disperazione le Borse e minare le fondamenta stesse di una economia apparentemente imperturbabile nella sua struttura portante in quanto globale, era uno scenario tipico di qualche film catastrofista, in salsa statunitense: uno di quei filmoni dove un bacillo provoca il trasferimento del presidente e del vicepresidente in bunker ben protetti, rigorosamente separati per garantire la sicurezza nazionale e dove si mente sempre alla popolazione per evitare il panico.

Ecco l’elemento psicologico più pressante: il panico generato dalla disperazione che, a sua volta, nasce da una frustrazione che sentiranno maggiormente coloro che sono soliti vivere all’aperto o fuori casa la gran parte della giornata.

Chiariamo: il decreto del governo, che fa dell’Italia intera una “zona protetta“, che estende quindi – e implementa – le regole già applicate alla zona lombarda e alle quattordici province messe in quarantena solo pochi giorni fa vista la crescita esponenziale dei contagi da Covid-19, non impedisce di uscire da casa.

Restare a casa è necessario, indispensabile. Rimanere nelle proprie abitazioni il più possibile è oggi la misura di salute pubblica per eccellenza. #iorestoacasa: diffondiamo il messaggio senza accompagnarlo ad ansie ed esasperazioni, ma con la consapevolezza che meno giriamo noi per le strade dei nostri comuni e meno circola anche il virus, meno speranze ha il Covid-19 di trovare altri ospiti in cui inocularsi.

Si potrà fare la spesa, ma una persona per volta in ogni famiglia; si potrà uscire anche a fare una passeggiata per sgranchirsi le gambe, ma in solitaria, senza creare assembramenti, senza avere cioè contatti sociali e rispettando sempre e comunque almeno 1 metro di distanza dal nostro interlocutore. Ovunque ci si trovi.

Ci si dovrà lavare le mani costantemente, magari farlo anche prima di uscire da casa. Farlo obbligatoriamente per strada con gel alcolici o salviette che abbiano la stessa funzione. E farlo ancora di più quando si rientra nella propria abitazione, per salvaguardarla dal Coronavirus, per continuare a fare delle nostre case dei piccoli fortini non sotto assedio, ma sotto tutela: tutela che diventa egualmente diritto e dovere. Diritto di ciascuno di rimanere sani, di non dismettere la barriera che imponiamo tra noi e l’epidemia; dovere di ognuno di noi nei confronti del resto della popolazione.

Un dovere civico, una delle più alte forme di dimostrazione della solidarietà sociale, dell’essere comunità nazionale nel vero senso della parola, laddove l’unità si crea, si rafforza e si distingue da tutto il resto per la comune appartenenza non tanto ad un territorio quanto ad uno specifico problema di natura generale, che deve farci dismettere qualunque distinzione ideologica. Come se un poco tutti fossimo dei medici, come se avessimo anche noi da oggi fatto un “giuramento di Ippocrate” nel provare a salvare vite umane, comprese le nostre, con l’assunzione di comportamenti responsabili anche se frutto di sacrifici non da poco.

Nell’essere ciascuno tutore di sé stesso e protettore degli altri, troverà applicazione la nostra stessa Costituzione, perché la condivisione morale e civile di un problema di salute pubblica ci impegna nella realizzazione della Repubblica qui ed ora.

Nel momento in cui siamo il presidio sanitario di noi stessi e degli altri, mentre tuteliamo la “salute come fondamentale diritto dell’individuo e nell’interesse della collettività“, mentre ci occupiamo dei malati e li assistiamo, mentre osserviamo fare tutto questo da personale specializzato, da oltre 40.000 tra medici, infermieri, personale di primo soccorso, militi delle varie croci, ecco, mentre tutto questo accade e si concretizza ogni ora nel Paese, la Repubblica vive, rinasce e si depura dalle tante scorie di odio e di disprezzo che in questi anni l’hanno contornata e soffocata.

Una Repubblica, quindi un popolo, che non deve dimenticare le fondamenta democratiche della sua vita, i diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino e che deve rimanere umana sempre, comunque. Per questo il dramma del sovraffollamento delle carceri, motivo principale che ha scatenato la rivolta di queste ore in tanti penitenziari d’Italia, va affrontato non con soluzioni moraleggianti, tanto meno con la repressione. Ma con un dialogo franco, onesto, sincero: ammettendo che esistono diritti per tutti, anche per coloro che si sono macchiati di reati pure gravi. E che questi diritti comprendono il nostro stesso diritto alla salute.

Se il Coronavirus dovesse trovare appiglio nelle carceri italiane, dove stanno stipati nelle celle più detenuti di quanti sono consentiti dalle stesse normative, sarebbe una sconfitta del piano di contenimento dell’epidemia che è stato messo in campo da ieri sera e che deve, progressivamente, trovare attuazione adeguata in tutti i settori.

Così come proteggiamo le categorie sociali più a rischio nella cosiddetta “società civile“, la stessa cosa dobbiamo fare dietro le sbarre, sapendo bene che il virus non conosce confini e che può entrare in qualunque prigione. Lui non teme di rimanere recluso, ma cerca di infiltrarsi ovunque, di aprirsi varchi molto democraticamente.

Non è razzista il virus: attacca tanto gli italiani quanto gli stranieri, di sparge su tutto il pianeta al punto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità è pronta a dichiarare la “pandemia“.

Non fa discriminazione alcuna il virus: come la bomba atomica descritta da De André in “Girotondo“… “Sian grandi o sian piccini li distruggerà, sian furbi o sian cretini li fulminerà…“. E così pure siano ricchi o siano poveri li colpirà; siano potenti o siano semplici cittadini, il virus non farà distinzioni.

Vanno tutelati tutti coloro che dovranno, per lavorare, uscire da casa e rimanere a contatto con la popolazione

Abbiamo davanti a noi settimane complicate, fatte certamente di tensioni: familiari, sociali, con noi stessi. Dovremo fare a botte con i nostri istinti, reprimerli a volte, venire a patti con loro altre volte.  Sarà bene puntare lo sguardo sugli obiettivi che dobbiamo e che vogliamo conseguire qualora dovesse pervaderci un senso di claustrofobia, di confinamento dentro vite anguste eppure così diverse dalla ritualità quotidiana cui eravamo abituati.

In fondo non stiamo parlando di una eternità. Si tratta di poche settimane in cui consentire al campo medico e scientifico di valutare la curva di sviluppo del contagio e tutte le altre ad essa collegate: i guariti, i deceduti, i malati in terapia intensiva nonché lo sguardo più ampio sul resto del mondo.

Al momento giungono segnali incoraggianti: ieri Mattia, il paziente “numero 1” di Codogno, ha ricominciato a respirare autonomamente passando alla terapia semi-intensiva. E’ una buona notizia. Così come sono buone le notizie del ritorno progressivo ad una lenta normalità da parte di molte città cinesi che rimangono in quarantena ma dove il virus, come dicono gli scienziati, “inizia a rallentare“.

In queste settimane, dunque, siamo noi stessi la Repubblica: nel sostenere il governo nella sua azione, nell’appoggiare incondizionatamente tutto il settore sanitario che da mesi lavora senza sosta per sopperire a mancanze che non vi sarebbero state se si fosse investito maggiormente nel pubblico, in ogni settore. Dagli ospedali alle scuole, dai servizi sociali ad una rinascita dello stato-sociale come rete di protezione singolare e collettiva invece smantellata dalle politiche liberiste.

E’ possibile che questo tunnel che dobbiamo attraversare tutti ci insegni qualcosa: che l’economia forse non è la padrona di ogni ambito della nostra vita e che si può cambiare per mutare proprio la nostra esistenza, per renderla meno precaria, più egualitaria e giusta. Per diminuire la distanza che c’è tra i diritti di tutti e i privilegi di pochi, eliminando progressivamente questi ultimi e facendoli rientrare esclusivamente nel campo dei diritti universali.

Non devono esserci privilegi, per nessuno. Non devono esistere. Soltanto così, un giorno, ci faranno meno paura anche altri virus che possono nascere e attaccarci nuovamente. Perché nessun rimarrà indietro, nessun medico dovrà scegliere quale malato salvare, nessun essere umano sarà trattato a seconda delle disponibilità economiche che detiene. Ma solo in quanto diritto vivente, avamposto di una “repubblica” che davvero sia la “cosa pubblica“, l'”omnia sunt communia“.

MARCO SFERINI

10 marzo 2020

Foto di panos13121 da Pixabay

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