Marlene Dietrich. Dalla testa ai piedi fatta per l’amore

GLI ESORDI. Dai cabaret della Repubblica di Weimar a L'angelo azzurro
Marlene Dietrich

PRIMA PARTE

Nel 1967 i Beatles in occasione del loro ottavo album, commissionarono agli artisti Jann Haworth e Peter Blake la realizzazione della copertina. L’album era il leggendario “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” e la copertina, su idea di Paul McCartney, raffigurava un ideale pubblico davanti al quale i ragazzi di Liverpool avrebbero voluto esibirsi.

1. l’iconica copertina di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band

In quell’eterogeneo “club dei cuori solitari”, considerata la più bella copertina di tutti i tempi nonché uno dei “prodotti” più iconici della cultura pop, figuravano, tra gli altri, Karl Marx, Albert Einstein, Oscar Wilde, Bob Dylan, Edgar Allan Poe, Dylan Thomas, H. G. Wells, Marlon Brando, Laurel & Hardy, Terry Southern, Marilyn Monroe, Carl Gustav Jung. E poi, vicino a George Harrison, c’era lei. La femme fatale per eccellenza, quella che i cuori li spezzava. C’era Marlene Dietrich.

Il padre Luois Erich Otto Dietrich (1868 – 1908), un decorato ufficiale della cavalleria degli Ulani, e la madre Wilhelmina Elisabeth Josephine Felsing (1876 – 1945), figlia di Albert Karl Julius Felsing, ricco proprietario della più prestigiosa gioielleria di Berlino, una volta sposati andarono a vivere nel quartiere di Schöneberg nella zona residenziale riservata alla buona borghesia, al numero 54 della Jaiserallee. Il 5 febbraio del 1900 nacque Elizabeth, il 27 dicembre dell’anno successivo venne al mondo Maria Magdalene Dietrich.

Il 5 agosto del 1908 papà Luois morì prematuramente. Wilhelmina era, tuttavia, un’ereditiera troppo ricca per rimanere sola. Fu, infatti, lunga la fila alla sua porta. Alla fine riuscì a spuntarla un altro militare di carriera, il colonnello Edouard von Losch, che divenne il secondo padre delle piccole Elizabeth e Maria Magdalene.

2. Marlene Dietrich

Le due sorelle studiarono tra Berlino e Dessau, ma Maria aveva una marcia in più. Da bambina imparò il francese e l’inglese e, soprattutto, sviluppò uno straordinario talento per la musica e la recitazione. Il sogno era un futuro da concertista. Prese lezioni di canto, violino, tra i maestri Friedrich Seitz, e pianoforte all’accademia di Berlino. Era brava al punto che i genitori le regalarono un corso di perfezionamento all’accademia di Weimar, città in cui il 28 ottobre del 1918 si era tenuta l’assemblea nazionale che aveva scritto la nuova costituzione tedesca dopo la sconfitta nella Prima guerra mondiale. Erano gli anni della cosiddetta Repubblica di Weimar che durò dal 1919 al 1933, quando Hitler vinse le elezioni…

In quella città nel cuore della Germania tra il 1920 e il 1921 Maria, romantica e idealista, studiò e si esercitò tanto fino a quando, perfezionista com’era, si provocò un’infiammazione muscolare alla mano sinistra che la costrinse ad abbandonare il violino. Rientrata a Berlino si dedicò con maggiore intensità al canto e alla recitazione.

Studiando e frequentando il Grosses Schauspielhaus, maestoso teatro di architettura espressionista demolito nel 1988, venne faticosamente notata da colui che quel teatro lo aveva fatto costruire, Max Reinhardt. Figura unica nella storia del teatro tedesco, e non solo, Reinhardt aveva innovato il repertorio della scena berlinese unendo i testi classici alle avanguardie. Alle aspiranti attrici era solito fare un provino chiedendo la preghiera di Margarete nel “Faust” di Goethe. Maria amava Goethe, ma si sentiva più vicina agli autori moderni. Quel provino fu un disastro.

3. Max Reinhardt

Fortunatamente i collaboratori di Reinhardt, su tutti, il direttore della scuola di teatro B. Held, invitarono il “maestro” a non dare un no definitivo. Così nell’ottobre del 1922 Maria Magdalene Dietrich venne scritturata per il ruolo della vedova in “The Taming of the Shrew” (“La bisbetica domata”) di William Shakespeare in replica al Grosses Schauspielhaus. Seguirono decine di parti, spesso al fianco della stella dell’epoca, l’attrice Elisabeth Bergner.

L’innovativo teatro di Reinhardt portò Maria ad avvicinarsi quasi naturalmente alla rivista e al varietà che, complice la morte del patrigno e la crisi economica della Repubblica di Weimar, divenne anche un lavoro. Il “kabarett” berlinese era all’epoca una delle forme d’arte più diffuse, oltre duecento locali, dove si potevano vedere splendide ragazze, rappresentazioni leggere, ma anche la musica di Friedrich Hollaender e le opere di George Grosz e Otto Dix.

La giovane attrice si fece presto un nome. Letteralmente. Grazie alla “contrazione” di Maria Magdalene divenne semplicemente Marlene.

Il passo verso il cinema fu, come spesso accade, il successivo. In quegli anni le tensioni, le inquietudini, ma anche le libertà del Paese, avevano ispirato la settima arte. Fu la stagione irripetibile delle avanguardie, dell’espressionismo, del realismo psicologico, del kammerspiel. Marlene, tuttavia, non era convintissima. Una delle sue doti, infatti, era la voce, il canto e i film all’epoca erano ancora muti. Fu convinta solo per il consueto senso del dovere.

4. So sind die Männer (1923) di Georg Jacoby, il primo film di Marlene Dietrich

Debuttò nel film So sind die Männer (1923) di Georg Jacoby in cui interpretò una cameriera insidiata da Girolamo Bonaparte; quindi recitò in Tragödie der Liebe (1924) diretto da Joe May in cui divenne la moglie di un magistrato chiamato a giudicare un assassino, interpretato da Emil Jannings, già conosciuto sui palchi berlinesi. Ma quel film fu molto importante soprattutto per un altro motivo.

May, tra i pionieri del cinema tedesco specializzato in drammi polizieschi e kolossal storici, si avvaleva per il casting di un giovane regista chiamato Rudolf Emilian Sieber (Aussig, 20 febbraio 1897 – Los Angeles, 24 giugno 1976) che all’epoca era fidanzato con Eva May, la figlia del cineasta. Mia May, moglie del regista, madre di Eva, nonché protagonista di Tragödie der Liebe, non gradiva quella “attricetta vanitosa” e in qualche modo aveva ragione. Sieber, che con ogni probabilità conosceva la Marlene del “kabarett”, si innamorò di lei e lasciò la giovane Eva che si suicidò ad appena ventidue anni nell’autunno del 1924.

5. Marlene Dietrich e Rudolf Sieber il giorno del matrimonio

Rudolf e Marlene, che nel frattempo aveva interpretato una contadina nel film Der Mensch am Wege (1923) di William Dieterle, sembravano innamorati da sempre e si sposarono il 17 maggio del 1923 a Berlino. Il 13 dicembre del 1924 nacque Maria Elisabeth Sieber. Il matrimonio ufficialmente durò per tutta la vita e Maria, poi moglie dello sceneggiatore William Riva e nota come Maria Riva, fu l’unica figlia dell’attrice che, per due anni, “recitò” il ruolo della madre.

Tornò sul set fuggevolmente nel 1925 come comparsa, non accreditata, in Die freudlose Gasse conosciuto in Italia col titolo La via senza gioia (sul tema si è dibattuto per anni, ma oggi quella presenza è data per certa). Il capolavoro di Pabst, che tratteggiò la decadenza nella Repubblica di Weimar (sul tema consiglio anche la serie TV Babylon Berlin), vedeva come protagoniste, in un ideale “passaggio di testimone”, la diva danese Asta Nielsen e la divina Greta Garbo da poco lanciata in Svezia da Mauritz Stiller. Ma in quel film c’era appunto anche Marlene, una delle donne in coda dal macellaio ad inizio pellicola, e secondo diverse ricostruzioni iniziò proprio sul set de La via senza gioia il rapporto tormentato tra Greta e Marlene. Già, perché l’attrice tedesca era apertamente bisessuale.

6. Claire Waldoff

Negli anni del “kabarett” Marlene aveva conosciuto e amato due donne. La prima era Claire Waldoff (Gelsenkirchen, 21 ottobre 1884 – Bad Reichenhall, 22 gennaio 1957), figura storica dei palcoscenici berlinesi, forse l’interprete di operette più importante dell’epoca, che lei aveva saputo innovare unendo canto e recitazione, in un’arte che Marlene seppe rendere sublime. Apertamente lesbica Waldoff fu a lungo censurata, per gli abiti maschili che indossava, per i testi allusivi delle canzoni, per il modo di essere e di vivere la propria sessualità. Negli anni del Nazismo ebbe salva la vita, ma fu costretta ad abbandonare le scene. Morirà sola, povera e pressoché dimenticata.

Una figura centrale nella formazione di Marlene Dietrich, così come la fu quella di Margo Lion (Costantinopoli, 28 febbraio 1899 – Parigi, 25 febbraio 1989) insieme condivisero il palcoscenico eseguendo un fox trot molto allusivo, insieme frequentarono il “Pyramide”, club berlinese per sole donne, insieme passarono al cinema. Margo Lion recitò diretta da Carné, Duvivier, Pabst, fu lei ad influenzare lo stile di Marlene Dietrich, trasmettendole quel “sensuale distacco” che la renderà unica.

7. Sein grösster Bluff (1927) di Harry Piel e Henrik Galeen

Tornando al cinema Marlene, bella, ma acerba, recitò in ruoli secondari in: Der Mönch von Santarem (1924) di Lothar Mendes; Der Sprung ins Leben (1924) di Johannes Guter; Der Tänzer meiner Frau (1925) e Eine Dubarry von heute (1927) diretti da Alexander Korda. Quindi in Manon Lescaut (1926) del regista Arthur Robison (autore del capolavoro espressionista Schatten, Ombre ammonitrici); Der Juxbaron (1927) e Kopf hoch, Charly! (1927) entrambi diretti da Willi Wolff, regista col quale ebbe una relazione; Sein grösster Bluff (1927) diretto da Harry Piel e Henrik Galeen, altro genio espressionista; Café Elektric (1927) di Gustav Ucicky; Prinzessin Olala (1928) di Robert Land.

Che fosse un’adescatrice, una cortigiana, una ladra di gioielli, Marlene era magnifica, ma si sentiva più a suo agio sul palcoscenico, da quelli eleganti del Kurfürstendamm a quelli del Tegel, ieri quartiere delle prigioni, oggi moderno aeroporto, fino ad arrivare alla sala del ristorante Aschinger, frequentato all’epoca dal giovane Bertold Brecht. Li si cantava e si ballava. Come ricordò la collega ballerina Käte Haack, le sue magnifiche gambe facevano notizia. Apparve in diverse opere, da “Broadway” di George Abbott e Philip Dunning a “Mund zu Mund” (“Bocca a bocca”) scritto di Jacques Offenbach riadattato da Erik Charell fino agli spettacoli al fianco di Margo Lion come “Wenn die Beste Frendin” (“Quando la mia migliore amica”) dagli espliciti riferimenti lesbici.

8. Margo Lion e Marlene Dietrich

Durante le prove del successivo “Es Liegt in der Luft” (“È nell’aria”) al Komödie Theatre, Marlene venne notata da Mischa Spoliansky, finissimo musicista di origine russa tra i massimi compositori del “kabarett” nonché autore di “Das lila Lied” il primo inno omosessuale della storia, che l’aiutò a perfezionare la voce nelle inflessioni, nelle modulazioni, nei suoni. Grazie al lavoro fatto, quella voce, già naturalmente straordinaria, si arricchì di un “timbro studiatamente perverso dell’ambivalenza sessuale”, capace di trascinare il tedesco rendendolo sensuale. Nel 1828 Spoliansky, dimenticato, ma fondamentale nella carriera e nella vita dell’attrice, fece incidere la traccia principale dell’opera in un 78 giri che, di fatto, lanciò anche la carriera da cantante di Marlene.

Il 1929 fu l’anno della svolta. Sul set cominciarono ad arrivare i primi ruoli da protagonista: una brillante divorziata in Ich küsse Ihre Hand, Madame (Il bacillo dell’amore) di Robert Land, una seduttrice d’alto bordo in Die Frau, nach der man sich sehnt (Enigma) diretto da Kurt “Curtis” Bernhardt, regista arrestato dalla Gestapo e costretto ad emigrare negli USA; un’avventurosa aviatrice in Das Schiff der verlorenen Menschen (La nave degli uomini perduti) del cineasta francese Maurice Tourneur; quindi una cacciatrice di uomini in Gefahren der Brautzeit (I rischi del fidanzamento) di Fred Sauer.

9. Das Schiff der verlorenen Menschen (1929) di Maurice Tourneur

Anche sul palcoscenico Marlene continuò ad ottenere sempre maggiore successo, da segnalare “Back to Matuselah” (“Torniamo a Matusalemme”), “Méssaliance” di George Bernard Shaw e, soprattutto, “Zwei Krawatten” (“Due cravatte”) di Spoliansky in cui, oltre al canto, aveva una sola battuta. Doveva, infatti, dire a Rosa Valetti e Hans Albers, mostri sacri della scena berlinese, “posso invitarvi tutti a cena?”.

Il giorno della prima, l’1 settembre del 1929, al Komödie Theatre tra il pubblico c’era anche il regista Josef von Sternberg che aveva scritturato Valetti e Albers per il prossimo film.

Sternberg, nato a Vienna il 29 maggio del 1894, trasferitosi giovanissimo negli Stati Uniti era divenuto un affermato regista a Hollywood. Amico di Charlie Chaplin aveva realizzato, tra gli altri, The Salvation Hunters (1925), Underworld (Le notti di Chicago, 1927), The Last Command (Crepuscolo di gloria, 1928) che aveva portato Emil Jannings a vincere il primo Oscar al miglior attore (insieme all’interpretazione in The Way of All Flesh diretto da Victor Fleming, poi regista del leggendario Via col vento). Così quando l’UFA, la principale casa di produzione cinematografica tedesca, decise di realizzare il primo film sonoro in Germania, l’attore, ormai potentissimo ovviamente scritturato come protagonista, fece chiamare il regista direttamente dagli USA, che accettò affascinato dall’idea di poter lavorare in quel clima mitteleuropeo.

10. Josef von Sternberg

Anche il soggetto venne suggerito da Jannings: la trasposizione cinematografica del racconto “Professor Unrat” di Heinrich Mann, fratello maggiore di Thomas. Lo scrittore era solito con i suoi romanzi attaccare i valori tipici della società borghese tedesca, nel libro l’irreprensibile professore del titolo perde la testa per una donna avvenente, ma von Sternberg preferì smussare le critiche sociali e confezionò, con gli sceneggiatori Carl Zuckmayer, Karl Vollmöller e Robert Liebmann, un crudo melodramma.

Oltre a Jannings, Valetti e Albers venne scritturato anche Kurt Gerron popolarissimo attore di cabaret, teatro e cinema che oggi definiremmo “caratterista”. C’erano tutti, ma mancava il principale ruolo femminile. Nel libro a far perdere la testa al professore era una avvenente madre chiamata Rosa Fröhlich. Von Sternberg cambiò quest’aspetto e ispirandosi al nome di Lulù, nato dalla penna di Frank Wedekind e reso immortale dall’attrice Louise Brooks (diretta da Pabst), creò l’ancor più avvenente Lola Lola. Il primo settembre del 1929, alla prima di “Due cravatte”, il regista trovò finalmente la “sua” Lola Lola, Marlene Dietrich.

I dirigenti dell’UFA, su tutti il potente Erich Pommer, premevano tuttavia per Brigitte Helm, indimenticabile protagonista di Metropolis, e, alla sua indisponibilità, per Lucia Mannheim che aveva un profilo simile a quello di Marlene: cantante, con qualche film all’attivo (poi protagonista de Il club dei 39 di Hitchcock).

11. Marlene Dietrich divenne Lola Lola

Von Sternberg fu irremovibile, organizzò un provino in cui chiese a Dietrich delle canzoni osé, il provino andò male anche questa volta, ma il regista non cambiò idea. Voleva quella ventottenne un po’ pasticciona, poco adatta agli esami attidudinali, ma animale da palcoscenico. Secondo molti per “plasmarla”. I produttori si arresero e nell’ottobre del 1929, grazie al marito-factotum Rudy Sieber, venne firmato il contratto che prevedeva un compenso di diecimila dollari. Un’inezia rispetto ai duecentomila previsti per Jannings.

Le riprese iniziarono il 4 novembre 1929 presso gli studi di Babelsberg, dove venne ricostruita una città dal vivo gusto espressionista, in due differenti versioni una in lingua tedesca, nettamente la migliore, una in lingua inglese per il mercato internazionale. L’ultimo ciak il 22 gennaio 1930. Le musiche vennero curate da Friedrich Hollaender. Rispetto al libro cambiò, infine, anche il titolo. Non Professor Unrat, ma Der blaue Engel (L’Angelo azzurro). La prima si tenne il primo aprile 1930 al Gloria Palast Theater di Berlino.

12. L’angelo azzurro (1930) di Josef von Sternberg

Il professor Immanuel Rath (Emanuele nella versione italiana, Emil Jannings), severissimo e rispettabile insegnante di inglese del liceo di una città tedesca, scopre che alcuni dei suoi allievi (che lo chiamano per dileggio “Unrat”, “spazzatura”), sono infatuati di una cantante del locale cabaret “Der blaue Engel”: Lola Lola (Marlene Dietrich), della quale possiedono foto provocanti. Il professore si reca all'”Angelo Azzurro”, durante un’esibizione della donna che canta la maliziosa “Ich Bin Die Fesche Lola” (“Io sono la sexy Lola”), per sorprendere i suoi alunni e, inseguendone uno, capita nel camerino di Lola Lola. La sera seguente torna dalla donna, per renderle un capo di biancheria intima che, nella fretta di acciuffare uno studente, ha preso invece del proprio capello, viene affascinato dalla giovane, è implicato in una rissa con un capitano ubriaco, è scoperto da tre suoi studenti in atteggiamenti equivoci, viene infine esibito alla cittadinanza dal palco delle autorità, mentre Lola Lola canta “Ich bin von Kopf bis Fuss auf Liebe eingestellt”, guardandolo teneramente. Il professore si risveglia i mattino dopo nel letto di Lola Lola; corre in fretta a scuola per trovare gli allievi che lo deridono apertamente e il preside che lo licenzia. Torna da Lola Lola e le chiede di sposarlo. La donna prima lo deride, poi accetta. Durante il pranzo di nozze, mentre il direttore della troupe, l’illusionista Kiepert (Kurt Gerron), gli fa apparire due uova sotto il naso, il professore, felice, grida “chicchiricchí”. Rath segue la troupe della moglie di città in città, finendo per vendere cartoline di Lola Lola ai clienti dei cabaret. Cinque anni dopo Kiepert, con la moglie Guste (Rosa Valetti), ha la brillante idea di tornare all'”Angelo azzurro”, nella città di Rath, per sfruttare la curiosità morbosa degli vecchi concittadini del professore, che ora si esibisce come clown. All'”Angelo azzurro” Lola Lola tradisce spudoratamente il marito con Mazeppa (Hans Albers), un acrobata incontrato per caso nel locale. Rath è costretto a esibirsi di fronte alla sala zeppa e urlante e a umiliarsi fino a gridare il grottesco “chicchiricchí”, mentre Kiepert gli toglie delle uova dal naso e gliele spacca in testa. Quando Rath si esibisce, Lola Lola e Mazeppa si baciano fra le quinte: Rath, sconvolto, tenta di strangolare la donna, malmena Mazeppa e viene imprigionato chiuso in una camicia di forza. Kiepert impietosito lo libera. Mentre Lola Lola canta la sua canzone in scena, Rath si allontana e va a morire sulla cattedra del suo vecchio liceo.

13. una scena de L’angelo azzurro in cui recitarono: Kurt Gerron, Marlene Dietrich, Emil Jannings

Un dramma duro e straziante, tra gli ultimi capolavori di quella stagione del cinema tedesco che “resta un esempio grandioso di cinema della crudeltà e una delle più inquietanti ed estreme storie di sfruttamento e solitudine” (Mereghetti).

Il film, rifatto con lieto fine nel 1959 a Hollywood da Edward Dmytryk, doveva consolidare Jannings, come sempre bravo nella sua teatralità, ma lanciò Marlene Dietrich.

L’attrice aveva recitato in diciassette film, era stata diretta da grandi registi (May, Dieterle, Korda, Tourneur), ma fino ad allora sul grande schermo nessuno si era accorto di lei (tutti i film muti sono tra l’altro inediti in Italia). Nessuno, prima di Sternberg, era riuscito ad esaltare la sua immagine peccaminosa.

14. con L’angelo azzurro nacque il mito di Marlene

Il regista le suggerì di schiarire i capelli, da castani a biondi, ma soprattutto le insegnò a guardare sfacciatamente la macchina da presa, a sopraffarla con la propria sensualità, indimenticabile mentre canta accavallando le gambe su una botte o a cavalcioni della sedia (scena rifatta da Helmut Berger ne La caduta degli dei di Visconti). Grazie a Sternberg, o meglio con Sternberg, Marlene Dietrich divenne una nuova incarnazione del sesso.

Grazie a quella pellicola fortemente tedesca, in cui è racchiusa la pagina più buia del Novecento – Emil Jannings aderì colpevolmente all’ideologia nazista, Kurt Gerron venne ucciso ad Auschwitz, Marlene Dietrich divenne una fiera antinazista – nacque, infatti, un’ideale di donna.

Il mito di Marlene era appena iniziato.

MARCO RAVERA

redazionale


Bibliografia
“Marlene Dietrich. I piaceri dipinti” di Sergio Arecco – Le Mani
“Marlene Dietrich” a cura di Paul Duncan – Taschen
“Josef von Sternberg” di Giovanni Buttafava – Castoro
“Da Caligari a Hitler. Storia psicologica del cinema tedesco” di Siegfried Kracauer – Lindau
“Da Caligari a M. Cinema espressionista e d’avanguardia tedesco” – Museo del cinema
“Guida al film” a cura di Guido Aristarco – Frabbri Editori
“Storia del cinema” di Gianni Rondolino – UTET
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2021” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi

Immagini tratte da: immagine in evidenza, foto 12, 13, 14 Screenshot del film L’angelo azzurro; foto 1 copertina dell’album Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band; foto 2, 3, 6, 11 da it.wikipedia.com; foto 4, 7, 9 Screenshot del film riportato in didascalia; foto 5 da en.wikipedia.com; foto 8 da leswiki.it; foto 10 da artovercovers.com.
Le immagini sono di proprietà dei legittimi proprietari e sono riportate in questo articolo solo a titolo illustrativo.

categorie
Corso Cinema

altri articoli