L’incubo del terrorismo nella logica della guerra globale

La prima correlazione, solamente ipotizzabile eppure comunque plausibile, che viene alla mente tra la strage della Crocus City Hall di Mosca e un qualche evento di recente accaduto in...

La prima correlazione, solamente ipotizzabile eppure comunque plausibile, che viene alla mente tra la strage della Crocus City Hall di Mosca e un qualche evento di recente accaduto in Russia, è quella con le appena conclusesi elezioni presidenziali che hanno dato a Vladimir Putin un consenso mai visto nella storia pseudo-democratica del dopo-URSS.

La rivendicazione via Telegram dello Stato Islamico (pare l’ISIS-K, cioè quello che immagina la costituzione di un emirato che comprenda la provincia omonima iranaina, quasi tutto l’Afghanistan talebano, il Tagikistan, una parte di Turkmenista e Uzbekistan) va presa un po’ tanto con le pinze; così come è bene evitare supposizioni di qualunque tipo: sono stati i ceceni, forse gli ucraini…

Stiamo ai fatti. E questi ci dicono che un commando di quattro, cinque persone ben armate e addestrate militarmente hanno fatto irruzione nel più grande teatro musicale di Mosca, che può ospirate oltre novemila persone. Neutralizzate le guardie esterne, praticamente innocue perché in possesso soltanto di uno sfollagente, hanno iniziato a sparare dove capitava ma con grande precisione.

Le immagini di qualunque strage terroristica sono tremende: ma mentre per altre avvenute in Russia abbiamo poche riprese in diretta, qui invece siamo in possesso di filmati girati con i telefonini, immesse subito sulla rete, e che mostrano questi criminali spararare a sangue freddo a gruppi di persone rannicchiatesi in un angolo per proteggersi da questa furia omicida.

I morti, stando alle cronache più aggiornata, sarebbero centoquindici e i feriti oltre centocinquanta. Una mattanza che riporta alla mente gli anni buoi per Mosca, quando il terrorismo dei separatisti ceceni e inguschi insanguinava le due piccole repubbliche caucasiche e si facevano saltare in aria kamikaze islamici che ferivano a volte presidenti in carica, mentre altre volte agivano nel cuore dalla Russia stessa.

Ripercorrendo un po la storia del terrorismo antirusso, si inciampa in stragi dai numeri davvero impressionanti: nel 1999 nel quartiere moscovita di Piciatniki esplode una bomba e uccide sul colpo novantadue persone, ne ferice oltre duecento. Cinque giorni dopo questa strage, sempre nella capitale in viale Kashirskoe, un ordigno deflagra in un condominio di sette piani. I morti sono questa volta centodiciotto, di cui tredici bambini.

Questi sono attentati che rimarranno senza una rivendicazione. Ma si presuppone ormai storicamente che la cosiddetta matrice fosse da ricercare nell’area del separatismo ceceno. Poco meno di un anno dopo, nell’agosto del 2000, nei sottopassaggi di piazza Puskhin, a pochissimi passi dal Cremlino, si registrano, sempre a causa di una bomba, tredici morti e un centinaio di feriti.

Passano due anni e si arriva al più sanguinoso degli attentati dei ceceni contro Mosca: nel teatro Dubrovka si asserraglia un commando di guerriglieri che tiene in ostaggio tutti i presenti. Sono centinaia e centinaia di persone. Putin decide l’intervento dei reparti specali. E’ una strage nella strage: vengono uccisi quaranta terroristi ma anche centotrenta civili a causa delle esalazioni dei gas utilizzati dalla polizia per stanare i sequestratori.

Nel 2004 tra le stazioni Paveletskaia e Avtozavodskaia esplode una bomba. Ci troviamo anche qui nel centro della capitale russa. I morti sono quarantuno e i feriti quasi centocinquanta. Le rivendicazioni tardano ad arrivare, le ipotesi si concentrano, ormai come sempre, sulla pista cecena.

Il Cremlino, a seguito di tutti questi attentati, deciderà di risolvere la questione con una repressione durissima e un intervento militare che praticamente decimerà la dirigenza ribelle e riporterà la piccola repubblica sotto il diretto controllo di Mosca. Ma le stragi non finiscono. La seconda guerra cecena si protrae oltre la vittoria russa; il radicalismo islamista si estende al Caucaso ed investe zone prima non direttamente coinvolte nei bilateralismi tra il potere centrale e le autonomie locali.

Sempre nel 2004 alcune donne kamikaze si fanno esplodere in varie zone di Mosca. Decine e decine di morti, altrettanti feriti. Poi un’altra strage dagli enormi numeri: a Beslan, nell’Ossezia del Nord (quindi in territorio russo), un commando inguscio-ceceno tiene sotto sequestro milleduecento persone.

E’ il primo giorno di scuola in un asilo. Ed è l’ennesima strage. Le forze militari del Cremlino liberano gli ostaggi ma, dopo l’operazione, restano a terra privi di vita trecentotrentacinque persone, quasi duecento bambini e una trentina tra i sequestratori. I feriti sono oltre quattrocento. Ancora una volta le autorità finiscono nel ciclone delle critiche per il metodo con cui si è arrivati al salvataggio della maggior parte degli ostaggi e, di conseguenza, al “sacrificio” di una parte di loro.

Passano cinque anni. Nel 2009, vicino alla Lubianka, dove ha la sua base il servizio di sicurezza russo FSB, erede del KGB, due kamikaze legati al leader ceceno Doku Umarov si fanno saltare in aria e fanno, anche qui, molte decine di vittime. Poi gli attentati si diradano ma, tuttavia, non cessano: nel 2017 nella metropolitana di San Pietroburgo un’esplosione uccide una ventina di persone.

La attribuiscono ad un cittadino russo di etnia uzbeka e nato in Kirghizistan, tale Akbarzhon Jalilov. Sembrerebbe più un giallo interetnico, per capire l’origine familiare di questo attentatore, piuttosto che un problema di carattere internazionale che non si sa bene dove collocare nella ricerca della matrice terroristica.

Da questa cronistoria veloce, quello che si può trarre è il legame abbastanza stretto che, tra la fine degli anni ’90 del secolo scorso e i primi tre lustri del nuovo, c’è stato tra problemi caucasici e terrorismo in Russia. L’unico collegamento che oggi può venire alla mente se si pensa ad una motivazione per una recrudescenza islamista contro il Cremlino è per la sua presenza in Siria con basi militari a supporto di Bashar al-Assad nella guerra contro lo Stato Islamico.

Gli attentatori, suggeriscono le cronache, sarebbero stati arrestati mentre si dirigevano verso il confine tra Russia e Ucraina e, forse anche per questo, l’FSB sospetta che avessero dei contatti col paese oggetto dell'”operazione militare speciale“; una dicitura che, nel momento in cui l’Europa sceglie di istruire i propri popoli alla preparazione di uno stato di allarme permanente per un eventuale attacco russo, cambia nelle espressioni del portavoce del Cremlino Peskov.

Ora è chiamata “guerra“. Per la prima volta e ufficialmente. Nulla avviene per caso, ma le coincidenze tuttavia esistono e a volte sviano dal reale svolgimento dei fatti. Se stiamo alle fantasie di complotto, l’attenato alla Crocus City Hall potrebbe essere millantato dall’ISIS-K, oppure potrebbe invece essere davvero opera loro. Potrebbe essere opera loro su incarico magari di qualche servizio segreto di un paese ovviamente nemico della Russia.

Potrebbero esserci di mezzo paesi occidentali come paesi mediorientale e medio-asiatici. Difficile esprimersi in questa direzione. Ma una cosa è certa: oltre ad una ritorsione per la presenza russa in Siria, l’ISIS-K potrebbe aver agito anche con lo scopo di destabilizzare il contesto russo non solo nazionale, guardando alla guerra in Ucraina anzitutto.

I più esperti tra gli analisti sottolineano la sorprendente capacità di resistenza al fronte dell’Orso russo e l’infiacchimento invece, nonostante tutte le armi fornite da Stati Uniti, Europa e altri paesi filo-atlantisti, delle truppe ucraine. La ragione principale sta in una sinergia di fattori negativi: lo svuotamento degli arsenali dopo due anni di guerra, il blocco dei rifornimenti da parte USA a causa dell’opposizione del Congresso, le divisioni sul tema dell’invio di nuove armi e addirittura di truppe (Macron docet) tra i ventisette dell’Unione Europea.

La capacità produttiva dell’industria militare russa, i sostegni diretti o indiretti della Cina e di altri paesi gravitanti nell’area BRICS, è, rispetto a quella occidentale, nettamente superiore. Almeno in questa fase del conflitto che, con l’arrivo della primavera, si avvia verso una nuova fase dagli sviluppi imprevedibili. L’attentato alla Crocus City Hall, se pensato come effetto destabilizzante per le sorti della guerra, può solo peggiorare la condizione ucraina, perché la risposta di Mosca non tarderà a farsi sentire.

Quanto siano separabili piano militare e piano terroristico è davvero molto complicato poterlo dire con una qualche certezza. La commissione investigativa russa, che sta operando in queste ore per determinare lo scenario in cui è maturata l’operazione del commando che ha trucidato i cittadini russi che stavano per seguire il concerto della band “Picnic“, pare orientata a non escludere nessuna ipotesi. Nemmeno quella che implicati in tutto questo vi siano, oltre agli islamici anche gli ucraini.

Un tempo la storia ci aveva insegnato che dove si veniva a creare una condizione di destabilizzazione politico-sociale, là c’era la mano della CIA. Tempi passati, forse superati. Ma la fierezza bellica europea, dettata dalla disperazione di non poter avere una politica comune imperialista sul fronte ucraino, al pari di quella espressa direttamente dalla NATO (che detta legge all’Europa in questo complesso quadro di eventi), è l’inquietante formulazione di uno scenario di vera guerra mondiale.

Se, come preannunciano alcune dichiarazione della dirigenza dell’FSB alla Tass, i terroristi arrestati (pare in una rocambolesca rincorsa automobilistica con auto che si sono capottate e fuggitivi nei boschi intorno…) avessero davvero un legame con qualche ambiente ucraino, la forza reattiva del Cremlino spingerebbe sicuramente su un rafforzamento dell’avanzata nella parte ancora sotto il controllo di Kiev degli oblast che Mosca considera ormai di sua proprietà.

E non è detto che non si apra un fronte ulteriore, magari proprio nelle regioni riprese dopo la rapida avanzata verso la capitale appena all’inizio della guerra nel febbraio – marzo del 2022. Comunque vada, il collegamento tra conflitto in Ucraina e attentato alla Crocus City Hall si delineerà anche indirettamente per sostenere la tesi politica dell’accerchiamento della Russia da parte di un mondo che ne vuole la fine. Un retropensiero che è l’anteposizione di qualunque discorso di propaganda putiniano.

Il cosiddetto “mondo libero“, al di qua della guerra decennale nel Donbass, soprattutto quello americano, si è un po’ troppo precipitosamente spinto in excusationes non petitae che hanno un retrogusto di ambiguità e che, quindi non sgomberano del tutto il campo delle attualmente definibili “fantasticherie” sulle responsabilità non solo jihadiste del terribile atto omicidiario di un terrorismo che, se osservato attentamente, sembra più improbabile che veramente reale.

Ma stiamo ai fatti. E questi, come già scritto, ci riportano, lo si voglia o no, alla situazione russa e a quella ucraina. A quella europea e a quella americana. Perché, se l’azione contro i civili russi ha un significato politico per l’ISIS-K, ci si deve attendere una pianificazione su un più lungo termine di una campagna di aggressioni che possono penetrare nuovamente anche in Europa.

Alla sconsiderata chiamata alle armi di Macron e Michel, si può ora aggiungere di nuovo il presentimento che ne ascolteremo altre. Altre dal sapore amaro della discriminazione nei confronti dei migranti o degli europei di fede islamica che già vivono da tempo qui nel Vecchio Continente.

Nulla migliora. Tutto va nella direzione dello scontro tra le nazioni, tra i popoli: terrorismo, guerra, si autoalimentano e determinano sempre nuovi scenari dai contorni imprevedibili. La soluzione diplomatica servirebbe anche a questo: ad interrompere la spirale perversa che esiste tra tutti gli estremismi e fanatismi religiosi utilizzati per scopi politici, militari ed economico-finanziari.

Gli interessi in gioco sono enormi. La pace, oggi più che mai, è davvero una pratica rivoluzionaria.

MARCO SFERINI

23 marzo 2024

foto: screenshot ed elaborazione propria

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