L’Ilva e il cupo ritorno agli anni ’50

Riporta alla nostra memoria il cupo scenario degli anni’50, il tema della continuità della produzione e dello spegnimento degli altiforni che si trova al centro del drammatico confronto riguardante...
L'Italsider (già Ilva) di Taranto negli anni '50- '60

Riporta alla nostra memoria il cupo scenario degli anni’50, il tema della continuità della produzione e dello spegnimento degli altiforni che si trova al centro del drammatico confronto riguardante lo stabilimento ILVA di Taranto.

Furono molte nella fase del post – seconda guerra mondiale le occupazioni di fabbriche colpite dalla ristrutturazione dell’industria colpite dalla riconversione post – bellica e da scelte geo – politiche antioperaie compiute dal governo democristiano.

Durante quelle occupazioni, come già era capitato per la difesa dei macchinari nel corso dell’invasione nazista, gli operai provvidero per quanto possibile all’autogestione proprio per consentire agli impianti di funzionare e garantire la completezza del ciclo produttivo.

Si trattava di una classe operaia forte, stabile, concentrata, orientata politicamente e sindacalmente dalla quale uscirono grandi quadri politici sia a livello nazionale, sia a livello locale.

Erano anche tempi di feroce repressione poliziesca.

Gli anni ’50: quelli della polizia di Scelba davanti alle fabbriche o ai campi occupati dai contadini, quando il proletariato contava i suoi morti e lottava per affermare una diversa condizione di vita da Modena a Melissa, da Montescaglioso a Battipaglia.

Chi ha attraversato quel periodo, ad esempio abitando in una città operaia, ha ancora nelle orecchie il suono lacerante delle sirene, lo stridore delle gomme delle camionette che salivano sui marciapiedi dove i manifestanti cercavano di ritirarsi, il Natale trascorso sotto le ampie volte di una fredda fabbrica occupata oppure in piazza attorno a falò improvvisati, il commissario con la fascia tricolore che ordina la carica, la miseria nelle case dove ci si radunava per cercare di dare sostegno a chi proprio non riusciva più a cucire il pranzo con la cena ma anche la solidarietà dei commercianti che facevano credito e tiravano giù le saracinesche quando c’era lo sciopero.

L’Italia del boom nacque in quel modo, attraverso i sacrifici immensi delle lavoratrici e dei lavoratori passati attraverso una temperie straordinariamente pesante, nel periodo – è bene ricordarlo – immediatamente seguente alla guerra, all’invasione nazista, alle deportazioni, alle fucilazioni, alla Resistenza.

Oggi Taranto e tante altre situazioni non ci offrono la stessa impressione: si sente lontana la solidarietà di classe perché nessuno, proprio nessuno, è capace di farla esprimere in forma collettiva, darle un senso, una prospettiva dello stare assieme per cambiare le cose.

L’impressione è quella di avamposti mandati allo sbaraglio, privi di retroterra e di orizzonte: al di là della figura morale del Presidente della Repubblica tocca ancora una volta, in questa Italia abbandonata dalla politica, alla magistratura svolgere una funzione di supplenza.

Chi ha vissuto sulla propria pelle quei tremendi anni’50 ha la sensazione del ritorno all’indietro, ma anche di un peggioramento secco della capacità collettiva di capire la condizione nella quale ci si sta trovando alle prese con l’arroganza schiavistica di una multinazionale dal volto e interessi ignoti.

FRANCO ASTENGO

20 novembre 2019

foto: Wikipedia

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