Il principio è di quelli che neanche ci sarebbe bisogno di ricordarli per quanto sono ovvi: se sei genitore in un Paese, sei genitore in tutti i Paesi. Chiaro.

Eppure di fronte alle disparità di trattamento subita oggi nell’Unione europea dalle coppie di genitori dello stesso sesso la Commissione Ue ha sentito la necessità di ribadirlo, anzi di metterlo nero su bianco nella proposta di regolamento per armonizzare le norme di diritto internazionale privato sulla genitorialità presentata ieri a Bruxelles e che adesso dovrà essere vagliata da parlamento e Consiglio Ue.

Norme che serviranno a garantire il diritto delle famiglie arcobaleno a trasferirsi da uno Stato a un altro se lo vogliono, tutelandole dalle legislazioni di quei Paesi membri che non riconoscono le coppie dello stesso sesso e i loro figli, discriminati rispetto ai loro coetanei figli di coppie eterosessuali. «Non vogliamo cambiare le norme nazionali sulla definizione della famiglia o sulle adozioni nei Paesi, ma solo proteggere i diritti del bambino», ha precisato il commissario alla Giustizia Didier Reynders.

La questione è complicata, perché mette in contrapposizione due temi: il diritto di famiglia, la cui competenza è degli Stati membri, con il diritto alla libera circolazione che rappresenta uno dei principi fondativi dell’Unione europea e che nessuno Stato può mettere in discussione.

Una delle conseguenze di questa situazione è che, secondo Bruxelles, «sono circa due milioni i bambini che si vedono negare il rapporto giuridico con i genitori» quando «la famiglia si trasferisce in un altro Stato membro che non riconosce la genitorialità precedentemente stabilita dal Paese membro di origine».

Una situazione che non è accettabile per la commissione Ue, come ha spiegato Reynders. «Il mancato riconoscimento dei genitori – ha proseguito il commissario – può avere impatti negativi significativi per i bambini, per i loro diritti fondamentali, il diritto a trattamento equo, vita privata o familiare e anche in aree specifiche come quando si tratta di diritti di successione».

Una questione collegata a quella trattata dalla Commissione è stata affrontata e risolta a dicembre dello scorso anno dalla Corte di giustizia europea che ha discusso il caso di un bambino bulgaro nato in Spagna e figlio di due donne, una delle quali bulgara. In quell’occasione la Corte ha stabilito che un certificato di nascita che attesti il legame di filiazione di un minore con due genitori dello stesso sesso rilasciato da un Paese membro, deve essere accettato da tutti gli altri come documento valido.

Non solo per permettere al minore di spostarsi liberamente con chi ha l’autorità parentale, ma anche nel caso in cui il minore nato all’estero debba ottenere un passaporto o una carta di identità dallo Stato di cui cittadino.

La battaglia a favore delle famiglie arcobaleno è però appena cominciata. Perché le nuove norme possano trovare attuazione occorre infatti che il Consiglio le approvi all’unanimità superando la prevedibile opposizione di Paesi come Ungheria e Polonia, ai quali potrebbe ora allinearsi anche l’Italia.

Il fuoco di sbarramento è già cominciato, con l’eurodeputato di Fratelli d’Italia Vincenzo Sofo che ha accusato la Commissione Ue di usare un diritto imprescindibile come la libertà di circolazione «come arma per scavalcare i governi nazionali nella definizione delle politiche famigliari al fine di imporre l’agenda Lgbt».

LEO LANCARI

da il manifesto.it

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