Quando la Corte internazionale di giustizia (ICJ) ha reso nota la sua prima ordinanza relativa al caso Sud Africa vs. Israele è stato difficile nascondere un moto di delusione. La più importante delle misure preventive richieste, l’immediata sospensione delle operazioni militari a Gaza, non è stata adottata dalla corte. Che invece il 16 marzo 2022, a tre settimane dall’aggressione dell’Ucraina, aveva intimato alla Federazione Russa il cessate anche fuoco.

Anche in quel caso si faceva riferimento alla Convenzione sul genocidio del 1948, in quanto i leader russi avrebbero sostenuto che era in corso un genocidio nei confronti della popolazione del Donbass. Insomma, è ritornato prepotentemente il sospetto che la giustizia internazionale sia profondamente condizionata dagli equilibri geopolitici e non riesca a liberarsi dalla sindrome del doppio standard.

Via via che sono arrivate le reazioni – sostanzialmente soddisfatta la ministra degli esteri del Sudafrica, i rappresentanti istituzionali e i sostenitori dei palestinesi, indignati i leader israeliani, con il consueto florilegio di accuse di antisemitismo e di oltraggio – l’impressione si è modificata. E soprattutto una lettura attenta dell’ordinanza autorizza una valutazione più equilibrata.

La ICJ, in primo luogo, respinge le richieste di Israele: non indicare misure preventive e archiviare il caso. Questo perché accoglie la tesi del Sudafrica: c’è effettivamente una controversia fra i due Stati (negata da Israele nonostante che per esempio il suo ministro degli esteri abbia dichiarato che l’accusa di genocidio «non è solo giuridicamente e fattualmente incoerente, è oscena»); questa controversia riguarda prima facie l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione sul genocidio, dunque in base all’art IX la ICJ è competente.

C’è un nesso fra i diritti di cui si richiede la protezione – quello dei palestinesi a non subire genocidio e quello del Sudafrica all’ottemperanza della convenzione – e le misure provvisorie richieste. Contro la pretesa di Israele che al conflitto si applichi “solo” il diritto internazionale umanitario (peraltro costantemente violato) la corte ricorda le decine di migliaia di morti e feriti, le centinaia di migliaia di abitazioni distrutte, i milioni di profughi, citando le agenzie delle Nazioni Unite (Ocha, Unrwa, Oms) e le parole dei loro responsabili: «Gaza è diventata un luogo di morte e disperazione», e i suoi abitanti «vivono nell’invivibile, con l’orologio che corre veloce verso la carestia».

A cui fanno riscontro le dichiarazioni disumanizzanti dei Gantz, degli Herzog, dei Gallant che abbiamo più volte citato. Tutto questo è scolpito in una sentenza del più importante tribunale internazionale, nonostante le sottovalutazioni del governo israeliano e dei suoi difensori.

Quella forma di negazionismo per cui Israele non può essere accusato di genocidio mentre Hamas dimostrerebbe chiari intenti genocidari, ripetuta persino da Jürgen Habermas, è destituita di fondamento. La rivendicazione del diritto degli abitanti di Gaza di essere protetti dagli atti di genocidio è «quantomeno plausibile». La corte deciderà poi nel merito.

L’ICJ richiede il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi di Hamas e ordina a Israele, fra l’altro, di impedire atti di genocidio come le uccisioni, i danni fisici e mentali, condizioni che portano alla distruzione del gruppo, «imporre misure finalizzate a impedire le nascita» (nel suo ricorso il Sudafrica ricorda la «violenza riproduttiva» di cui sono vittime donne e bambini a Gaza); deve prevenire l’incitamento al genocidio e provvedere aiuti umanitari (queste ultime due misure sono state approvate anche dal giudice ad hoc israeliano Barak). Difficile capire come tutto questo sia possibile se continua l’intervento militare.

Forse all’Aja l’umanità non ha superato un bivio, forse non è avvenuta una renovatio mentis. Eppure la denuncia del rischio di genocidio ha solide basi giuridiche. E se il diritto internazionale è tutt’altro che onnipotente, si può continuare a sperare che costituisca un perimetro i cui le ragioni sono avanzate in una forma che permette di limitare, o almeno di trattenere, il potere e la violenza.

LUCA BACCELLI
docente di Filosofia del diritto, Università di Camerino; presidente di Jura gentium)

da il manifesto.it

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