Il gruppo Wagner, cuore di tenebra del Cremlino

Per le edizioni Libreria pienogiorno, le memorie di Marat Gabidullin, già comandante dei mercenari neonazisti e neopagani. Una storia di «soldato dell’ombra» iniziata nel 2015 in Donbass e proseguita per tre anni in Siria. Nel 2019 l’addio per gli abusi dei compagni sui civili e il silenzio di Mosca. «La nostra cosiddetta identità tanto singolare, spirituale e romantica, non è altro che un mito, alimentato da coloro che ne traggono profitto»

L’onore perduto della Russia. Avrebbe potuto intitolarsi così il libro di memorie che Marat Gabidullin ha dedicato alla sua esperienza in seno al gruppo di mercenari che opera da poco meno di un decennio al servizio del Cremlino. Questo perché l’autore di Io, comandante di Wagner (Libreria pienogiorno, pp. 284, euro 18,90), rivendica fino in fondo la scelta del «mestiere delle armi» che lo ha portato dopo un’iniziale carriera tra i paracadutisti e l’aviazione russa, e alcuni anni in cui ha conosciuto la depressione, l’alcol, la malavita e il carcere, ad integrare i ranghi dell’«esercito segreto» di Putin.

Nato nel 1966 e cresciuto nel mito della forza e della potenza della Russia sovietica, Gabidullin è perciò un testimone significativo e attendibile per inquadrare al meglio il ruolo svolto da questa compagnia mercenaria in relazione con il potere moscovita. Le sue affermazioni, le sue parole come i suoi silenzi, hanno il peso di una denuncia non solo scomoda, ma in qualche modo inappellabile: vengono dall’interno di quell’apparato militare ufficialmente invisibile che è parte della strategia bellica e politica che ha accompagnato l’ascesa e il consolidamento del regime putiniano.

La storia di «soldato dell’ombra» che racconta Marat Gabidullin inizia nell’estate del 2015 in Donbass e prosegue con le tre «campagne» cui ha preso parte in Siria. Malgrado potesse contare su una preparazione militare significativa, l’uomo inizia la sua esperienza come «soldato semplice» per finire poi a guidare un reparto in qualità di «comandante», malgrado l’assenza di gradi e di una gerarchia formale nella struttura.

Lascia la Wagner nel 2019 a causa delle brutalità che ha visto commettere dai propri compagni – l’ultimo caso un civile siriano torturato, decapitato e il cui corpo è stato dato alle fiamme -, ma anche perché si dice «nauseato» dalla doppiezza della autorità russe che utilizzano i mercenari come «carne da cannone» cui far svolgere ogni genere di «lavoro sporco» e i cui caduti non sono registrati dalle autorità e non sono pianti da nessuno almeno pubblicamente, negandone però l’esistenza.

Con il risultato che migliaia di vittime morte per gli interessi russi dall’Ucraina al Mali, passando per la Siria, la Libia e la Repubblica Centrafricana – tutte zone in cui hanno operato o operano ancora – restano sconosciute all’opinione pubblica come al bilancio del ministero della Difesa di Mosca. Pagati cash, con stipendi anche cinque/sei volte più consistenti di quelli medi nel Paese, i combattenti del gruppo Wagner avrebbero raggiunto fino alle 10mila unità e si attesterebbero ora intorno alle 5/6mila.

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GUIDO CALDIRON

da il manifesto.it

foto: screenshot

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