Ex Ilva, sciopero e altolà: «Se entra lo stato, niente esuberi»

Crisi Infinite. Protesta di due ore di Fim, Fiom e Uilm: vogliamo una trattativa vera, come nel 2018. Conte annuncia: Invitalia avrà quota non minoritaria. Ma tutto il resto non è stato definito

Due ore di sciopero per denunciare la situazione drammatica di oltre 10 mila lavoratori da quasi 8 anni, alla vigilia dell’annuncio di un accordo opaco e tutt’altro che rassicurante. Ieri da Genvoa a Taranto gli operai dell’ex Ilva hanno presidiato gli ingressi mentre a Roma i segretari generali di Fim, Fiom e Uilm spiegavano le ragioni della protesta contro Mittal e governo. Lunedì 30 novembre scade infatti il termine che permetterebbe al colosso franco-indiano di lasciare l’Italia pagando solo 500 milioni. P

er quella data invece dovrebbe – il condizionale quando si tratta con Lucia Morselli è d’obbligo – arrivare un accordo fra Mittal e il governo per sancire l’ingresso di Invitalia nel capitale «con una quota non di minoranza», questa la dizione usata anche dal presidente del consiglio Giuseppe Conte. Ma della trattativa in corso da mesi i sindacati sono stati tenuti lontani e ieri hanno fatto sentire la loro voce soprattutto rispetto al tema occupazionale, viste le voci che parlano di 5 mila lavoratori in cassa integrazione fino al 2025 e la trasformazione degli attuali 1.600 lavoratori ancora non riassunti da Mittal e in carico all’amministrazione straordinaria ex Ilva che diventerebbero esuberi anche ai sensi dell’accordo firmato da governo e Mittal il 4 marzo per chiudere il contenzioso legale al tribunale di Milano.

«Noi le notizie le abbiamo dalle anticipazioni dei giornali e anche nelle convocazioni del ministro Patuanelli non abbiamo saputo niente di più – attacca subito Rocco Palombella, segretario generale Uilm ed ex operaio Ilva a Taranto – . Vogliamo ribadire che per noi è valido solo l’accordo del 2018 che prevede la riassunzione di tutti i lavoratori entro il 2023. L’accordo del 4 marzo non lo abbiamo firmato e per noi non esiste, così come il memorandum che il governo sta discutendo con Invitalia e Mittal. Vogliamo – continua Palombella – una trattativa libera e senza vincoli sul piano industriale e occupazionale, ribadendo che i 1.600 lavoratori rimasti in amministrazione straordinaria non sono esuberi».

Sulla stessa linea Francesca Re David, segretaria Fiom: «Abbiamo fatto una trattativa con un privato, Mittal, che si è chiusa con zero esuberi nel 2018; non è che adesso accetteremo degli esuberi da una società in cui entra lo stato in modo non minoritario. Le multinazionali, da Mittal a Whirlpool, non rispettano più gli accordi, non è accettabile. Anche perché la domanda di acciaio è forte e quindi non ci possono parlare di crisi».

Il segretario della Fim Roberto Benaglia definisce l’ex Ilva «la madre di tutte le crisi aziendali» e sottolinea: «Abbiamo incontrato Lucia Morselli ma sappiamo solo che sarà sottoscritto un accordo finanziario con Invitalia, vogliamo trattare sul piano industriale per produrre più acciaio a partire da Taranto. La presenza dello stato è una condizione che deve portare a più chiarezza sugli esuberi».

Il punto è proprio questo: con lo stato in maggioranza quale sarà la governance dell’azienda mista con Mittal? Rimarrà Lucia Morselli, arrivata l’anno scorso per rimangiarsi l’accordo del 2018 con una conduzione al solito durissima con licenziamenti a Genova e Taranto per ragioni disciplinari e una riduzione degli investimenti e della manutenzione che ha messo a rischio la sicurezza? A marzo per il governo trattò «il consulente» Francesco Caio, ora finito come presidente della nuova Alitalia: quale manager credibile può inventarsi ora il governo?

Tutte domande che non avranno risposta ancora a lungo. Mentre oltre 5 mila lavoratori di Arcelor Mittal Italia sono in cassa integrazione Covid da mesi. Senza prospettive di rientro.

MASSIMO FRANCHI

da il manifesto.it

foto: screenshot

categorie
Mondo lavoro

altri articoli