Cronache d’estate :: La mano invisibile degli assassini delle donne

Una insegnante in pensione, un giovane imprenditore, un terreno, una lite. Forse per una rata dell’affitto non pagata. Il luogo dove sorge l’azienda di un ventiquattrenne è di proprietà...

Una insegnante in pensione, un giovane imprenditore, un terreno, una lite. Forse per una rata dell’affitto non pagata. Il luogo dove sorge l’azienda di un ventiquattrenne è di proprietà dell’anziana professoressa che deve aver avuto una discussione in merito alla morosità dell’affittuario. Rispetto a ciò che ci accade intorno e nel mondo, il tutto potrebbe essere tranquillamente rubricato alla voce “bazzeccole“, “quisquiglie“, “sciocchezze“. Cose che si risolvono senza troppi drammi..

Invece, ne stiamo scrivendo perché non è andata a finire così, e perché anche questo caso di cronaca nera finisce con il non essere un caso isolato, ascrivibile soltanto alle proprie specifiche caratteristiche, alla propria peculiarità e singolarità. Il ventiquattrenne prende la sua macchina, investe la donna e la uccide. Poi ne occulta il cadavere mettendolo nell’auto di lei che, prontamente, dà alle fiamme.

Pensa di essersi messo sufficientemente al riparo dalle investigazioni che ci saranno. Va dal suo carrozziere per riparare la macchina danneggiata dall’impatto violento con il corpo della professoressa: «Ho investito un capriolo», si giustifica. Ma le lamiere trattengono sempre qualcosa, qualche microscopico indizio che non sfugge ai reparti scientifici dei carabinieri.

Così, per 2.600 euro, per uno o più mesi di affitto di un terreno, muore una donna e confessa poco dopo un assassino che mette sulla sua vita l’ipoteca claustrofobica di un possibile ergastolo per omicidio di primo grado e per tutte le altre accuse che gli spettano.

Siamo sempre nel nord della nostra Italia. Un uomo di quarantasette anni dice alle forze dell’ordine che era stanco di sentire parlare in malo modo di sé stesso al figlio. Responsabile di questo comportamento sarebbe stata la sua compagna. La uccide e chiosa: «Così non potrà più dire male di me al mio ragazzo». Un’altra donna muore perché lo ha deciso un uomo.

Poco distante, in una regione ricca e florida che va dagli Appennini fino all’Adriatico, un trentatreenne ubriaco sta litigando in un parco pubblico con la sua fidanzata. L’alcool, si sa, altera qualunque percezione, abbassa i freni inibitori e consente di lasciarsi andare a comportamenti che, altrimenti, magari necessiterebbero di un secondo in più di autocontrollo prima di essere messi in pratica. La lite degenera e la ragazza viene raggiunta da una scarica di calci, pugni…

Le ossa iniziano a frantumarsi: costole rotte, mascella spaccata, naso frantumato. Lei si allontana e fugge. E’ una maschera di sangue. Al momento dell’arresto, l’uomo è ancora sbronzo su una panchina del parco. Si saprà in seguito che non era la prima volta che la picchiava violentemente. Una donna qui non muore, ma va davvero molto vicino al punto di non ritorno.

Tre storie di cronaca nera, tre storia di un inizio di estate in cui il numero delle donne ammazzate, violentate, picchiate ferocemente aumenta impressionantemente.

Dall’inizio del 2022 sono quasi sessanta quelle uccise: quasi due ogni tre giorni. Benché si tratti di storie sempre diverse, di casi non uguali fra loro, il comune denominatore che le collega è sempre la percezione che gli uomini hanno di una debolezza che attribuiscono consapevolmente alle donne come elemento caratterizzante la loro interiorità, la loro psicologia e la loro fragilità fisica.

La donna è, dunque, in condizione di inferiorità a prescindere dal suo ruolo nella società: che sia una insegnante in pensione, una casalinga o una impiegata, che abbia raggiunto, grazie a secoli di lotte, quel diritto che le spetta al pari di tutti gli altri di poter vivere senza essere sottoposta alle forche caudine del patriarcalismo e del maschilismo, una parte di questa società continua ancestralmente a reputare la femminilità un sinonimo di gracilità mentale e materiale.

Per questo, probabilmente, anche il delitto commesso contro la professoressa, che pure non è incasellabile direttamente alla orribile voce del “femminicidio“, finisce per rientrarvi proprio non solo perché riguarda per l’appunto una donna ma perché viene compiuto con la disinvoltura dell’uomo che pensa di poter fare quello che vuole riguardo all’universo femminile.

E’ probabile che la molla, l’impulso omicida sarebbe scattato nell’assassino anche se si fosse trattato di un uomo, ma rimane un ragionevolissimo dubbio sul fatto che il trovarsi davanti ad una donna faciliti, in qualche modo, la superabilità delle inibizioni tanto quanto l’alcool lo consente in condizioni di ebbrezza.

E’ tutto da dimostrare, ma è singolare che le donne che muoiono per mano degli uomini subiscano questi comportamenti omicidi con una preterintezionalità misogina che si somma alla volontarietà nel voler nuocere, nel voler limitare un diritto alla vita che è diritto all’esistenza tutta quanta, nelle sue mutevoli forme e situazioni.

Se un uomo uccide un uomo, si confronta anzitutto con l’altro da sé stesso ma nella medesima identità di genere. Se uccide una donna, prescindendo per un attimo dal movente per cui quell’omicidio o quella violenza avvengono, non si può non notare che, proprio sociologicamente ed antropologicamente parlando, quindi anche storicamente, la figura maschile predomina sulla femmina quasi per antonomasia.

Sempre meno condivisa e accettata, ma tuttavia presente ancora oggi in una società dove, riprendiamo l’esempio americano sul divieto di aborto proprio in questi giorni, i rigurgiti del neoconservatorismo di destra e di un liberalismo piegato alle ragioni di una teologia antietica tanto protestante quanto cattolica, fanno strame dell’impianto di diritti cresciuti nella consuetudine sociale e nel diritto positivo grazie a movimenti che hanno interpretato la necessità del pieno sviluppo della persona umana.

Indipendentemente dal genere, indipendentemente dal sesso, indipendentemente da idee e condizione sociale. Il che ci riporta ai fondamentali delle più antiche costituzioni degli Stati almeno dal ‘600 ad oggi. E tutto questo ci ricorda che il progresso morale e civile dell’essere umano è condizionato dai rapporti di forza economici e, inoltre, che viaggia ad una velocità molto inferiore rispetto, ad esempio, al progresso scientifico.

Le domande sono tutte legittime, soprattutto se portano con sé stesse la voglia di approfondire i fenomeni tanto della psiche umana quanto della più oggettiva e verificabile materialità dei fatti che, tuttavia, non possono sfuggire al recondito, all’inconscio, all’invisibile agli occhi.

Perché, se è vero che l’essenziale si manifesta proprio in ciò che non si percepisce con la fulmineità sensoriale della vista, del tatto e dell’udito, è altrettanto vero che per comprendere a fondo la singolarità di ognuno di noi serve molto tempo, tanta pazienza e una capacità di realizzazione empatica che non sempre è detto possa definirsi in quanto tale.

Le relazioni umane sono complicatissime e complessissime al tempo stesso. Le dinamiche che portano alle violenze di genere non sono da meno. E’ per questo che non è assolutamente possibile escludere che qualunque mano assassina si levi contro una donna, anche se apparentemente lontana dal voler compiere un omicidio ispirato da un suprematismo maschilista, dalla voglia di possessione totale della vita dell’altra, non sia stata spinta anche da una invisibile percezione di superiorità propria, in quanto uomo.

Ma le cronache nere estive, nella maggior parte dei casi, finiscono per infoltire le pagine di giornali che danno in pasto alla gente la morbosità del delitto e non trattano mai gli aspetti più reconditi della psiche umana. Se lo fanno, è sempre e soltanto la voglia spasmodica di conoscere efferatezze ancora maggiori, per alimentare il macabro istinto che ci pervade quando diventiamo curiosi della vita altrui, per confrontarci sui difetti e sulle disgrazie e poterci sentire al sicuro affermando tra noi e noi: «A me non potrebbe mai accadere».

Ed invece succede ogni giorno. E succede magari proprio a chi aveva appena detto di essere assolutamente coinvolgibile in trame nere dell’animo che, proprio perché dettate dall’inconscio, nessuno può sapere cosa ci riservano. Che cosa siamo veramente noi, purtroppo, lo sappiamo spesso a posteriori. Quando una macchina viene portata dal carrozziere tutta ammaccata o quando un martello ha picchiato con forza sulla testa di una donna…

MARCO SFERINI

26 giugno 2022

foto: screenshot

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