La denuncia querela presentata mercoledì da Mediterranea è nelle mani dei pm di Palermo, città di residenza di Luca Casarini. Insieme al suo legale Fabio Lanfranca ha chiesto all’autorità giudiziaria di accertare eventuali condotte criminose nella divulgazione di una valanga di conversazioni intercettate dalla procura di Ragusa e apparse dal 29 novembre sulle testate Panorama e La Verità. I materiali vengono dall’inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina sul caso dei 27 migranti che a settembre 2020 erano rimasti bloccati per 38 giorni sulla Marsk Etienne fino all’intervento della Mare Jonio, che li ha poi sbarcati in Italia.

La diffusione dei materiali è avvenuta a ridosso dell’udienza preliminare, che si è tenuta martedì scorso ed è stata rinviata al 14 febbraio per difetti di notifica. Secondo l’Ong sono state rese pubbliche vicende che non hanno attinenza con le accuse penali (come rapporti con la Chiesa, strumenti di finanziamento, confronti con giornalisti o parlamentari e perfino liti interne al direttivo). Vicende raccontate in un modo che non corrisponderebbe alla realtà e avrebbe profili diffamatori. Di più: si è verificata una fuga di atti non pubblicabili e forse di intercettazioni inutilizzabili. La questione è stata sollevata anche davanti al Gup di Ragusa.

«Siamo in presenza di una violazione straordinaria della privacy degli indagati. Riteniamo che qualche ignoto abbia fornito l’intera copia forense degli atti, cioè tutto ciò che contengono gli strumenti informatici sottoposti a intercettazione», afferma Lanfranca. Nella maggior parte dei casi si tratta di chat salvate nei telefoni sequestrati, ma tra i vari articoli si parla anche di brogliacci relativi alle trascrizioni di telefonate.

C’è poi un altro livello su cui Mediterranea chiede agli inquirenti di fare chiarezza: teme che sui giornali siano finite anche conversazioni tra indagati e legali di fiducia. «Se fosse provato sarebbe gravissimo. Alcune cose ci suonano strane», continua Lanfranca. Per legge questo tipo di informazioni non possono nemmeno finire nel fascicolo, soprattutto se si tratta di telefonate, perché costituiscono registrazioni inutilizzabili. Legalmente il responsabile della protezione di tali materiali è il capo della procura competente, ma se i pm procedessero le responsabilità andrebbero accertate in toto.

Per questi motivi Mediterranea parla di «dossieraggio». Oltre Casarini, sono coinvolti Beppe Caccia, don Mattia Ferrari, Alessandro Metz – esponenti di Mediterranea – e a cascata attivisti, parlamentari e giornalisti con cui hanno comunicato prima del sequestro dei telefoni.

L’Ong afferma che il taglia e cuci delle conversazioni serve a costruire un’immagine distorta delle sue attività e dare l’idea che al centro del procedimento penale ci siano i meccanismi di finanziamento delle missioni della Mare Jonio e i rapporti con la Chiesa, in particolare con il presidente della Cei e arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi. Questioni estranee alla vicenda su cui i giudici faranno chiarezza.

«Hanno fatto credere che percepisco 6mila euro mensili pubblicando un passaggio in cui parlo dei soldi da chiedere alle realtà della rete di sostegno che volevamo creare per avere i 50/60mila euro necessari ogni mese a mantenere operativa la Mare Jonio», accusa Casarini. Che afferma di ricevere uno stipendio di 1.400 euro come ispettore di bordo, «la metà del minimo sindacale di un marinaio della nostra nave».

Intanto ieri l’arcivescovo di Modena-Nonantola Erio Castellucci, chiamato in causa dai giornali, ha pubblicato una nota in cui afferma che il sostegno economico dato a Mediterranea è regolare e trasparente. «Contro ogni garanzia costituzionale, è stata diffusa parte della mia corrispondenza privata con Luca Casarini, totalmente estranea alle indagini in corso», scrive Castellucci. E aggiunge: «Ritengo che il fine principale di questo attacco mediatico sia condizionare la libertà della Chiesa per impedire il suo aiuto ai migranti naufraghi».

GIANSANDRO MERLI

da il manifesto.it

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