Vorrei riprendere il ragionamento esposto da Guido Viale sul Manifesto, per sottolineare la necessità impellente di una radicale conversione ecologica, che non è solo sfida ambientale ma anche sociale, economica, democratica. E quindi politica ed elettorale. Come sottolinea Viale, non si possono separare le politiche vessatorie e razziste del governo dall’attacco che rischia di diventare sistematico al dissenso e dall’insipienza delle politiche sul clima. Ma questo processo non si può basare solo su battaglie locali o su schieramenti chiusi. Non ne abbiamo il tempo.
Non si può fare a meno della politica, delle elezioni, dei settori economici più avanzati, del “contagio” dei partiti di opposizione e dei media, e, lasciatemelo dire, dello sforzo di portare anche in Italia un’onda “verde” politica e culturale. E non solo perché il ritmo del cambiamento climatico galoppa: come denunciato dagli scienziati del report IPCC in preparazione alla COP24 che è aperta in Polonia, siamo avviati verso un aumento globale di 3-4 gradi, più del doppio di quell’1,5 necessario a evitare conseguenze incontrollabili su tutti noi. Anche il tempo della democrazia aperta e basata su valori di libertà e giustizia pare ogni giorno più stretto.
Non è un caso i clima-scettici siano anche spesso retrogradi sul piano dei diritti, in particolare di donne e migranti, e propensi a liquidare come “buonismo” ogni politica attiva di inclusione. La vera sfida sta nel collegare e rendere capaci di creare mobilitazione e consenso anche elettorale la battaglia di chi, facendo impresa, lavorando nel pubblico, studiando e inventando, costruisce ogni giorno un nuovo modello economico, fatto di maggiore qualità della vita, di nuove attività, di nuovi lavori, di nuovi rapporti sociali (a partire dall’evidenza del clima sregolato e della digitalizzazione), con le battaglie contro la devastazione del territorio, (che, nate da vertenze locali, diventano spesso funzionali all’uscita dal modello fossile) e quelle dei diritti e della democrazia.
Non possiamo né dobbiamo permettere al fronte dei “SI-TAV”, un po’ leghista e un po’ PD, di intestarsi la lotta contro l’ignavia della politica economica del governo, dimenticando l’attacco ai diritti, facendo credere che la chiave dell’uscita dalla crisi sia la costruzione di gasdotti o tunnel e sbattendo nel frullatore dell’opposizione ai Grillini anche le alternative “verdi” all’economia fossile. Altro che TAV: dobbiamo riconvertire il 70% delle costruzioni inefficienti che producono il 40% delle emissioni; sottrarre 7,5 milioni e mezzo di persone dal degrado del loro territorio; eliminare per 6,5 di persone la minaccia permanente dell’inquinamento; rilanciare un piano strategico dei trasporti e delle città che li renda a prova di clima impazzito; spostare con decisione il peso di tasse e balzelli dal lavoro alla CO2 o alla plastica, e sfruttare le grandi potenzialità positive di creazione di lavoro e cultura che questa “rivoluzione” comporta. Non siamo a zero.
In Europa, nella tanto vituperata UE, facciamo battaglie spesso vincenti su questi temi, nelle istituzioni e nella società. E l’Italia è la seconda “green” economy dopo la Germania, deve essere parte molto più attiva in questa sfida anche per evitare di perdere migliaia di giovani istruiti che se ne vanno. Dobbiamo organizzarci meglio perché lo spazio vitale non è solo nei nostri villaggi e le elezioni europee sono una occasione da non perdere. Noi ci saremo e crediamo non da soli, perché la sfida ecologista è oggi più che mai quella per un’Europa democratica e una società aperta e plurale.
MONICA FRASSONI
foto tratta da Pixabay