La morte di Aldo Moro è una tragedia politica, forse la sola vera tragedia politica dell’Italia repubblicana, derubricata da decenni a romanzetto di spionaggio da due soldi. Una infinita teoria di volumi e articoli e relazioni di commissioni d’inchiesta concentrata sulla posizione di una scopa messa ad asciugare da Barbara Balzerani nella base di via Gradoli, «ecco come voleva indirizzare il getto d’acqua della doccia per far scoprire il covo», oppure a misurare col metro la distanza dal marciapiede delle macchine posteggiate in via Fani la mattina del 16 marzo, «dieci cm in meno e la scorta sarebbe riuscita a svicolare: sarà davvero un caso?».

Note a pie’ di pagina per tutto il resto: per il dramma lacerante di chi accettò di sacrificare l’amico e di farlo passare per pazzo pur di evitare una crisi di governo pericolosissima nella situazione di tensione estrema che si era creata dopo le elezioni del 1976; per il dilemma di un’organizzazione armata, di certo del suo capo, che si sentì costretta a concludere il sequestro con un efferato omicidio pur sapendo che quell’esito era una sconfitta devastante; per la vittima, la cui tragedia avrebbe meritato la penna di uno Shakespeare e ha dovuto accontentarsi di Sergio Flamigni o peggio.

Il lungo servizio di Report dedicato al caso due giorni fa segna un ulteriore slittamento: la degenerazione involontaria in satira, una messa in ridicolo di se stessa della dietrologia che, se consapevole, avrebbe toccato punte di genialità e fatto ululare di gioia Guy Debord il Situazionista.

Neppure gli appassionati di complotti dallo stomaco di struzzo possono essere rimasti imperturbati sentendo raccontare che Moro, l’uomo più ricercato del mondo, veniva trasportato da una casa all’altra nella città in stato d’assedio, spostato in una villa al mare, lasciato sulla spiaggia ad abbronzarsi, riportato nel cuore del centro di Roma nonostante la marea di posti di blocco.

Nessuno può aver sentito senza batter ciglio che nella palazzina indicata come prima nella serie di prigioni coabitavano, evidentemente tutti d’accordo, l’ambasciatore iraniano presso la Santa Sede, nella cui magione sarebbe stato rinchiuso il rapito, l’uomo di fiducia del cardinal Marcinkus, che passava di lì per farsi il barbecue, l’agente Nato rotto a ogni orrore, l’amica di Franco Piperno che naturalmente ospitava a sera il pericoloso autonomo per una rimpatriata: la Pantera Rosa sull’Orient Express di Agatha Christie.

E poi l’M16 inglese, la Cia, il Mossad, la ’ndrangheta, la P2, Gladio, il commissario fellone di Monte Mario, la Nato, e a tirare i fili la stessa mano che aveva armato gli assassini dei fratelli Kennedy. Perché? Ma per difendere la logica di Yalta, ovvio. Senza dimenticare Kissinger, che aveva minacciato Moro cinque anni prima, e certo nel ’78 non era più segretario di Stato, era stato rimpiazzato dalla dottrina Carter, non diversa ma opposta, ma sono particolari ininfluenti.

L’ex leader socialista Signorile si è ripetuto certo di aver sentito con le sue proprie orecchie la polizia avvertire Cossiga del ritrovamento della macchina con salma qualche ora prima della nota telefonata di Morucci al professor Tritto. Sarebbe un elemento da approfondire. Non perché sia davvero credibile che la polizia fosse al corrente di cosa conteneva il bagagliaio della Renault rossa prima della telefonata, salvo assegnare a Cossiga stesso la parte ballerina di capo delle Br dopo Negri e Tognazzi.

Però, complice un qualche sfalsamento nella memoria dell’autorevole testimone, magari è possibile che dopo la telefonata di Morucci una rapida ricognizione preventiva ci sia stata. I misteri, comunque, a roba del genere si riducono.

Non c’erano novità nel programma di Ranucci, neppure un mistero piccolo piccolo ma nuovo di zecca. In compenso è stata quasi una summa dei misteri presunti che si accumulano da decenni, sino a comporre un’enciclopedia sbrigliata. Averceli squadernati uno accanto all’altro è stato comunque utile. Quella massa contraddittoria e confusa, fondata su suggestioni invece che su prove, su accostamenti illeciti e deduzioni bislacche, ha rivelato la miseria della dietrologia che infesta la memoria come nient’altro poteva fare.

ANDREA COLOMBO

da il manifesto.it

foto: screenshot da Wikipedia