Tre riforme che possono fare a meno di Renzi

Che di Renzi non ci saremmo liberati facilmente lo sapevamo, fin dalle sue fiere affermazioni di abbandono in caso di sconfitta. Ma meraviglia rivederlo in campo tal quale, già...

Che di Renzi non ci saremmo liberati facilmente lo sapevamo, fin dalle sue fiere affermazioni di abbandono in caso di sconfitta. Ma meraviglia rivederlo in campo tal quale, già in corsa per palazzo Chigi, alla cui porta è stato accompagnato dal popolo sovrano. Mentre la lista dei disastri a lui imputabili si allunga, fino all’ultimo ceffone europeo di ben 3,4 miliardi. La continuità del Renzi-pensiero emerge in specie nella benedizione data – nell’intervista a Repubblica – al ballottaggio o al Mattarellum, perché con il maggioritario il Pd è fulcro di un sistema simile alla democrazia americana. Poche idee, e sbagliate. Negli Stati uniti con le ultime presidenziali qualcosa è cambiato. In Italia una battuta sull’algoritmo M5S non può negare l’assetto multipolare del sistema politico. Prepariamoci allora anche a un remake del conflitto tra vecchio e nuovo. Va neutralizzato con una proposta di innovazione nel tempo (breve o lungo) che rimarrà prima del voto, chiarendo peraltro che si tratti di riforme a Costituzione invariata, volte alle necessità della politica e delle istituzioni prima che agli interessi di questo o quell’attore che in esse recita una parte. Il voto del 4 dicembre preclude almeno per la legislatura in corso qualsiasi ipotesi diversa.

Vediamo tre priorità. La prima: favorire la ricostruzione di soggetti politici stabilmente organizzati. La seconda: rivitalizzare le assemblee rappresentative. La terza: rafforzare la partecipazione democratica.
Sul primo punto è essenziale una legge elettorale il più possibile di impianto proporzionale. Il fine è depurare il sistema dalla droga degli incentivi maggioritari, stimolando ogni forza politica a definire il progetto e l’identità che ne sono la ragion d’essere. A nostro avviso, il modello tedesco è da preferire.
Sul secondo punto ancora la legge elettorale fornisce risposta. Possiamo aggiungere il rinvio a quanto già proposto nello speciale riforme pubblicato da questo giornale il 19 ottobre 2016: modifiche dei regolamenti parlamentari volte ad evitare le cosiddette navette e a dare una corsia veloce ai disegni di legge urgenti, con risultati pari o maggiori rispetto a quelli della fu Renzi-Boschi.
Anche sul terzo punto si potrebbe pensare a modificazioni del regolamento volte a garantire che l’iniziativa legislativa popolare giunga in tempi certi a una decisione nell’aula parlamentare. Ma l’efficacia rimarrebbe modesta, essendo comunque l’esito consegnato alla volontà della maggioranza. Maggiore impatto potrebbe invece avere un intervento sul referendum previsto dall’articolo 75 della Costituzione.

Anzitutto per la raccolta delle firme, oggi fatta in un modo che si può solo definire barocco e ottocentesco. L’appesantimento burocratico aggrava la difficoltà di raccogliere le 500mila firme richieste, talvolta mancate di un soffio, come da ultimo per la scuola. Non mancano idee e proposte sulla semplificazione possibile. E si può fare di più. Per l’articolo 2 della legge costituzionale 1/1953 le modalità del giudizio di ammissibilità della Corte costituzionale sui quesiti referendari «saranno stabilite dalla legge che disciplinerà lo svolgimento del referendum popolare». Il richiamo è alla legge 352/1970, che può ben essere modificata legando il giudizio di regolarità e l’eventuale intervento sui quesiti da parte dell’Ufficio centrale presso la Cassazione, e il successivo giudizio di ammissibilità della Corte costituzionale, alla raccolta ad esempio di 50mila o 100mila firme, lasciando successivamente all’Ufficio centrale la sola verifica del raggiungimento delle 500mila necessarie. Questo permetterebbe ai promotori di ridurre l’impegno organizzativo e finanziario, concentrandolo sui soli quesiti ammessi.
Legge elettorale, regolamenti parlamentari, referendum: un trittico di innovazioni che a Costituzione invariata possono avviare il risanamento della politica e delle istituzioni. Certo rimane da vedere come il 24 gennaio l’anima renziana della Corte costituzionale interpreterà l’ultimo Renzi. La scelta potrà pesare sul tempo disponibile prima del voto, ma avere una proposta in campo non farà comunque danno.
Infine, Renzi ci informa che gli piacciono i gufi, «gli animali, intendo».
I gufi commossi ringraziano. Gli animali, s’intende.

MASSIMO VILLONE

da il manifesto

foto tratta da Pixabay

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Politica e società

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