Sull’autonomia differenziata Boccia sbanda

Riprende – a quanto leggiamo – la trattativa tra ministero e regioni per l’autonomia differenziata. Si parte oggi con il Veneto, seguiranno Lombardia ed Emilia-Romagna, e successivamente Toscana e...

Riprende – a quanto leggiamo – la trattativa tra ministero e regioni per l’autonomia differenziata. Si parte oggi con il Veneto, seguiranno Lombardia ed Emilia-Romagna, e successivamente Toscana e Piemonte.

È una notizia sorprendente, viste le prime posizioni del ministro Boccia. Sembrava delinearsi un percorso che assumeva come preliminari una legge quadro e i livelli essenziali delle prestazioni. In questo poteva concretarsi una discontinuità, desumibile anche dalla affermata necessità di coinvolgere nel confronto tutte le regioni su un piano di sostanziale parità.

Assistiamo ora a un cambiamento di rotta? Si torna a una sostanziale continuità rispetto alla censurabilissima gestione della ex ministra Stefani? Allora, la trattativa per tavoli separati, in assenza di una previa discussione collegiale che potesse consolidare un indirizzo di governo sul tema, e senza un confronto parlamentare volto ad evidenziare un sentire di maggioranza, avevano favorito esiti inaccettabili. Come effetto collaterale, era anche mancata del tutto una lettura dell’art. 116, co. 3, che ne chiarisse la natura di norma circoscritta a limature marginali in chiave di aderenza a realtà puramente locali. Risultando invece favorito lo shopping al supermercato delle competenze proprio del secessionismo occulto di Zaia & co.

Si torna a questo? Se no, Boccia deve chiarire le differenze. Già la formula del «completare il percorso» nelle dichiarazioni di Luigi Di Maio e nel programma di governo dava luogo a perplessità e dubbi. Le diffide a non governare contro il Nord e le intemperanze degli aspiranti secessionisti sugli inutili ritardi prodotti dalla legge quadro e dai lep (livelli essenziali di prestazione) possono aver impressionato qualcuno a Palazzo Chigi. Ancor più, probabilmente, il timore di eventuali danni alla sfida emiliana del gennaio 2020 – certamente cruciale per il Pd – da una sconfessione dell’attuale presidente della regione Bonaccini. Capiamo tutto.

Ma alla fine in Emilia-Romagna ha sbagliato Bonaccini e mettersi all’inseguimento della Lega, e il conto dell’errore non può essere presentato al resto del paese.
Ci dica allora Boccia dove punta la trattativa che si riprende, e se il governo è compatto sulla scelta. Le posizioni del ministro Provenzano ci sembrano diverse dalle sue, come anche quelle di Fioramonti. Ci dica Boccia se si vuole giungere alla approvazione di intese con singole regioni prima dell’approvazione della legge quadro da lui richiamata, e a che cosa pensa possa servire una legge quadro che seguisse, e non anticipasse, l’approvazione di singole intese. Ci dica Boccia se non pensa che definire intese non possa comunque pregiudicare e sostanzialmente svuotare una legge quadro simultaneamente in elaborazione.

Ci dica se i lep sono ancora una priorità. Ci dica quali sono i punti non trattabili, dalla scuola alle infrastrutture strategiche, essenziali per l’unità del paese. Ci dica se l’art. 72 Cost sarà rispettato chiamando il parlamento ad approvare nel merito le intese, o se rimane in campo la pretesa inemendabilità vagheggiata da Stefani e già prima di lei dai pre-accordi firmati da Bressa.

Ancora, ci dica Boccia se intende riprendere il metodo di una trattativa condotta nelle segrete stanze, come aveva cercato di fare Stefani, o invece vuole dare visibilità e trasparenza ai processi politici in atto, informando puntualmente e passo per passo il parlamento, l’opinione pubblica, le altre regioni, gli esperti e gli studiosi. Tanto, come abbiamo visto, le carte finiscono prima o poi col filtrare, per l’opera meritoria di qualche gola profonda. Boccia si sottragga alle miserie della bassa cucina politica. Fin qui, il suo comportamento si mostra ondivago e incerto. Ma non è troppo tardi per ritrovare un approccio saldo nel metodo e negli obiettivi.

Ilvo Diamanti, su Repubblica del 21.10, ci dice che – per battere Salvini e la destra prorompente di Piazza S. Giovanni – M5S e Pd devono «tornare sul territorio e nella società. Insomma, devono costruire qualcosa che assomigli ai partiti di una volta …». Giusto, purché con l’obiettivo di una alternativa di forte impatto. Potrebbe essere il progetto di un paese unito e solidale, e per questo in grado di uscire dalla crisi e ripartire. Un progetto vincente, a patto che Boccia non faccia la brutta copia di Erika Stefani meno uno.

MASSIMO VILLONE

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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Politica e società

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