L’apartheid che doveva terminare, alla fine invece si rinnova. Per la quarta volta di fila – Fiat 2010, Fca 2015 e 2019 e ora Stellantis – la più grande azienda privata del paese ha un contratto non sottoscritto dal sindacato più rappresentativo.

Il «metodo Marchionne» viene utilizzato per la prima volta dall’azienda francese che ha inglobato Fca, arricchendo la famiglia Agnelli e impoverendo i quasi 70 mila dipendenti rimasti nel gruppo. Agli oltre 46 mila superstiti del gruppo ex Fca, vanno aggiunti i circa 16 mila di Iveco, i 4 mila di Cnh e i 3 mila di Ferrari.

Se all’inizio di novembre Fiom e Stellantis sono state vicine a trovare una strada per far rientrare la Cgil nella trattativa, tutto si è arenato sullo scoglio più grande: il nodo dell’esigibilità del contratto: la norma imposta allora da Marchionne che prevede una «clausola di responsabilità», l’impossibilità di scioperare sulle materie sottoscritte nel contratto e sanzioni per i sindacati in caso di mancato rispetto degli impegni assunti.

E così, anche grazie al silenzio o quasi di Cisl e Uil, il contratto specifico di lavoro (Ccsl), strumento usato da quando la Fiat lasciò Confindustria e il contratto nazionale per avere mani libere nel ricatto «lavoro in cambio di diritti», è rimasto un contratto separato. E dopo quattro mesi di trattativa, ieri è arrivata la firma all’Unione industriali di Torino fra Stellantis e Fim Cisl, Uilm, Acqf (ex Agenquadri), Fismic e Ugl.

La parte salariale è certamente positiva. L’aumento sui minimi è rilevante +11,3% per un totale di oltre 207 euro mensili più una-tantum di 400 euro, in due tranche ad aprile e luglio, e, a partire da maggio, 200 euro netti di benefit spendibili sulla piattaforma del gruppo.

Ma l’aumento va a recuperare solo in parte il gap con il contratto nazionale e va tarato con i margini impressionanti che Stellantis ha raggiunto quest’anno potendo contare sui risparmi delle politiche di scala della fusione fra Psa e Fca e sui margini di guadagno sulle auto vendute che, con la scusa della transizione verso l’elettrico, sono ampiamente aumentati (basti vedere le differenze di prezzo delle auto elettriche fra Europa e Stati Uniti). Senza dimenticare gli aumenti elargiti da poco ai lavoratori francesi .

Tutta da verificare poi la parte normativa che potrebbe preannunciare la fase dei prossimi mesi: alla già dilagante cassa integrazione in tutti gli stabilimenti (Cassino, Pomigliano, Melfi, Atessa) potrebbero arrivare annunci di chiusure, oltre alle ulteriori 2 mila uscite incentivate sottoscritte sempre dai sindacati firmatari.

Per il segretario generale Fim Cisl Roberto Benaglia e il segretario nazionale Ferdinando Uliano, si tratta del «primo contratto di questa portata per la difesa del potere di acquisto dei salari», inoltre «tutela i lavoratori dentro la transizione automotive e fa da apripista per i prossimi rinnovi».

Incoerenti le parole del leader della Uilm Rocco Palombella che a ottobre al suo congresso segnò una svolta chiedendo a Stellantis di rientrare nel contratto nazionale. Rimangiandosi tutto, ieri Palombella ha parlato di «un rinnovo storico» che «farà da apripista per i prossimi contratti». Difficile spiegare come un contratto aziendale possa condizionare i contratti nazionali.

Molto dura la Fiom. «Si è scelto di perseguire la strada della divisione e non si sono colte le richieste di cambiamento da parte dei lavoratori e l’esperienza positiva della gestione della pandemia e della riorganizzazioni CnhI ed Iveco, frutto di accordi unitari – attacca il responsabile auto Simone Marinelli – mentre Stellantis concede dividendi straordinari agli azionisti, i lavoratori continuano a subire ammortizzatori e peggioramento delle condizioni di lavoro».

MASSIMO FRANCHI

da il manifesto.it

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