Come finirà è ancora difficile poterlo dire. Il veto dei Cinquestelle sul canguro ha rispettato la coerenza democratica ma ha complicato indubbiamente il percorso di approvazione della Legge Cirinnà che temeva solo la tenuta dei numeri al senato.
Ora i numeri sembrano spaventare meno: Renzi apre alle richieste di Alfano per evitare di far affossare quel che rimane della “Cirinnà” e rischiare di far bollare tutta l’operazione come fallimentare e, quindi, perdere altro consenso.
La sostanza è questa: il disegno di legge proposto dalla senatrice del PD ora rischia di perdere numerosi importanti capitoli che ne facevano un primo importante passo per il riconoscimento di una serie di diritti che andavano oltre il semplice riconoscimento giuridico delle unioni civili.
Tutti, a parole, si dicono ormai pronti a riconoscere la legittimità legale delle unioni tra coppie omosessuali. Il punto dirimente per il mondo cattolico intransigente è l’adozione del figliastro.
E su questo punto rischia di andare a monte tutto un impianto di costruzione di garanzie che avrebbero reso il nostro Paese un poco più allineato con le legislazioni di molti altri stati europei e del resto del mondo.
L’ipotesi di mettere la fiducia sul Ddl Cirinnà è la dichiarazione informale dello stralcio dell’adozione del figliastro (la tanto celebre “stepchild adoption”).
Tatticismi e calcoli di equilibri non solo parlamentari ma anche elettorali: nessuno vuole farsi sfuggire quell’elettorato di destra che guarda un poco al centro e che magari non ha proprio partecipato alla chiamata vandeana e sanfedista del Family day, ma ne ha condiviso i presupposti “ideologici”.
In un disfacimento progressivo della democrazia repubblicana, dentro un quadro di depressione dei diritti sociali e civili, è normale che un Parlamento perda la sua autonomia e che le presunte “rigidità” morali degli uni e degli altri, di maggioranza e di opposizione, siano il pretesto per gestire una partita che qualcuno vuole vincere anche mediaticamente, proponendosi come campione dei diritti.
E’ difficile smentire che tutto questo sia dettato dalla buona fede di chi sostiene di volere i diritti civili, le unioni tra le coppie anche dello stesso sesso e persino l’adozione del figliastro, quando il castello crolla miseramente sotto i colpi dello scaricamento del barile delle responsabilità che, di ora in ora, si rimpallano il Movimento Cinquestelle e il PD.
Nessuna di queste due forze sembra in grado di garantire un percorso condiviso per dare all’Italia, a milioni di persone, il diritto di avere nuovi legittimi e sacrosanti diritti.
La ricerca delle colpe è, poi, un’azione veramente pietosa, da svolgere solo per una curiosità quasi degna di Novella 3000 o di giornaletti simili dove si fa del pettegolezzo l’arte del giornalismo più diffuso.
Le colpe sono evidenti. Lo sono almeno nell’elencare, montalianamente, di chi non sono: “solo questo possiamo dirti… ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Ecco: noi possiamo dire quello che non siamo. PD e Cinquestelle possono dire quello che veramente non vogliono: quinta teatrale dietro a cui sta ciò che ricercano davvero.
Ormai la concessione della spontaneità, come leva e motore di formazione di una legge sulle unioni civili, è una chimera, un sogno, una speranza che svanisce dietro ai rimpalli e alle ripicche, al privato calcolo di bottega che prevale sul bene comune.
In questo, i grillini non sono poi così diversi dal PD e nemmeno quest’ultimo è poi così tanto differente da loro.
Le destre fanno il loro mestiere. Almeno quelle tradizionali: Fratelli d’Italia con Giorgia Meloni, Lega Nord con Matteo Salvini e Silvio Berlusconi con Forza Italia.
Le destre nuove, un po’ camuffate da sinistra e un po’ da centro, un tempo sapevano distinguersi dalle altre almeno su temi di natura etica e morale. Oggi rischia di venire meno anche questa differenza. E non è da poco.
Al blocco politico-economico di destra che protegge gli interessi delle banche e dei finanzieri d’alto bordo, s’aggiunge il blocco eterogeneo delle forze che protegge fintamente una democrazia quasi ridicola, perché inesistente, ma persistente attrice di un epifenomeno che sta ben nell’ombra e che viene fuori ora come “purezza morale” della politica, ora come “purezza morale” della famiglia tradizionale.
A leggere “Les fleurs du mal” di Baudelaire c’è solo da consolarsi: almeno lo spleen del poeta è sincero travaglio interiore e non apparenza, mediocrità e falsa rivendicazione civile. Leggiamo Baudelaire e continuiamo a lottare contro questi grigi burocrati del nulla. Comunque vada, questa battaglia non la può fermare un cardinale della Chiesa cattolica, un ministro dell’Interno o una piazza di timorati del peccato piuttosto che di dio.
Comunque vada in Senato, la lotta per i diritti è una lotta insopprimibile e inarrestabile: prima o poi avanza e si fa largo tra pregiudizi e odio, tra risentimenti e paure. Lo fa e lo farà perché alla sua base c’è, molto semplicemente, il diritto più grande, più bello e più rivoluzionario di tutti: quello alla felicità.
MARCO SFERINI
24 febbraio 2016
foto tratta da Pixabay