Nonna, che non perse mai il sorriso

Parlerò di donne oggi. Lo faccio con un certo senso di colpa perché bisognerebbe parlarne spesso, se non sempre, ma non solo quando le giornate comandate ci spingono in...

Parlerò di donne oggi. Lo faccio con un certo senso di colpa perché bisognerebbe parlarne spesso, se non sempre, ma non solo quando le giornate comandate ci spingono in qualche modo a farlo. Tuttavia, nella ricerca costante della perfezione, rimaniamo imperfetti, lacunosi e in cammino mentre ci domandiamo tutto questo e, per questo, battendoci il petto parliamo di donne.
Parlerò di mia nonna paterna, una figura che ha segnato la mia infanzia e anche l’adolescenza con la sua presenza, così come hanno fatto anche altri nonni. Ma oggi dedico a lei queste parole.
Ernesta ha vissuto a lungo, per 96 anni e mezzo: ha conosciuto le traversie della guerra, quindi la fame del periodo seguente, ha cresciuto quattro figli e ha onestamente lavorato da sola per provare a far uscire dall’indigenza una famiglia che era stata, come tante, attraversata dalla crudeltà del conflitto, messa in difficoltà dalle ristrettezze dei tempi.
Nata nella piana di Albenga, fin da ragazza ha lavorato nei campi senza avere il tempo di approfondire gli studi. Ma la sua non-cultura era colmata da quella tipica saggezza popolare che l’aveva condotta a seguire le tradizioni, ad osservare ogni cosa attentamente e a farsi mille domande sempre. Una virtù rara oggi, nella frenesia quotidiana che ci fa allontanare dalla percezione delle piccolissime caratteristiche dei luoghi in cui viviamo e delle persone che frequentiamo.
La semplicità di Ernesta era legata ad una genuina devozione cristiana: nonna spesso snocciolava il rosario, pregava ed andava alla messa. Venuta più anziana la seguiva in televisione alla domenica mattina.
Nonostante la vita fosse stata dura con lei, ha saputo sorridere ed amare con grande naturalezza i suoi quattro figli: li ha lasciati liberi di esprimersi e di percorrere strade differenti. Li ha incoraggiati e spronati, è stata loro vicina anche quando erano uomini adulti e, nonostante il rapporto con suo marito fosse stato burrascoso, non ho mai sentito dalla sua bocca uscire una parola di condanna per il genere maschile intero.
Era stata lasciata sola con quattro figli, sì. Praticamente abbandonata. Poi un giorno, quando i ragazzi erano già grandicelli, lui tornò: da convinto fascista non proprio della prima ora, nonno era diventato comunista.
Le chiese di potersi ritrasferire a casa e lei accettò soltanto guardando gli occhi dei figli che la pregavano di accettare il papà tornato come il figliol prodigo.
Quella notte si rivolse a dio e lo prego di toglierle quell’uomo davanti. Così diceva, così raccontava spesso.
Destino volle che al nonno venne un infarto proprio in quelle ore e morì praticamente nel sonno. Così le toccò anche di dover provare rimorso per aver avuto la colpa di quella richiesta rivolta al padreterno.
Andò dal prete di Legino a chiedere perdono e il sacerdote la rassicurò: dio non è quello vendicativo dell’Antico testamento, ma è buono, è amore e quindi non avrebbe mai accolto una preghiera di siffatta natura.
Poi si fece piccola, piccola, curva e venne ricoverata in una residenza assistita per molti anni. I suoi figli rimasti e io la andavamo a trovare ogni giorno. Sono i sabati mattina più belli che ho trascorso in vita mia: andando da lei sempre, chiacchierando con le altre donne che le erano compagne di riposo in una villa che le era congeniale spiritualmente. Gestita da suore e quindi non lontana dalla sua credenza religiosa di una vita. Forse un po’ per superstizione ma certamente non falsa, non obbediente a morali superiori o altre amenità disumane.
Le donne e gli uomini subiscono violenze ogni giorno, ogni ora. E, come affermava Bartolomeo Vanzetti poco prima di salire sulla sedia elettrica, “anche la stessa paura della morte, a pensarci bene, è una violenza”.
Eppure il patriarcalismo, la dominazione maschile dei corpi e delle anime femminili, è fra noi ogni volta che un uomo si sente superiore ad una donna e in diritto di dettarle ordini, regole, comportamenti.
La violenza ha diversi gradi: potremmo dire che questo è quello meno invasivo perché non arriva a violentare i corpi, ma comunque violenta le anime, le intime strutture della psiche di una persona che ha il diritto, esattamente uguale a quello di un uomo, di esprimersi come meglio crede nel rispetto sempre della libertà dell’altro.
La questione è, dunque, anche sessuale perché parte da una concezione di dominio assoluto e, pertanto, non potrebbe essere dominio vero se non ne nascesse la problematica del “possesso” di ciò che la donna esprime con la sua fisicità.
Quando ripenso a nonna Ernesta, ripenso a tutte le donne che nella loro vita si sono battute in solitudine per resistere ed esistere in un mondo che le considerava solo delle brave massaie, delle casalinghe, degli oggetti del dovere comune dettato dalla morale partriarcalista a servire il maschio sempre e comunque.
Ma quando ripenso a nonna Ernesta io vedo ancora oggi il suo sorriso e sento le sue risate quando io, abituato a scherzare giullarescamente quando mi trovo in mezzo ai miei simili, facevo qualche battuta e lei si divertiva di gran cuore. Non rivedo la caparbia durezza con cui scacciò il marito, il rancore o i rimorsi che lei teneva dentro.
Non è facile far convivere gioia e tristezza, ma tuttavia esse abitano in noi sempre. Sono le quantità reciproche di questi sentimenti che dovrebbero essere modulate da uno stile di vita consono a consentire a tutte e tutti di poter esprimersi liberamente, con la mente e con il corpo. Nessuno deve essere soggetto e nessuno deve essere oggetto.
Per questo il coraggio delle donne che denunciano i maltrattamenti, gli stupri e ogni sorta di prevaricazione subita è coraggio vero sempre e non ha un timer di scadenza temporale: uno stupro rimane uno stupro sia che sia stato compiuto dieci o venti anni prima.
Quando si mette in secondo piano lo stupro e si fa avanzare la gravità della denuncia sulla base della tempistica con cui è stata fatta, si commette già in questo caso una nuova violenza. Proprio su quella donna che ha denunciato il maltrattamento subìto.
La tendenza sociale va invertita e, per questo, va costruita una nuova etica del comportamento e un civismo rinnovato sulla base dell’eguaglianza sociale e civile che deve contraddistinguerci in un mondo che ci abitua alla diseguaglianza.
Ecco, proviamo a far nascere molti sorrisi e ad eliminare molte facce imbronciate, molti animi squarciati nel loro intimo e resi cupi e tristi dalla prepotenza altrui. Lo si può fare sapendo però che il dominio maschile è strettamente legato al tipo di società che ci ostiniamo a non mettere in discussione, a capovolgere.
Provate a pensarla capovolta a centottanta gradi. A pensare che tutto sia il contrario di ciò che oggi è. Non sarebbe meglio?
Pensateci e poi mettetevi in discussione, quindi dubitate e ribellatevi.

MARCO SFERINI

25 novembre 2017

foto tratta da Pixabay

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