A quattro chilometri dal centro storico di Bari vecchia, nel quartiere Japigia, si trova il più grande cimitero militare italiano della Seconda guerra mondiale. Inaugurato nel dicembre del 1967, il «Sacrario dei caduti d’oltremare» custodisce i resti di oltre 75mila soldati italiani deceduti tra il 1940 e il 1945.

Se pensiamo alla Prima guerra mondiale e al suo sacrario principale – Redipuglia – non abbiamo difficoltà a capire perché sia stato scelto proprio quel luogo, nel Carso. Ma Bari? Cosa lega Bari ai soldati italiani morti nel corso della Seconda guerra mondiale?

Il «rapporto sentimentale»

Nel 1952 il Commissariato generale per le onoranze ai caduti (Onorcaduti), struttura del ministero della difesa, sta per bandire un concorso per la progettazione di un «grandioso Monumento-Ossario nel parco della Rimembranza in Roma da destinare alla tumulazione delle Salme dei Caduti che, nel corrente anno, verranno rimpatriate dalla Grecia». Se ne attendono circa trentamila.

In attesa della costruzione del monumento, il generale Verdoja, commissario generale di Onorcaduti, chiede al sindaco di Bari, nel cui porto sono attese da lì a poco le prime urne, di ospitare temporaneamente le cassette presso il cimitero municipale. Il primo cittadino, avvocato Francesco Chieco, del partito nazionale monarchico, a capo di una giunta di cui fa parte anche l’Msi, approfitta della richiesta e rilancia: perché non costruire al sud, proprio a Bari, il nuovo monumento-ossario?

Motiva Chieco: «Se nel grande cimitero di Redipuglia, che guarda le trincee carsiche e le vette dei monti, forse ancora bagnate dal sangue italiano, riposano le Spoglie dei militari caduti nella guerra del lontano 1915, il Sacrario Ossario, in cui riposerebbero le Spoglie dei militari italiani, che sparsero il loro eroico sangue sulle terre oltre l’Adriatico, dovrebbe, per uguale rapporto sentimentale, essere costruito in questa nostra Terra, che guarda quel mare e spinge al di là il suo sospiro sentimentale».

L’annuncio di Pacciardi

L’idea di costruire il monumento a Bari non piace affatto a Verdoja, che continua a ritenere Roma la sede più adeguata. Ma la proposta del sindaco trova diversi sostenitori specie tra i parlamentari di centro destra. Antonio Carcaterra, sottosegretario Dc eletto nel collegio di Bari, scrive a Verdoja «affinché voglia tenere nella dovuta considerazione il desiderio delle genti di Puglia e disporre in modo che il Sacrario Ossario venga costruito in quella terra, che costituisce l’estremo lembo della Patria verso le zone in cui i nostri soldati versarono il loro sangue».

Anche i deputati Roberti e Michelini, esponenti dell’Msi, rivolgono al ministro della difesa Pacciardi (Pri) un’interrogazione in cui si chiede «come attuare il voto espresso all’unanimità dal consiglio comunale di Bari».

Ed ecco che l’11 dicembre 1952 il ministro Pacciardi annuncia che il presidente del consiglio De Gasperi ha deciso che il sacrario si farà a Bari e che esso accoglierà non solo le salme rimpatriate dalla Grecia e dall’Albania, ma tutti i resti dei caduti d’oltremare, perché Bari «è sita sulle sponde di quel mare che guarda i territori ove caddero i valorosi».

Da questo annuncio all’inaugurazione del sacrario passeranno tuttavia 15 anni: in bandi pubblici e relativi ricorsi, scelta dei terreni dove edificare il monumento, indecisioni sul numero effettivo delle salme da rimpatriare e quindi sulla grandezza e il costo del monumento…

Nel frattempo, però, nel porto di Bari continuano ad arrivare le urne. Dopo le prime mille accolte nel marzo del 1953 dal presidente della Repubblica Luigi Einaudi, nell’agosto del 1954 ne arrivano altre 3.316. Nel 1960 è il ministro della difesa Andreotti ad accogliere i resti di 3.876 caduti sul fronte greco-albanese. Questa volta però, il corteo dei camion scoperti che trasportano le urne non si dirige al cimitero (non c’è più posto) ma verso un deposito militare a Capurso, località non distante da Bari.

Il monumento fantasma

Due anni dopo è Puglia d’oggi, quotidiano fondato da Pinuccio Tatarella, a denunciare lo stato di abbandono in cui versano le migliaia di urne accatastate nel deposito: «Poveri i nostri caduti! Per l’ennesima volta ritorniamo sul problema del monumento fantasma che doveva, da circa dieci anni, accogliere le salme dei nostri caduti. I fondi sono stati stanziati? È stato fatto un concorso? Qual è la località in cui sarà eretto il Monumento Ossario?».

Il Ministero della difesa corre ai ripari e il 3 novembre 1962 su di un terreno ancora coltivato ad ortaggi e reso fangoso dalle intense piogge dei giorni precedenti, si svolge la cerimonia della posa della prima pietra. L’inaugurazione spetterà, cinque anni dopo, a Giuseppe Saragat, primo presidente socialdemocratico della Repubblica italiana.

Al Sacrario dei caduti d’oltremare si accede salendo una scalinata in cima alla quale più che vederlo, si intuisce, al di là dell’immancabile linea ferroviaria che lo costeggia, il mare Adriatico. La scalinata introduce a un grande cortile, una sorta di chiostro ai cui lati si elevano alti colombari con le urne dei soldati identificati, divisi per luogo di provenienza: Jugoslavia, Albania, Grecia, Africa settentrionale e orientale. Al di sotto del cortile, in una cripta, sono conservati i resti dei militari ignoti.

Jugoslavia, Albania, Grecia, Africa. Potrebbe apparire banale, superfluo e scontato ricordarlo, ma i soldati che ogni anno vengono commemorati al sacrario di Bari non sono morti per difendere il proprio paese da un aggressore straniero. Sono morti appunto «oltremare», nelle guerre di aggressione che l’Italia ha scatenato contro altri.

Nel sacrario di Bari sono sepolti, ad esempio, Vincenzo Cujuli, comandante del campo di concentramento di Arbe (1.400 civili deceduti per fame e malattie) e Paride Mori, fascista che aderì alla Repubblica sociale italiana. Molto di recente, con una cerimonia ufficiale, sono stati tumulati i resti di 27 militari italiani ignoti, ritrovati in una fossa comune sull’isola croata di Cres. Tutti appartenenti alla X Flottiglia Mas, formazione che combatteva agli ordini dell’esercito tedesco.

Silenzio sui crimini

Fa parte del Sacrario anche un piccolo museo in cui le principali battaglie vengono raccontate esclusivamente dal punto di vista della strategia militare. Non una parola sul perché di queste guerre e tanto meno sui crimini commessi dal Regio esercito, sull’utilizzo dei gas chimici, sui campi di concentramento le fucilazioni e i villaggi bruciati per rappresaglia.

Perché si è scelto di fare di questo luogo un “sacrario” e di questi morti eroi che hanno sacrificato la propria vita per la patria? Perché non costruire un luogo di memoria e riflessione, oppure, semplicemente, un cimitero di guerra in cui i parenti dei caduti, tutti, possano commemorare e ricordare i loro morti?

ANDREA GIUSEPPINI

da il manifesto.it

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