L’hamburger? Te lo prepara un robot

La meccanizzazione del lavoro è un fenomeno che risale ormai a decine e decine di anni or sono. Difficile stabilire se si possa far derivare dalle teorie di Taylor...

La meccanizzazione del lavoro è un fenomeno che risale ormai a decine e decine di anni or sono. Difficile stabilire se si possa far derivare dalle teorie di Taylor la “formazione” del lavoro robotico: significherebbe estendere un po’ troppo il principio stesso di creazione di una forza-lavoro adatta all’azienda, visto che una macchina è adatta prima di tutto alle esigenze che l’uomo le assegna e, quindi, quasi per definizione, è “adatta” per antonomasia, per eccellenza, senza eccezione alcuna, senza imperfezione. Così sembrerebbe. Così è, se vi pare, avrebbe chiosato Pirandello. Forse.
Ma la taylorista “organizzazione del lavoro”, con tanto di cronometraggio dei tempi, adeguamento dei lavoratori allo stile di lavoro del miglior produttore per altri, quindi del “lavoratore-esempio”, si può tutta ritrovare nella moderna robotica: nel perfezionamento assoluto di modi, tempi e ritmi di produzione e di distribuzione della merce.
Si chiama “Plippy” (nome di fantasia): è una macchina che da poco è entrata in sperimentazione nei fast food americani, in particolare nella ricchissima California. Plippy cuoce gli hamburger sulla piastra stando attenta a girarli e rigirarli per bene. Ne segue quindi la cottura da ambo le parti, evita che si brucino (quindi controlla la temperatura secondo modelli predisposti a seconda del prodotto), prepara i panini imbottiti e rimane in costante rapporto con il cuoco “umano” cui dispone il panino aperto per l’inserimento di altri cibi: formaggi, verdure, salse.
E’ un gioiellino tecnologico che entusiasma nel vederlo all’opera: preciso, pulito, obbediente senza se e senza ma, costerà una cifra impiegarlo in un modesto fast food familiare ma per le grandi catene di produzione di questi alimenti è certamente un affare. Non ha bisogno di sindacati, di giorni di malattia, non resta incinta, non ha bisogno delle ferie e non si lamenta mai.
Un perfetto lavoratore che ha, però, comunque bisogno dell’uomo o della donna per completare le sue opere: pare sappia anche friggere le patatine. Se dovesse sapere anche preparare i fritti misti di pesce sarebbe assunta anche alle feste di Rifondazione Comunista.
Non so però se Plippy saprebbe accendere le friggitrici, filtrare l’olio, pulire le vaschette e così via… Insomma, la robotica è sempre stata utilizzata dai padroni come elemento sostitutivo della mano d’opera: del resto, sia ieri sia oggi, esistono complicazioni nella produzione dei più moderni oggetti tecnologici (a cominciare dal settore automobilistico) che non potrebbero essere frutto del solo lavoro dell’uomo. Assemblaggi di mille opzioni per le macchine, i motorini, i televisori, i computer e i telefonini, per non parlare di elettrodomestici un tempo tutti composti a mano, come le lavatrici, i frigoriferi e i forni, hanno reso impossibile l’impiego del solo fattore umano nelle fabbriche.
Ma la necessità della vittoria della guerra della concorrenza, infinita e non circoscrivibile nel tempo se non con la fine stessa del tempo del sistema capitalistico, ha piegato le scoperte scientifiche alla imprescindibile funzione del mercato: l’accumulazione del profitto, l’aumento dei tempi di produzione, l’aumento dello sfruttamento indiscriminato tanto del robot quanto dell’essere umano.
Il rischio che Plippy o qualche altro robot possano essere i padroni di una catena di hamburger lo escluderei, ma non mi sentirei di affermare né ora e tanto meno in futuro che possano essere dei “soci” taciturni, anzi proprio silenti, da pagare non in dividendi aziendali ma con qualche bella oliatura e qualche revisione delle schede telematiche che contengono tutte le informazioni che fanno muovere le braccia che girano la carne sulla piastra.
Chi non vorrebbe un socio, un lavoratore dipendente così? Praticamente tutti.
E’ la bellezza della scienza abbruttita dal capitale: la meraviglia trasformata in servitù senza bisogno di catene o lacci e lacciuoli legali.
E’ un passo in avanti per l’intelligenza umana, ma sono due passi indietro nella considerazione umana dell’uomo stesso. Del resto più panini si fanno e meglio è per chi li può mangiare.
In California si ingozzeranno di hamburger. In Africa, in Medio oriente e in molte parti dell’Asia (nonché dell’America Latina) guarderanno, ancora una volta, una parte piccola del mondo ingrassare sperando, nel migliore dei casi, che le briciole qualcuno venga a distribuirgliele in nome di dio, della benevola carità cristiana degli occidentali e del grande orizzonte del “Progresso”. Quello con la P maiuscola, si intende.

MARCO SFERINI

10 marzo 2017

foto tratta da Pixabay

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