«Ma è davvero lui?», si chiedevano i giornalisti assiepati contro le transenne di fronte al Monastero di San Michele. Mentre Joe Biden usciva dal portone carta da zucchero fianco a fianco con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky gli obiettivi delle macchine fotografiche scattavano raffiche nel tentativo di immortalare al meglio quel momento storico.

Perché il presidente statunitense che visita Kiev a sorpresa a quattro giorni dall’anniversario della guerra in Ucraina è un evento di enorme portata. In primis per il significato simbolico della sua stessa presenza nella capitale di un Paese in guerra contro il nemico storico della Guerra fredda. In secondo luogo perché, come è evidente, dal Cremlino avrebbero anche potuto colpire.

In via del tutto ipotetica perché, come ha poi rivelato il Consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan: «Mosca era stata avvisata diverse ore prima» dell’arrivo di Biden. Anche perché, in teoria, Biden sarebbe dovuto arrivare a Varsavia stamattina per una visita di due giorni e i funzionari della Casa bianca avevano ripetutamente negato che vi fosse la possibilità che il presidente si recasse anche in Ucraina. Fino a pubblicare, domenica sera, una sorta di tabella di marcia che mostrava Biden ancora al lavoro a Washington durante la giornata di ieri e in partenza per Varsavia in serata, quando in realtà si trovava già a un oceano di distanza.

Tuttavia, a Kiev, dalle prime luci dell’alba di lunedì era chiaro che stesse per accadere qualcosa di particolare. Il viale Khreschatyk, che taglia tutto il centro passando per piazza Maidan era particolarmente sorvegliato, squadre di militari e poliziotti a presidiare gli angoli delle strade e diverse pattuglie di ronda.

Alla fine della salita che termina su uno dei luoghi simbolo di Kiev, la piana che da un lato è dominata dalla cattedrale di Santa Sofia e dall’altra dal monastero di San Michele, posti di blocco e decine di militari. Al mattino presto l’accesso a quest’area era negato e a circa duecento metri dall’ingresso al monastero erano state posizionate delle transenne con dei militari armati di guardia.

A metà mattinata, dopo un volo notturno sull’Air force one e circa 10 ore in treno (più un probabile tragitto in elicottero, ma su questo non ci sono conferme), l’ottantunenne Joe Biden è sceso di fronte all’ingresso del monastero di San Michele e ha salutato Volodymyr Zelensky e la first lady, Olena, con calorose strette di mano e sorrisi.

Poco dopo i due capi di stato sono usciti in strada, senza giubbotti antiproiettili ed elmetti, e hanno camminato per poche decine di metri fino al «muro del ricordo» che ricopre tutto un lato delle mura di San Michele e sul quale sono affisse le fotografie e i nomi dei militari ucraini caduti nella guerra contro i separatisti in Donbass dal 2014. In quei pochi minuti l’allarme anti-aereo è risuonato nei cieli di Kiev ma non c’è stato alcun visibile cambiamento nel programma.

Durante la conferenza a margine dell’incontro il presidente statunitense non ha mancato di elogiare il coraggio della resistenza ucraina e di attaccare la Russia di Putin che «ci voleva divisa e sconfitta» e invece ora «ci vede più uniti che mai e determinati a combattere». Biden ha raccontato dei suoi timori di non poter più tornare in una «Kiev libera e democratica» dopo il 24 febbraio dell’anno scorso.

Ha promesso un nuovo pacchetto di armi all’Ucraina, compresi missili a più lungo raggio per gli Himars e il sistema di contraerea Patriot, oltre a un nuovo pacchetto di aiuti economici per garantire «il funzionamento minimo dello stato», si parla di circa 18 miliardi di dollari.

Ha evocato anche le sanzioni economiche alla Russia, che saranno inasprite, e ha ribadito il suo supporto all’Ucraina fino alla fine. Zelensky dal canto suo non ha menzionato gli F-16, contrariamente da quanto accade in ogni occasione pubblica, e si è mostrato molto sorridente, quasi emozionato. È chiaro che questa giornata per il suo governo e per lui nello specifico rappresenta una vittoria diplomatica e una garanzia per i prossimi mesi.

Diversi analisti hanno interpretato la visita di Biden come la più grande prova di forza dell’amministrazione Usa nei confronti del Cremlino dall’inizio della guerra. Difatti, le reazioni russe sono state tutt’altro che pacate. Oltre ad accusare Washington di aver finalmente «gettato la maschera» e aver «mostrato al mondo chi è che sta muovendo i fili del governo nazista di Kiev», Biden stesso è stato accusato di essere «come Hitler» che durante la “Campagna di Russia” si era recato in visita ai territori dell’Urss temporaneamente occupati dalle forze dell’Asse.

In molti hanno parlato di aperta provocazione e neanche gli insulti di «demenza senile» per capo di stato sono mancati. Il tutto mentre il capo della diplomazia cinese, Wang Yi, era in visita a Mosca per «promuovere le relazioni con la Russia e tentare di mediare per la pace». O, come dicono da Washington, per parlare di forniture di armi all’esercito russo.

Oggi anche la premier italiana Giorgia Meloni sarà a Kiev per ribadire il supporto del suo governo alla causa ucraina e il saldo posizionamento atlantico di Roma, sferzato negli ultimi giorni dalle ultime dichiarazioni dell’ex-premier Berlusconi e dai problemi che alcuni colleghi giornalisti stanno avendo con le autorità locali.

SABATO ANGIERI

da il manifesto.it

foto: screenshot tv