La sfida di Biden per l’unità e la democrazia

Il discorso di Biden. La politica dei politici riprende il comando, ma con la consapevolezza che la storia di Trump e di quello che ha rappresentato non è finita. Decisivi i primi cento giorni

Un discorso di verità, quello di Joseph Robinette Biden Jr, 46mo presidente degli Stati Uniti. La verità nella comunicazione con il popolo americano, contro le bugie e le manipolazioni del potere: il tratto distintivo dell’amministrazione di Donald Trump.

Assente e mai citato per nome. La verità sulla gravità del passaggio epocale che attraversa l’America, messa duramente alla prova, da tante sfide contemporanee, ciascuna delle quali in altri tempi avrebbe occupato l’intera agenda presidenziale. Le “ineguaglianze e il razzismo sistemico”. La “crisi del clima”. I 400.000 morti per una pandemia che ancora galoppa rabbiosa. Sono più dei caduti americani nella seconda guerra mondiale, dice il nuovo presidente.

Un discorso sulla democrazia, una conquista da non assumere per scontata. La democrazia americana ha dimostrato la sua fragilità, messa a rischio da una «guerra incivile». «Questa è la giornata dell’America, della democrazia, della storia, della speranza, la democrazia ha prevalso», dice Joe Biden.

Parole che suonerebbero insopportabilmente retoriche ma solo dimenticando il momento vissuto dall’America, il giorno dell’Epifania, proprio nello stesso luogo in cui avviene il giuramento. Le immagini dell’Inauguration Day non possono non essere messe in contrasto con quelle dei fanatici guidati da Jake Angeli solo due settimane fa. Con il West Front di Capitol hill preso d’assalto dagli squadristi lanciati contro il parlamento dal presidente eversore. Un atto di terrorismo. Terrorismo interno. Il terrorismo del suprematismo bianco guifdato dallo stesso commander-in-chief che ha tenuto le redini dell’America per quattro anni. E che lasciando la Casa Bianca avverte che tornerà in some form, in qualche forma, in qualche modo.

Sentire Biden, vederlo sul podio, lui presidente, non Trump, è un sollievo. Sembra il presidente che ci vuole adesso, politico vecchia scuola e di lungo corso, esperto e dunque rassicurante in una fase così convulsa, il democratico che viene dalla tradizione della grande tenda, con il culto dell’unità e dell’inclusione. Il contrasto col tycoon di Manhattan non potrebbe essere più forte in questa giornata destinata a finire nei libri di storia, non per merito del principale protagonista, un politico che sembrava non avesse neppure la forza di vincere le primarie democratiche. Per merito di circostanze che solo qualche anno fa sarebbero state considerate pura fantapolitica.

Senza Trump alla cerimonia, è ancora più evidente e palpabile il clima di una Washington che riprende in mano le redini del potere cedute a un sovversivo, votato ed eletto, e rivotato la seconda volta da 75 milioni di americani. Nella fredda e pulita giornata sulla scalinata invasa due settimane fa dai suprematisti, c’è un clima umano sobrio, moderatamente lieto, ravvivato dal rosso di Lady Gaga. Sono presenti gli ex-presidenti e le ex first ladies, i massimi esponenti del Congresso, c’è il mondo che Trump ha avversato con veemenza – la palude da prosciugare – e che ora è costretto a osservare dal televisore del suo resort in Florida. Ma è anche l’America delle diversità che ritrova il suo posto centrale da cui la volevano scalzare il suprematismo bianco e il suo commander-in-chief. Il giuramento della prima vicepresidente di colore, Kamala Harris, di fronte alla prima giudice latina della corte suprema, Sonia Sotomayor, è l’immagine simbolo del ritorno dell’America multi. La politica dei politici riprende dunque il comando, ma, si direbbe, con la consapevolezza che la storia di Trump e di quello che ha rappresentato non è finita.

Il primo a esserne consapevole è Biden: «Lo so, parlare di unità può sembrare una folle fantasia in questi giorni. So che le forze che ci dividono sono profonde e reali. E so anche che non sono una novità. Ma l’unità è l’unica strada per andare avanti». «Chiedo a tutti gli americani di aiutarmi nell’unire il Paese. Metterò tutta la mia anima per riunire la nazione, gli Usa hanno molto da fare in questo inverno di pericolo, molto da riparare e da risanare. profonde e reali. E so anche che non sono una novità. Ma l’unità è l’unica strada per andare avanti».

Voltare pagina, compito arduo, da iniziare immediatamente, con atti concreti. Che segnalino sia la rottura con i quattro anni di incubo lasciati alle spalle sia il nuovo inizio. Appena preso possesso dello studio ovale, opportunamente disinfettato dal virus e dal ricordo dell’ultimo inquilino, Biden firma una serie di ordini esecutivi, di direttive alle diverse agenzie, che smantellano i punti salienti l’eredità del predecessore. Mai era successo prima in questi termini e in tempi così rapidi. Un tratto di penna ferma la costruzione del muro di confine, l’opera simbolo del trumpismo, un altro cancella il bando alla restrizione degli ingressi e dei visti per i viaggiatori provenienti dai paesi islamici. Biden è deciso ad azzerare le politiche di Trump in tema ambientale, come il ritiro da accordi internazionali sul clima, l’uscita dall’Organizzazione mondiale della sanità, dove sarà il dottor Anthony Fauci a guidare la delegazione americana. Sarà resa obbligatoria la mascherina nelle aree di competenza federale. Sarà nominato un coordinatore per la distribuzione dei vaccini.

Ogni giorno di gennaio, dopo quello dell’inaugurazione, sarà occupato da un tema specifico che richiede un pronto intervento. Tra questi di grande rilievo l’eliminazione progressiva delle carceri gestite da privati, il ripristino del consiglio presidenziale di esperti su scienza e tecnologia, la cancellazione della cosiddetta Mexico City Policy che blocca i fondi federali destinati alle ong impegnate nelle interruzioni di gravidanza per le meno abbienti, e poi l’immediato ricongiungimento delle famiglie di immigrati illegali divise dalla precedente amministrazione.

Cento giorni al galoppo, con un Congresso amico, ma solo in una delle due camere. Al senato la maggioranza c’è, ma sul filo del rasoio. Quando l’agenda di Biden dovrà andare oltre le firma di decreti presidenziali e confrontarsi con il senato, non sarà facile. Una parte dei parlamentari repubblicani resta legata al presidente uscente. La sua sorte peserà sul percorso di Biden. I prossimi cento giorni saranno cruciali anche per capire se il procedimento d’impeachment potrà davvero toglierlo di mezzo una volta per tutte. O se ne farà l’eroe dei suoi purtroppo ancora numerosi sostenitori.

GUIDO MOLTEDO

da il manifesto.it

foto: screenshot

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