La disoccupazione universale

I dati dell’Istat sono incontestabili: sono fatti, quindi hanno la testa dura. E i dati del nostro Istituto nazionale di statistica ci dicono che il dramma della disoccupazione è...

I dati dell’Istat sono incontestabili: sono fatti, quindi hanno la testa dura. E i dati del nostro Istituto nazionale di statistica ci dicono che il dramma della disoccupazione è fluido e interessa tutte e tutti, indipendentemente dalla nazionalità. Ma questa indipendenza, questo abbracciare con una eguaglianza al contrario chiunque si trovi nella condizione del non-lavoro, si ferma qui: infatti, per i disoccupati italiani la situazione è paradossalmente migliore di quella che si registra per i disoccupati che si trovano in Italia ma che arrivano da altri paesi.

Se per noi autoctoni la mancanza di occupazione cresce o diminuisce a seconda delle dichiarazioni saturniane di Matteo Renzi, per gli “stranieri” (brutta parola, o meglio è una parola che è divenuta orrenda col passare degli anni intrisi di razzismo a buone mani…) è raddoppiata nell’anno che va dal 2014 al corrente 2015.
I non-italiani sono l’8,6% della popolazione e tra loro vanno distinti quelli che sono arrivati anche da poco in Italia da quelli che sono naturalizzati italiani. A questi ultimi non mancano le difficoltà per trovare un lavoro, ma i più penalizzati sono sempre coloro che si trovano nella condizione precisa di non potersi dire nemmeno lontanamente parenti di qualche italica gens e, pertanto, nell’essere “stranieri” totali trovano il primo grande ostacolo. Anzi, a leggere i dati dell’Istat, si tratta proprio dell’ostacolo principale all’accesso al mondo del lavoro.
Quindi i numeri smentiscono Salvini e tutti i profeti che vanno predicando la sottrazione dell’occupazione da parte degli “stranieri”.

Non sono mai stati loro a toglierci il lavoro, bensì politiche economiche ed industriali volte all’accumulazione di profitti sempre maggiori con sempre minori garanzie, politiche concertative basate sulla fine del posto fisso e l’introduzione del precariato a vita, ma tant’è pur non avendo mai fatto nulla questi “stranieri” per toglierci il lavoro, sono ancora oggi loro – secondo sondaggi e percezioni comunque di strada, comuni e quotidiane – la causa che viene individuata come elemento di crisi sociale, come fonte di destabilizzazione economica.
E’ un po’ come la storiella del debito pubblico causato dalla troppa spesa sociale piuttosto che dai prestiti di denaro dalle banche private a quelle pubbliche. Per salvare il fetido onore di questi speculatori, si fa ricorso di volta in volta al pretesto più evidente che si possa trovare e lo si difende come elemento di verità pressoché assoluta, incontestabile.

La lezione che i dati dell’Istat ci consegnano è un crudo dato oggettivo non solo numerico o matematico, ma sociale, politico, economico e anche culturale: i fenomeni creati dalle dinamiche del mercato, dai flussi di capitali che vengono spostati da continente a continente, danno vita ad altrettanti effetti che si riversano indiscriminatamente su tutte e su tutti, senza alcuna selezione di sorta.
Le crisi economiche sono globali e, parimenti, sono globali anche le ricadute che mettono in campo. Per questo non si può pensare ad una politica di intervento sulla disoccupazione pensata solo per gli italiani e che escluda chi proviene da altri paesi.
Ad una crisi economica e del mondo del lavoro con riflessi universali e globali si risponde con interventi strutturali che rimettano in discussione quella retrocessione dei diritti di tutti che oggi sono, invece, ancora oggetto di settorializzazione, divisione e, quindi, fonte di discriminazione conseguente.

I governi, come quello di Matteo Renzi, non potranno mai, da convinti maggiordomi del liberismo più sfrenato, operare in questo senso. Tocca alle forze di sinistra veramente alternative, a quelle più ancora radicali in questi propositi, a quelle quindi che si riconoscono nella trasformazione sociale, quindi ai comunisti, lavorare anche e soprattutto sul fronte del “non-lavoro”, della disoccupazione come elemento non estraneo ma perfettamente e drammaticamente inserito nella gestione padronale della crisi.

Smontare le tesi del benessere sociale derivante dalla devastazione antisociale di questi anni e i falsi miti della ripresa economica sbandierata da Renzi: sono questi i primi dovuti passi che occorre fare per determinare il crollo di falsi miti e dei falsi dei del liberismo finanziario, di grandi gruppi di concentrazione del potere.
Ma per fare tutto questo serve una unità di azione che è soprattutto unità politica. E, ad oggi, ancora è ben poco visibile il cammino da percorrere in tal senso.

MARCO SFERINI

29 dicembre 2015

foto tratta da Pixabay

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