Kiev e le grandi città resistono, l’operazione non sarà lampo

Crisi ucraina. Reportage dalla capitale. A Mariupol si combatte da due giorni, duri scontri a Kharkiv. E Odessa non è stata ancora espugnata

È sera quando l’ennesima sirena risuona in uno dei pochi hotel di Kiev rimasti aperti. All’ingresso la porta girevole è bloccata e davanti alle vetrate sono montate delle assi di legno a protezione dell’interno. Non si entra dalla strada ma dal garage che è stato adibito anche a rifugio antiaereo. Alcune famiglie vi si sono trasferite temporaneamente e hanno sistemato i materassi su dei pallet rimediati da un’«associazione umanitaria internazionale» che non vuole rivelare il suo nome.

Ci sono tavoli, sedie, bollitori elettrici e qualche scatola con biscotti e merendine per i bambini. È sempre impressionante scoprire come le persone, in contesti disperati, si adattino subito a qualsiasi sistemazione, anche alla più scomoda, in nome dell’attaccamento alla vita. Alcuni già si muovono con gesti consumati, prendono la tazza sulla sedia che fa da comodino, spostano i vestiti su un altro appoggio, indossano le ciabatte. Se non fosse per i volti terrei e le parole dette piano sembrerebbe quasi che quegli oggetti siano stati sempre lì.

E invece ci sono solo da due giorni, da quando l’esercito russo ha iniziato le operazioni militari in territorio ucraino. I negozi ormai sono tutti chiusi, l’autista che mi accompagna per un breve tratto racconta che «in città sono rimaste in funzione solo sei farmacie, io stamattina non sono riuscito a trovarne una aperta». L’ultimo dei suoi amici che ha lasciato la città l’ha fatto stanotte, gli altri hanno deciso di restare. E tu? «Io non penso che sia furbo muoversi adesso, troppi rischi in giro». Infatti si rifiuta di condurci, me e gli altri passeggeri, in giro per la città. Troppo pericoloso, dice, senza lasciare adito ad alcuna insistenza.

Già, perché a Kiev, la situazione è soprattutto confusa. Da due giorni si sentono i bombardamenti, la scorsa notte alle quattro e mezza un potente boato ha risvegliato tutti in città. Qualche ora dopo siamo venuti a sapere che si trattava di un palazzo colpito dai resti di un aereo abbattuto dalla contraerea ucraina. Però, tranne che nelle zone più esterne, o in quelle periferiche, le bombe non sono ancora cadute.

Forse i generali russi (o Putin stesso) hanno capito che la condanna del mondo sarà duratura e non vogliono amplificare la narrazione dell’aggressore russo malvagio evitando di colpire i civili. O forse perché ci sono altri piani.

Per tutto il giorno si è parlato di scontri a nord della capitale ucraina. L’area più pericolosa ora è a nord-ovest di Kiev, nella zona di Dymer-Ivankiv, ha affermato il consigliere del capo dell’ufficio presidenziale Arestovich. Sempre secondo questa fonte i combattimenti sono in corso dalle prime ore del giorno alla periferia di Gostomel, Vorzel e Bucha. Le unità meccanizzate ucraine avrebbero stabilito in prossimità di quelle zone una «potente barriera» e avrebbero distrutto «almeno una colonna di equipaggiamento militare» con l’impiego di lanciarazzi Javelin. Gli stessi che il governo chiedeva a gran voce prima dell’inizio del conflitto ai propri partner dell’area Occidentale.

Anche perché, mentre il sole tramonta e riprendono i rumori dei bombardamenti, risulta ormai evidente che la previsione delle «48 ore per entrare a Kiev è stata un po’ troppo ottimistica». Nelle grandi città gli scontri proseguono e tranne Sumy e, secondo fonti ufficiose, Cherson, le grandi città ucraine non sono ancora cadute. E non è detto che lo facciano.

A Kharkiv si combatte aspramente, verso le 17 si vociferava di un’avanzata russa bloccata all’altezza della tangenziale e, poco dopo, si è diffusa la notizia di una grande esplosione. Poco più a nord, invece, la zona di Sumy, che comprende una cittadina di 250 mila abitanti, è caduta. Cherson, fondamentale per la presenza della diga che rifornisce di acqua la Crimea, è stata occupata dopo intensi combattimenti e sembra che ora sia saldamente in mano russa.

Tuttavia, nell’area orientale, la città che sta pagando il prezzo più alto è sicuramente Mariupol. Qui si combatte da due giorni e alle 19 circa il Pentagono ha diramato la notizia che fosse in atto un’invasione via mare per mezzo di truppe anfibie. Al momento non si hanno certezze, ma è chiaro che il porto sul Mare d’Azov è un fondamentale obiettivo strategico e nessuno dei due eserciti si rassegnerà facilmente.

I russi ne hanno bisogno innanzitutto per completare la fantomatica «unità territoriale» della neonata repubblica separatista di Donetsk e, inoltre, per creare quel corridoio che dal Donbass e dalla provincia di Rostov sul Don, congiunga alla penisola della Crimea.

In altri termini, l’annunciato sfondamento della vecchia linea del fronte, quella tra i territori ribelli e gli altri oblast dell’Ucraina prima di lunedì scorso, non c’è stata. Persino Kramatorsk, a pochi km da Donetsk, è ancora sotto il controllo di Kiev. Gli ucraini stanno resistendo e le battaglie si fanno sanguinose. Di conseguenza aumenta anche il numero dei morti e si diffonde sempre più l’ipotesi che i russi stiano perdendo molti più uomini dei loro avversari. Dnipro, ad esempio, finora ha resistito e neanche Odessa è stata ancora espugnata.

Anzi, sembra che i piani per quest’ultima dipendano direttamente dalle operazioni sul fronte di Kiev. A quanto pare i russi stanno concentrando i propri sforzi per espugnare la capitale e in rada fuori Odessa sarebbero appostate delle navi da guerra pronte a intervenire in caso si decidesse per un cambio di strategia.

Sia che Putin volesse espugnare Kiev per far cadere il governo e insediare al suo posto un esecutivo fantoccio direttamente dipendente da Mosca, sia che si trattasse di un’operazione simbolica per dimostrare agli ucraini la loro vulnerabilità di fronte al vicino gigante, al momento nessuno di questi scenari si è avverato. Dopo il tramonto il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha diffuso un video nel quale cammina per le strade di Kiev circondato dal suo staff. Nel filmato Zelensky invita ancora una volta gli ucraini a combattere e a non abbandonare la difesa della capitale, “perché la vittoria è possibile”.

Mentre scrivo le ultime righe si sentono distintamente i colpi di mortaio, probabilmente da parte delle batterie di difesa ucraina. L’obiettivo è quello di impedire ai russi di entrare nella zona vicino ai palazzi del potere che, ad oggi, sono blindate. Del resto in nessuna strada è rimasta gente, i passanti sono rari e, tranne i giornalisti, la maggior parte degli uomini sono armati, molti a volto coperto.

La notizia che sta creando più apprensione è la presenza di sabotatori russi sotto mentite spoglie che stanno provando ad infiltrarsi in città. Sembra che l’obiettivo di questi piccoli gruppi di agenti speciali sia quello di compiere azioni mirate, forse di colpire direttamente singoli individui. Il ministero della difesa ucraino stamane ha dichiarato che una squadriglia di russi entrati da sud è stata catturata prima di entrare in città. Avevano uniformi ucraine e guidavano una jeep dell’esercito di Kiev.

In questo caso il problema principale sarebbe determinato dalla struttura stessa delle difese della città. Abbiamo parlato più volte dei gruppi di difesa territoriale e dei battaglioni di volontari. Si tratta di squadre informali, spesso autorganizzate anche se tenute sotto l’egida dell’esercito locale. Il problema è che non esistono ranghi, registri, controlli. L’ingresso di infiltrati in questi gruppi porterebbe enorme scompiglio e si potrebbe verificare, almeno in alcuni distretti (soprattutto quelli vicini ai palazzi governativi), lo scenario di scontri casa per casa si fa più plausibile.

SABATO ANGIERI

da il manifesto.it

foto: screenshot

categorie
Guerre e pace

altri articoli