Jobs Act, aumentano i licenziamenti, giù i contratti stabili

Inps. +30% licenziamenti disciplinari nelle aziende over 15. Con il taglio degli sgravi, -12% contratti a tempo indeterminato. 284 mila contratti a tempo determinato e 35 mila contratti di apprendistato «trainano» l’occupazione a gennaio-febbraio 2017. 10 milioni e 526 mila voucher venduti in un anno fino al 17 marzo, giorno in cui il governo Gentiloni ha abolito con un decreto i «buoni lavoro»

Aumentano i licenziamenti disciplinari nelle aziende con più di 15 dipendenti. Con il taglio degli sgravi contributivi alle imprese per i neo-assunti crollano le assunzioni a tempo indeterminato. I pochi assunti trovano in busta paga un regalo: le retribuzioni inferiori a 1.500 euro sono più basse di quelle, già basse, dei colleghi già assunti. Sono le conseguenze del Jobs Act di Renzi e del Pd riassunte dall’osservatorio sul precariato dell’Inps che ieri ha pubblicato i dati di febbraio 2017.

La cancellazione dell’articolo 18; l’imposizione del contratto a tutele crescenti – dove a crescere è la libertà dell’impresa a licenziare; il regalo di stato alle imprese pari a 11 miliardi di euro in tre anni; il taglio dei salari per il lavoro dipendente nel privato, ovvero i pilastri della dissennata politica dei bonus imposta da Renzi ha portato alla seguente situazione. Nei primi due mesi del 2017 i licenziamenti disciplinari sono aumentati del 30% rispetto ai primi due mesi del 2016: oggi sono 5.437, ieri erano 4.111. E salgono del 64,9% se si considera il periodo analogo del 2015 quando il Jobs act non era ancora in vigore. Questo significa che la «riforma» approvata dal Pd ha aumentato i licenziamenti grazie all’abolizione dell’articolo 18 che ha di fatto cancellato il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo per i lavoratori assunti da marzo 2015 nelle aziende con oltre 15 addetti.

L’altro totem renziano è l’aumento delle assunzioni a tempo indeterminato. Una bufala. Tagliati i costosissimi sgravi, la crescita si riduce drasticamente. Nei primi due mesi del 2017 del 13% rispetto a quelli del 2016 con un saldo positivo tra assunzioni e cessazioni di soli 18 mila contratti, la metà di quelli del 2016 e il 15 per cento di quelli dei primi due mesi del 2015. Senza i soldi pubblici le imprese italiane non assumono. La politica dei bonus ha spostato un’immensa quantità di denaro pubblico nelle tasche dei capitalisti, senza peraltro risultati significativi.

Al confronto su Sky con gli altri candidati alle primarie Pd Renzi ha rilanciato anche il dato grezzo sugli oltre 700 mila assunti con il Jobs Act. I dati Inps raccontano un’altra realtà, quella della dinamica del mercato del lavoro che non può essere rappresentata con una somma, ma con un saldo tra assunzioni e cessazioni dei contratti. Il valore va misurato su base annua, e non con la somma del biennio come fa invece Renzi. Per l’Inps il saldo dei primi due mesi del 2017 risulta positivo: +352 mila. Ma bisogna guardare le tipologie dei contratti contenuti in questa cifra. Ci sono i contratti a tempo indeterminato (+33 mila), ma la crescita è trainata dai contratti di apprendistato (+35 mila) e dai contratti a tempo determinato (+284 mila inclusi i contratti stagionali). Questo significa che il Jobs Act, tanto sbandierato, è un altro modo per produrre precarietà per legge.

Oltre alla riduzione dei salari: 31,8% contro il 35,8% rispetto a gennaio-febbraio 2016 ci sono gli immancabili dati sui voucher che hanno continuato a macinare record su record anche a marzo 2017. Tra il 1 marzo e il 17, data di entrata in vigore del decreto che li ha aboliti (con la possibilità di usare quelli acquistati fino a fine anno) sono stati venduti 10.526.569 voucher in linea con l’intero mese di marzo 2016 (10.922.770). Il presidente dell’Inps Tito Boeri chiede un rilancio degli sgravi alle imprese, anche in mancanza di una domanda di lavoro. «Mi chiedo se non valga la pena di mantenere in piedi forme di decontribuzione per i giovani, con lo Stato che paga per loro i contributi» sostiene. Una forma simile è comunque presente per gli under 35 del Sud. Più critica la Cgil con Tania Scacchetti, segretaria confederale: «Il fallimento del Jobs Act è sotto gli occhi di tutti. Sgravi contributivi a pioggia per le imprese e riduzione delle tutele per i lavoratori non hanno rappresentato la strada giusta».

«Il Jobs act è stata una scelta sbagliata» sostiene Francesco Laforgia, capogruppo alla Camera degli scissionisti del Pd – Articolo 1-Mdp. Sul tavolo mettono il ripristino dell’articolo 18 e chiedono di calendarizzare una proposta di legge. L’iniziativa resta nel campo del Pd renziano e del governo Gentiloni che ha abolito i voucher con un decreto per impedire il referendum Cgil. La richiesta di una revisione dell’altro totem renziano è giunta anche dal segretario confederale della Uil Guglielmo Loy che denuncia anche l’aumento del 431% nei licenziamenti da esodo incentivato, cambio di appalto o interruzione di rapporti di lavoro nel settore edile.
«Il Jobs Act è dipendente soltanto dagli sgravi contributivi – afferma Renato Brunetta (Forza Italia) – Una strategia sbagliata che ora si vuole ripetere con sgravi per giovani e donne, di vago stampo elettorale». «I dati dell’Inps confermano le nostre paure. Gli unici effetti del Jobs Act sono precariato e licenziamenti» sostengono i portavoce M5S delle commissioni lavoro Camera e Senato.

ROBERTO CICCARELLI

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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