Ilva, accordo Mittal-governo ma l’addio è solo rimandato

Acciaio Precario. Indiani potranno andarsene a novembre pagando 500 milioni. Piano totalmente opaco. Piena occupazione promessa solo nel 2025, entro maggio serve patto su estensione Cigs

L’accordo c’è ma pare sempre un addio, seppur rimandato. Si è conclusa ieri mattina in uno studio legale di Milano la querelle giudiziaria fra Mittal e il governo italiano. Lì l’ad Lucia Morselli e i commissari di Ilva in amministrazione straordinaria hanno sottoscritto la modifica del contratto di affitto e acquisizione per rinnovare il polo siderurgico con base a Taranto e la cancellazione della causa civile avviata sempre a Milano.

La situazione, rispetto a quel 4 novembre quando il gigante indiano esplicitò la volontà di lasciare l’Italia, non è comunque mutata di molto. Ci sono voluti mesi e tre rinvii al tribunale civile di Milano per giungere ad un testo che è ottimo per Mittal e che il governo ha dovuto accettare dopo aver litigato al suo interno e mai discusso con i sindacati.

E’ infatti confermato che Arcelor Mittal potrà andarsene: «Nel caso in cui l’accordo di investimento non fosse eseguito entro il 30 novembre 2020, Am InvestCo (il nome della cordata ora totalmente di Mittal, ndr) ha un diritto di recesso, soggetto a un pagamento concordato». La cifra è messa nero su bianco: «a pena di inefficacia dell’esercizio del diritto di recesso», Am InvestCo dovrà versare ad Ilva «una caparra penitenziale di 500 milioni di euro».

La preoccupazione dei lavoratori e dei sindacati è legata al fatto che nell’accordo Arcelor Mittal si impegna «ad impiegare» solo alla fine del nuovo piano industriale «2020-2025» «il numero complessivo di 10.700 dipendenti». Si tratta quindi di un allungamento di due anni rispetto all’accordo precedente firmato coi sindacati nel settembre 2018.

Nel frattempo però si indica il «31 maggio 2020» come termine per trovare un accordo con i rappresentanti dei lavoratori per utilizzare la Cassa integrazione straordinaria fino al raggiungimento della «piena capacità produttiva». Le parti si impegnano poi a favorire la ricollocazione dei dipendenti rimasti all’amministrazione straordinaria, più di 1.800 addetti, senza lavoro già da due anni.

La nuova compagine azionaria è basata sull’entrata dello Stato in AmInvestCo Italy spa fino al 49% di capitale sociale tramite la conversione da parte delle banche – in primis Intesa Sanpaolo e Banco Bpm – dei crediti e l’intervento diretto di Invitalia, guidata dall’inamovile Domenico Arcuri.

Quanto ai forni aperti a Taranto, Arcelor Mittal e i commissari ex-Ilva hanno concordato di sostenere nella misura del 50% ciascuna i costi «per l’attuazione delle prescrizioni ancora non adempiute relative all’altoforno 2, entro il termine previsto dall’ordinanza del Tribunale del Riesame», fissata per marzo 2021.

Il nuovo piano industriale concordato fra le parti, come già anticipato, è fondato sulla riduzione del 30% dell’uso del carbone, il rifacimento degli impianti, l’adozione di tecnologie produttive rispettose dell’ambiente – come il forno elettrico e l’utilizzo del preridotto – e in prospettiva l’uso di idrogeno. È proiettato verso una produzione a regime a 8 milioni di tonnellate, superiore ai 6 milioni del 2018 e ai 4,7 del 2019 ma nettamente inferiore alle previsioni del piano industriale iniziale che puntava a superare i 10 milioni annui.

Il commento dei sindacati all’accordo da cui sono stati esclusi – solo lunedì il ministro Stefano Patuanelli li ha incontrati in modo informale annunciando l’accordo ma senza illustrarlo – è arrivato subito dopo la firma con una nota unitaria sottoscritta sia dai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil – Landini, Furlan e Barbagallo – che dagli omologhi dei metalmeccanici Fiom, Fim e Uilm, dal tono molto duro: «Riteniamo assolutamente non chiara la strategia del governo in merito al risanamento ambientale, alle prospettive industriali e occupazionali del gruppo. A questa incertezza si somma una totale incognita sulla volontà dei soggetti investitori, a partire da Arcelor Mittal, riguardo il loro impegno finanziario nella nuova compagine societaria che costituirà la nuova AmInvestCo». Il comunicato poi sottolinea la «totale indeterminazione» del «periodo di tempo senza una governance chiara, il ruolo delle banche e dell’investitore pubblico, il mix produttivo tra ciclo integrale e forni elettrici, il ruolo conseguente delle due società, la possibilità con questo piano di occupare i 10.700 lavoratori più i 1.800 in amministrazione straordinaria e i lavoratori delle aziende di appalto, che l’accordo del 6 settembre 2018 assicurava».

Durissimi i sindacati: «Ci hanno escluso totalmente, non ci presteremo a firmare esuberi senza poter discutere di produzioni e ambiente, poco chiaro il ruolo di banche e pubblico».

«Non possiamo essere chiamati a comando per discutere gli esuberi e non possono pensare che il ruolo del sindacato sia quello di un ente certificatore. Quindi, per quanto ci riguarda, o la trattativa è sull’insieme del piano industrialo o la vedo molto complicata – ragiona la segretaria generale della Fiom Francesca Re David – . Noi vogliamo fare la discussione che fino ad oggi non c’è stata sul come si da garanzia alla permanenza della siderurgia nel nostro paese, al mantenimento dell’occupazione e all’ambiente».

«L’accordo – le dà man forte Rocco Palombella della Uilm – risolve solamente il contenzioso legale ma non dà risposte sui nodi principali della drammatica vicenda degli stabilimenti del gruppo. L’intesa è una separazione consensuale, frutto esclusivamente del lavoro dei legali delle due parti che hanno prodotto questo grande e articolato compromesso».

Da Taranto invece arriva una denuncia molto forte da parte dell’associazione Peacelink, da sempre in prima linea sul fronte ambientale. «Il governo, nel suo tentativo di evitare l’implosione dell’Ilva, gioca la sua ultima carta, quella che potremmo definire la carta della disperazione: l’accordo di oggi prefigura una nuova Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia) che sarà protratta fino al 2025. Come farà il governo a dimostrare che da qui in poi non vi saranno vittime in questo prolungarsi del percorso di messa a norma degli impianti?», attacca il presidente di Peacelink Alessandro Marescotti.

Grande preoccupazione e grandi critiche arrivano anche da Genova, dove a Cornigliano i dipendenti sono oltre mille ma 280 non sono ancora stati riassunti. «Governo e Mittal volevano entrambi uscire dalla causa legale e questo era il loro principale interesse, mentre del futuro dell’industria e dei lavoratori coinvolti gli interessa poco o niente – commenta il segretario genovese della Fiom Bruno Manganaro – . Mittal si è garantita le condizioni del suo abbandono della ex Ilva e il governo, dietro fumosi piani industriali green, prende tempo per superare le prossime scadenze elettorali locali e fare propaganda sul futuro, con la polpetta avvelenata dell’accordo da firmare entro maggio che vogliono propinare ai lavoratori. Non siamo disponibili a questo loro gioco e difenderemo la piena occupazione respingendo qualsiasi idea di cassa integrazione – aggiunge Manganaro – se necessario lotteremo perché il veleno firmato oggi a Milano non contagi i lavoratori».

MASSIMO FRANCHI

da il manifesto.it

foto: screenshot

categorie
Mondo lavoro

altri articoli