Il caporalato e le agromafie si stanno sempre più estendendo e dai campi stanno arrivando a lambire le industrie alimentari. Gli strumenti utilizzati sono i famigerati appalti e sub appalti illeciti orchestrati da «colletti bianchi» senza scrupoli tramite false cooperative o srl farlocche intestate a compiacenti prestanomi per sfruttare i malcapitati lavoratori del settore.

Questo del «caporalato 2.0», l’evoluzione dell’intermediazione illecita di manodopera, che può essere definita «nuovo caporalato» o «caporalato industriale», è l’elemento più innovativo del VI Rapporto «Agromafie e caporalato» di Flai Cgil e del suo Osservatorio intitolato a Placido Rizzotto.

Un’evoluzione diventata un modello d’organizzazione del lavoro dell’agroalimentare, specie nei macelli che consente a committenti spregiudicati di avvalersi di manodopera a costi bassissimi, in alcuni casi oltre il 40%, con improprie applicazioni contrattuali (logistica e multiservizi per lavorazioni del processo produttivo dell’industria alimentare), con orari e ritmi di lavoro pesantissimi, ma che genera anche imponenti evasioni di Iva, Irap, contributi Inps a danno dello stato.

Le cose non vanno meglio nei campi: nel corso del 2021 sono stati circa 230 mila gli occupati impiegati irregolarmente come braccianti, oltre un quarto del totale degli occupati del settore, in larga parte «concentrata nel lavoro dipendente, che include una fetta consistente degli stranieri non residenti impiegati in agricoltura». Il lavoro agricolo subordinato non regolare è radicato in Puglia, Sicilia, Campania, Calabria e Lazio con tassi di oltre il 40%, ma nel Centro-Nord le percentuali sono tra il 20 e il 30 per cento.

Quasi due quinti delle ore effettivamente lavorate annualmente dai dipendenti agricoli sono irregolari, pari a oltre 300 milioni di ore sul totale di 820 milioni, secondo il rapporto Flai Cgil. Un fenomeno quello del lavoro irregolare nei campi, ha evidenziato in conferenza stampa Jean Renè Bilongo, presidente dell’Osservatorio Placido Rizzoto, «che si mostra in ulteriore crescita rispetto alle 180 mila unità indicate nel rapporto precedente in base a una stima prudenziale».

Intere filiere e cosiddette eccellenze agricole sono dominate da questo sistema irregolare come accertato da molte inchieste della magistratura: nel quinquennio 2017-2021 su un totale di 438 casi di procedimenti e di inchieste avviate per motivi di sfruttamento lavorativo, ben 212 (oltre il 48%) hanno riguardato il solo settore primario.

Il Rapporto non lesina nomi e luoghi di coltivazioni dove il caporalato e l’agricoltura illegale la fa da padrone: a San Giorgio della Richivelda, per la produzione delle barbatelle Valdobbiadene/Conegliano per la produzione del prosecco Amantea per la produzione delle cipolle rosse di Tropea e Cassibile per la produzione di patate/fragole.

Su tutta questa situazione si innesta poi la nuova legge di bilancio con l’estensione dei “buoni lavoro” che potrebbero alimentare nuovamente il sistema. «La liberalizzazione dei voucher è la peggiore risposta che il governo potesse dare. Dobbiamo impedire questa controriforma che destruttura il mondo del lavoro in agricoltura». Così Giovanni Mininni, segretario generale Flai Cgil.

«I cosiddetti voucher sono già previsti per i lavoratori agricoli e sono anche ben normati da anni, con opportunità e giusti vincoli concordati con altri governi per garantire sia le imprese che i lavoratori mentre oggi si vogliono estendere anche a chi è iscritto agli elenchi anagrafici. E questo significa una destrutturazione del mondo del lavoro in agricoltura. E siccome i redditi agricoli sono molto bassi vuol dire anche che dal primo gennaio sarà permesso che il contratto non sia più applicato», commenta. Un provvedimento, dunque, «di una »gravità enorme« considerato anche che »la liberalizzazione dei voucher avviene in una delle fasi più problematiche e incerte dal secondo dopoguerra», conclude Mininni.

MASSIMO FRANCHI

da il manifesto.it

Particolare della foto di Jai79 da Pixabay