Ancora alcune domande per la sinistra comunista

Si tratta sempre di “ripartire” ormai quando si parla di una prova di unità a sinistra e quando, soprattutto, si fa cenno alla possibilità di un ritorno al dialogo...

Si tratta sempre di “ripartire” ormai quando si parla di una prova di unità a sinistra e quando, soprattutto, si fa cenno alla possibilità di un ritorno al dialogo tra forze che sono paradossalmente lontane nell’essere così vicine sul terreno del bieco ma necessario riformismo quotidiano.

Badate, non si tratta di quel riformismo adottato come ultimo traguardo finale, oltre che come metodo politico contingente, tanto da prefigurare non più un superamento del capitalismo quanto semmai un suo “adattamento” alle situazioni di crisi e quindi un contenimento delle medesime con lo stabilimento della “pace sociale” sempre e comunque.

Occorre oggi di prendere atto che forze culturalmente rivoluzionarie devono, prima d’esserlo ideologicamente, tornare ad esserlo nella praticità “grande e terribile” del giornaliero, della sopravvivenza di un modernissimo classismo che è invisibile ai più, soprattutto tra i lavoratori e gli sfruttati tutti: sono quelli che vengono maggiormente ingannati da una retorica di governo (e di classi dominanti) che parla loro di nemici che non sono tali, di invasioni che non esistono e di una concorrenza quindi sleale sulla mano d’opera, sulla forza-lavoro che, laddove esiste, viene fatta esistere dal padronato che ne trae ovviamente solo un esclusivo vantaggio profittuale e lascia ai poveri che non si riconoscono come tali tutto il tempo e il “privilegio” di scannarsi in nome dell’origine etnica, del colore della pelle, dell’autoctonia o dell’apolidismo.

Pertanto, per primi i comunisti devono oggi prendere in considerazione questo fatto a me personalmente evidente. Ossia che, in assenza di una coscienza rivoluzionaria, in presenza di un adeguamento delle nostre menti, seppur con qualche dettaglio critico e spirito di ribellione, è indotto da un limitrofo narrativo continuo che ci parla di una inadeguatezza non tanto della nostra resistenza organizzativa alla sparizione complessiva di una forza comunista o delle forze della sinistra più genericamente intesa, quanto proprio della specifica utilità che possiamo avere e che, dunque, possiamo rappresentare per il modernissimo proletariato incosciente di questi tempi.

Come recuperare perciò coscienza per noi stessi e di conseguenza rimettere in campo una comunicazione che sia “al passo coi tempi”?

Come dimostrare, non solo a parole, ma nei fatti concreti che le forze di governo mentono quando affermano di essere dalla parte del popolo (intendendo con ciò proprio le classi sociali più deboli, disagiate e sfruttate del Paese)?

Infine, come collegare punti di principio sacrosanti, battaglie anche del passato mai diventate anacronistiche, con un oggi intriso di pressapochismo, di superficialità, di ispirata assenza delle vituperate “ideologie”, quindi non di semplici slogan ma di complesse articolazioni di idee che sviluppavano (e dovrebbero tutt’ora sviluppare) un disegno sociale tanto conservatore (liberale, socialdemocratico) oppure rivoluzionario (comunista, anarchico, libertario di vario genere) della comunità umana in cui viviamo volenti o nolenti?

Sono tutte domande cui non possiamo più sfuggire a lungo e a cui, tuttavia, non è affatto semplice rispondere.

In vista delle elezioni europee di maggio, altro non è possibile fare se non ricercare il massimo di unità organizzativa possibile per costruire una lista che inizi ad essere percepita come una seria alternativa a tutte le proposte politiche in campo: dalle destre classiche a quelle sovraniste, dalle forze di governo populiste alle destre economiche che si ostinano a farsi chiamare “sinistra” o “centrosinistra”.

Ciò significa che il profilo politico deve rifondarsi sul trittico rivoluzionario francese per far rinascere una sinistra che, guardando al comunismo, lo declini in “libertà, uguaglianza, fratellanza” e che metta queste tre parole nei propri programmi senza creare tomi di inutili speculazioni, ma poche e semplici parole per penetrare nei crani vuoti di gran parte della popolazione indigente, di un proletariato che, non avendo coscienza d’essere sfruttato, ha bisogno di essere preso per mano e riportato con la durezza dei fatti davanti ad una realtà che fuoriesca dall’immaginario collettivo che viene costruito quotidianamente sulle basi di un “cattivismo” che persino l’ISTAT inizia a valutare come elemento di statistica quando prova a valutare i mutamenti sociologici di una Italia isterica, imbarbarita e piena di rancore e odio. Ma non verso il padronato, bensì verso il povero, il derelitto che attraversa il mare o il rom del campo che c’è sempre stato accanto a casa tua e che ora ti appare come il nemico dei nemici.foto tratta da

La sinistra comunista non deve archiviare sé stessa, non deve mettere in soffitta simboli o nomi, ma deve utilizzare la sua storia per creare un luogo di aggregazione sociale prima di tutto, che diventi quindi sviluppo di una politica sentita e partecipata: ma senza un rinnovamento culturale nostro, una ripresa dello studio della teoria economica marxista, quindi una analisi profonda di indagine del capitalismo in cui siamo immersi, non riusciremo nemmeno noi a comprendere come muoverci, a chi parlare e come comunicare.

La prima opera che va fatta, contestualmente all’organizzazione di una lista per le europee che riunisca tutti gli anticapitalisti che non si ritengono, estremisticamente parlando, depositari di una unica e sola interpretazione della realtà assurta a vangelo proletario del moderno sviluppo del capitale e dello sfruttamento delle masse, è studiare, leggere. Farlo insieme, creare gruppi di discussione per riprenderci la “cassetta degli attrezzi” e non sgranare gli occhi se si parla di “plusvalore”, di “caduta tendenziale del saggio di profitto” o di formule come “M-D-M” o “D-M-D'”.

Un tempo si diceva, con la grande saggezza della semplicità dei concetti più complessi: “Conoscere una parola in più del padrone”. Ed anche “resistere un minuto in più del padrone”.

Sulla fase della “resistenza” siamo già in cammino da un decennio: in merito a quella della conoscenza molto c’è da fare, ma è possibile apprendere senza diventare dogmatici adoratori di feticci ideologici che negherebbero proprio la dialettica marxiana e il materialismo stesso sviluppato dal Moro.

Studiare, lottare e studiare dopo aver lottato. E’ la migliore scuola per una nuova sinistra comunista, per una rinascita anche della cultura in questo disgraziatissimo Paese.

MARCO SFERINI

1 febbraio 2019

foto tratta da Pixabay

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