Abbiamo incrociato le braccia per la quarta volta in un mese e mezzo: 11 ottobre, 17 ottobre, 7 novembre e poi ieri, nella giornata del Black Friday. Siamo le lavoratrici e i lavoratori di Amazon del magazzino di Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza. Stavolta non eravamo da sole, abbiamo protestato insieme ai colleghi di oltre 30 paesi in tutto il mondo, tra loro tedeschi, spagnoli, britannici. Dicendo insieme: Make Amazon Pay!

Quest’azienda, che ogni anno fattura miliardi e vede costantemente crescere il suo giro d’affari, ci ha proposto un incremento di retribuzione insufficiente. Insufficiente perché le bollette aumentano e per fare la spesa servono sempre più soldi. Insufficiente perché le spese per il carburante e quelle per i libri dei nostri figli si moltiplicano. Insufficiente perché il lavoro è duro, perché trascorriamo al magazzino otto ore al giorno, di mattina, pomeriggio e notte. Insufficiente per rendere possibile una vita dignitosa.

Nel 2023 non ci è stata garantita nessuna forma di welfare, né sono state prese realmente e concretamente in considerazione le tante proposte fatte dai Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Questa parola ricorre spesso nei discorsi del governo, viene agitata dalle destre, ma per noi ha un significato ben preciso: valutazione dei rischi, tutela della salute, prevenzione di infortuni e malattie.

Sono sempre di più le lavorarici e i lavoratori, anche giovani, che dopo pochi anni di servizio in Amazon accusano patologie muscolo scheletriche croniche. Problemi che purtroppo si porteranno addosso per tutto il resto della vita. E intanto continuiamo a perdere reddito: stenta la contrattazione aziendale, mentre quella collettiva è bloccata. Il nostro contratto è scaduto ormai da quattro anni, con il governo che continua a fare da sponda alle associazioni datoriali invece che ai sindacati dei lavoratori.

Come donne, poi, viviamo il doppio peso del lavoro di cura. Ci siamo dovute battere, anche attraverso degli scioperi, perché fino a non molto tempo fa alle nuove assunte veniva imposto il turno di notte obbligatorio. Solo con le nostre lotte siamo riuscite a renderlo facoltativo.

Può sembrare un capriccio, ma non lo è per chi quando finisce il turno deve accompagnare i figli a scuola, per chi vorrebbe essere presente nella loro vita quotidiana. Dopo otto ore al magazzino non è facile tornare a casa e organizzare la vita familiare. Eppure lo facciamo. Nessuna di noi può permettersi di non lavorare, né di pagare una baby sitter per avere un po’ di aiuto. Soprattutto adesso, che il carovita corre più veloce dei nostri salari.

Ieri abbiamo fatto un nuovo passo avanti nella nostra battaglia. Ma non finisce qui. Oggi siamo al fianco di tutte le donne che manifesteranno contro la violenza di genere a Roma e a Messina. Il 22 dicembre torneremo a incrociare le braccia in uno sciopero di tutto il settore del commercio.

BEATRICE MOIA

da il manifesto.it

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